Di Stefano Caprio da AsiaNews del 27/01/2024
Il centenario della morte di Vladimir Uljanov detto Lenin viene ricordato in questi giorni non soltanto in Russia, ma su tutta la stampa internazionale, essendo uno dei personaggi che hanno determinato il corso degli eventi per tutto il XX secolo. E il secolo successivo alla sua morte si confronta nuovamente con la sua eredità, in un contesto di guerre a ripetizione che riprendono alcune motivazioni della rivoluzione e della guerra civile tra Russia e Ucraina. In esse la guida dei bolscevichi dovette esprimere il suo concetto di nazione e di socialismo, giungendo alla proclamazione dell’Unione Sovietica nel 1922, poco prima di venire debilitato da un ictus che lo consegnò alle cure premurose di Stalin, e infine alla morte.
Nell’attuale retorica della guerra putiniana, il fondatore dell’impero comunista viene ricordato in modalità molto diverse dal mito dei tempi sovietici, che lo canonizzarono nel mausoleo ancora presente sulla piazza Rossa, sempre più grottesco e ingombrante ormai. Sui media statali, nei commenti dei propagandisti e nelle dichiarazioni degli stessi leader della Russia attuale, Lenin viene rappresentato come “l’inventore dell’Ucraina”, quindi il vero colpevole del conflitto in corso, contrapposto alla guida illuminata di Stalin, che cercò di rimediare agli errori del predecessore. Fu proprio Putin a usare questo argomento il 21 febbraio 2022, due giorni prima di varcare i confini occidentali con tutto l’esercito, affermando che l’Ucraina nacque “come risultato della politica bolscevica”, e che l’attuale Stato di Kiev “si può a pieno titolo chiamare l’Ucraina di Lenin, che ne fu l’autore e l’architetto, come dimostrano i documenti, e ora i suoi discendenti abbattono i monumenti a Lenin, per quella che chiamano de-comunistizzazione”.
A partire da questo giudizio sorge il nuovo mito dell’Ucraina artificiale e senza fondamenta storiche, essendo in realtà nient’altro che una parte della Russia occupata oggi dagli occidentali, che quindi va de-nazificata e riunita nella sobornost originaria. La verità degli eventi post-rivoluzionari ci dice piuttosto che Lenin dovette inventarsi una nuova Russia, mettendo insieme i pezzi dell’impero zarista che lui stesso aveva fatto crollare, e che anzi fu costretto a riconoscere un’Ucraina che non aveva immaginato, e che non avrebbe mai voluto.
Nel 1918 era stata infatti proclamata a Kiev la Repubblica Popolare di Ucraina (Unr), che i bolscevichi tentarono inutilmente di prendere sotto il proprio controllo. Per recuperare quei territori, Lenin comprese che avrebbe dovuto riconoscere l’indipendenza di questo Stato, e fare molte concessioni alla specificità della lingua e della cultura ucraina, mettendo fine alla plurisecolare russificazione che veniva imposta dall’impero degli zar, anche con sanguinose repressioni. L’Ucraina socialista occupava la gran parte dei territori attuali, compreso il Donbass, e la Russia leninista condusse allora una guerra spietata nei suoi confronti, che prevedeva anche lo sterminio della popolazione della capitale Kiev. Migliaia di kievliani caddero vittime dei bolscevichi, tra cui anche molti esponenti del clero ortodosso, a cominciare dal metropolita Vladimir (Bogojavlenskij), ucciso durante l’assalto del 7 febbraio 1918 e le cui spoglie si trovano nella Lavra delle Grotte di Kiev.
Dopo questo attacco dei russi, i capi della Unr riuscirono a rientrare a Kiev solo due mesi dopo, con l’appoggio delle armate tedesche e austro-ungariche, ma già ad aprile 1918 la Tsentralnaja Rada democratica fu sostituita con il regime autoritario dell’atamano Pavel Skoropadskij, con la benedizione degli austriaci. Alla fine dell’anno, con l’uscita delle truppe germaniche, fu restaurata la Repubblica Popolare che sopravvisse solo fino al 1920, quando fu disintegrata da nemici provenienti da tutte le parti: i bolscevichi, le Armate Bianche controrivoluzionarie, gli eserciti della Polonia e della Romania. Quando infine nel 1921 Lenin “creò” l’Ucraina, il Paese era diviso in varie parti e in varie identità, a partire da quella socialista dell’Unr e da quella dittatoriale di Skoropadskij, con le quali i bolscevichi non avevano avuto alcun rapporto. Lenin aveva dichiarato guerra alla Rada fin dal 1918, ma al momento della capitolazione di Brest, il 3 marzo di quell’anno, nei confronti delle potenze centrali europee, era stato costretto a riconoscere di fatto l’indipendenza dell’Ucraina.
Nel 1921 la Repubblica Sovietica Federale Socialista Russa (Rsfsr) dovette quindi riconoscere la Repubblica Sovietica Socialista Ucraina (Ussr) nel contesto della firma del trattato di pace di Riga con la Polonia, sottoscritto anche dagli ucraini come soggetto indipendente. Solo nel 1922 venne infine proclamata l’Unione Sovietica, in cui entrava anche l’Ussr già esistente, e non inventata da Lenin. Non furono i bolscevichi a stabilire i territori e i confini dell’Ucraina sovietica, ma erano stati gli ucraini a conquistarli e difenderli, anche accettando di unirsi al nuovo Stato crollato poi nel 1991, facendo cadere ogni pretesa tra le stesse repubbliche sovietiche, al di là delle faziose ricostruzioni storiche.
L’Unr, poi diventata Ussr, era stata invasa dai tedeschi e dagli austriaci con il consenso dei bolscevichi, ma gli ucraini allora non l’avevano considerata una occupazione, come oggi viene definita, perché la loro presenza impose di fatto il riconoscimento di una Ucraina indipendente. Era la cosiddetta Ucraina materikovaja, “di terra”, che a occidente confinava con la Polonia sulle rive del fiume Zbruč in Galizia, e comprendeva le terre orientali oggi invase e “annesse” dalla Russia e anche oltre, fino alla città di Taganrog nella Russia meridionale. Era un grande territorio di cui non faceva parte la Crimea, che a sua volta negli anni convulsi dopo la rivoluzione si era costituita come repubblica indipendente, e altre parti occidentali rimaste sotto l’impero austro-ungarico, a sua volta disciolto a novembre del 1918, e riunite all’Ucraina nel trattato di Riga del 1921.
Non fu affatto Lenin a comporre l’Ucraina, anzi prima di cedere alla malattia e alla morte, il capo rivoluzionario tentò di opporsi allo “sciovinismo grande-russo” del resto del partito, poi cavalcato da Stalin e oggi rianimato da Putin, che imponeva letture diverse della storia e delle divisioni territoriali. Semmai fu proprio Stalin ad aggiungere territori all’Ucraina, quando invase la Polonia nel 1939 con il consenso di Hitler, riprendendo le parti della Galizia e della Volynja che erano state concesse a Varsavia nel trattato di pace. La pienezza territoriale dell’Ucraina fu dunque merito dei successori di Lenin, compreso il dono della Crimea che fu deciso dal segretario sovietico (di nazionalità ucraina) Nikita Khruščev nel 1954, allo scopo di russificare un po’ di più la stessa Ucraina.
La politica sovietica del divide et impera si estese in realtà a quasi tutti i territori delle quindici repubbliche, che venivano suddivisi e “condivisi” secondo le finalità decise dal Politburo allo scopo di controllare le varie tensioni etniche, sia nei Baltici che nel Caucaso e nell’Asia centrale. Per non parlare dei territori della stessa Russia europea e siberiana, dove oggi rinascono le identità di tanti popoli minori e diverse tradizioni storico-culturali. La verità è che tutti gli Stati resi indipendenti dalla fine dell’Urss hanno riconosciuto reciprocamente i propri confini il 31 dicembre 1991 con l’accordo di Belaveža, pur con le incertezze e le tensioni ancora in corso soprattutto nelle zone caucasiche e asiatiche, e la Russia riconobbe l’Ucraina.
Non fu Lenin il colpevole, almeno per quanto riguarda l’Ucraina, ma è Putin l’inventore di una nuova Russia mitologica, che rilegge a suo modo le storie antiche e recenti per imporre un nuovo impero, applicando schemi mentali di derivazione chiaramente sovietica. Il ricordo del capo rivoluzionario serve invece a distinguere gli influssi della “ideologia” – il comunismo inventato dagli occidentali e reinterpretato da Lenin – dalla “tradizione dei valori morali e spirituali”, esistenti dall’origine della Rus’ nel Battesimo di Kiev alla fine del primo millennio, e conservati da tutte le Russie successive, compresa quella sovietica. La definizione dell’Ucraina diventa così un elemento cruciale per l’autocoscienza della Russia, che ha smarrito sé stessa nei meandri della storia, e ha bisogno di affermarsi per contrapposizione, non avendo più una sua ragione di esistere. La guerra all’Ucraina, uno Stato giovane e complesso, ma orgoglioso della sua identità e pieno di speranza nel suo futuro, è la dichiarazione della fine della Russia, che si dissolve nella pretesa della Vittoria, quando in realtà è uscita dalla Storia.