…un locus amœnus riservato ai reggitori di popoli
di Leonardo Gallotta
Siamo nel canto VII del Purgatorio. Il VI era stato il canto politico con la famosa apostrofe all’Italia e con, in chiusura, l’apostrofe a Firenze. Sempre nel sesto canto era apparsa la figura di Sordello, il mantovano che era diventato trovatore in Provenza. Non era però stata ancora a lui rivelata l’identità dei due e quando Virgilio apertamente la dichiara, Sordello abbraccia con riverenza il grande poeta e gli chiede perché si trovi lì in Purgatorio. Virgilio gli spiega le ragioni del suo viaggio, gli dice di risiedere nel Limbo per non aver potuto conoscere la vera fede e gli chiede quale sia la via più breve per arrivare alla porta del Purgatorio.
Sordello, dopo aver premesso che lì, nel secondo balzo dell’Antipurgatorio, non è imposta alle anime una sede fissa, si offre di far da guida ai due poeti spiegando però che durante la notte non si può salire: si è ormai al tramonto e Sordello invita Dante e Virgilio a seguirlo in una vicina valletta perché poi, nella notte, possano sostare in quel luogo confortevole. La terzina con cui inizia la descrizione della valletta propone una serie di colori e di oggetti colorati riferiti ai fiori, ma sulla cui interpretazione esistono incertezze tra i commentatori. Ecco la terzina: “Oro e argento fine, cocco e biacca,/ indaco, legno lucido e sereno,/ fresco smeraldo in l’ora che si fiacca”. Ora, poiché la valletta accoglie Imperatori e re, mi pare che questi colori posti all’inizio possano alludere ai variopinti stemmi nobiliari affrescati nei castelli e nei palazzi. E poi, oltre ai colori di erba e fiori, nella valletta si produceva un’indistinta “soavità di mille odori”. Insomma un vero e proprio locus amœnus.
I due poeti, accompagnati da Sordello, vedono delle anime e le sentono cantare il Salve Regina. Sordello si ferma ai limiti della valletta ed è lui stesso che comincia ad additare i vari principi rilevandone, con rapida sintesi, le principali caratteristiche. Non staremo qui a dettagliarle, ma indicheremo i personaggi nell’ordine voluto da Dante-Sordello: Rodolfo d’Asburgo, Ottocaro II di Boemia, Filippo III di Francia, Enrico I di Navarra, Pietro III d’Aragona, Carlo I d’Angiò, Enrico III d’Inghilterra, Guglielmo VII, marchese di Monferrato. E con quest’ultimo si chiude la rassegna e si chiude il canto. Occorre premettere che Dante riteneva che le cose politiche in Italia – e non solo – fossero andate bene fino ai tempi di Federico II e già nel De vulgari eloquentia aveva esaltato proprio Federico II e il suo figlio Manfredi, esprimendo invece disprezzo per i principi regnanti in tutta Italia dopo di loro, i quali chiamavano alla propria corte gente crudele, ingannatrice e avida.
Ci si può chiedere perché Dante affidi a Sordello la rassegna dei principi. Bisogna ricordare che il trovatore italo-provenzale è soprattutto celebre per il Compianto in morte di ser Blacatz in cui accusava i potenti del suo tempo di viltà e dappocaggine, invitandoli a cibarsi del cuore di ser Blacatz per acquistare coraggio e valore. Importante il congedo del Compianto: “I baroni mi vorranno male per ciò che io dico giustamente: ma sappiano bene che io li stimo poco quanto essi stimano me”. Ecco perché Dante definisce nel canto VI Sordello anima “altera e disdegnosa”.
Dante trovava dunque in Sordello il poeta che lo aveva coraggiosamente preceduto nell’affermare la necessità di percuotere “le più alte cime”. Dante vedeva così nel trovatore mantovano un altro se stesso. Ecco perché il poeta fiorentino lo onora assegnando a lui la rassegna dei principi della valletta. Certo la viltà rimproverata da Sordello nel Compianto rimaneva in campo feudale, mentre Dante muove da una concezione più moderna e per noi più alta del dovere di un principe. Tuttavia, “che Dante pensasse al Compianto – ci dice Umberto Bosco – è confermato dal fatto che comune ai due poeti è anche, per così dire, il ‘metodo’: le rassegne, nell’uno e nell’altro, hanno inizio con l’Imperatore, passando poi a re, per giungere a principi di rango più modesto; e cosa più importante e generalmente non rilevata, esse vogliono essere sistematiche, estendendosi all’intera Europa. Sordello aveva compreso nella sua tutti i sovrani dell’Europa occidentale, i soli che quando egli scriveva, ai primi del Duecento, veramente importassero (Sicilia-Impero, Castiglia, Aragona, Navarra, Francia, Inghilterra, Tolosa e Provenza). Dante estende la sua rassegna (da integrarsi con quella di Paradiso XIX vv. 115 ss.) a tutta l’Europa; se ordinassimo i principati dall’ovest all’est, vedremmo che quelli importanti ci sono tutti: Portogallo, Spagna (Castiglia, Navarra, Aragona), Francia, Napoli, Sicilia, Inghilterra, Scozia, Germania-Impero, ; Norvegia, Polonia, Boemia, Rascia (gran parte dell’ex Jugoslavia); Ungheria; e poi alcuni principati minori, Maiorca , Monferrato, Cipro”. Tutto ciò a dimostrare che Dante non era solo cultore di lettere e di storia antica, ma che, oltre ad avere estese conoscenze geografiche, era anche molto aggiornato sulle situazioni politiche di tutta Europa.
La rassegna dei principi della valletta è una rassegna delle loro colpe? La risposta è negativa e Umberto Bosco ci dice che questa è opinione comune , ma che è errata. Infatti i principi citati non sono biasimati dal Poeta, ma i loro successori: “Rade volte risurge per li rami / l’umana probitate…” (vv. 121 – 123): una legge che non è la ragione della degenerazione dei principi, ma la spiegazione di essa: Dio la permette perché sia chiaro che la probità viene ad ogni uomo direttamente da Lui e non per “nobiltà di sangue”. L’errore dell’interpretazione corrente nasce dal fatto che la rassegna si apre effettivamente con un rimprovero a un sovrano della generazione precedente, l’imperatore Rodolfo, e il rimprovero è reso più pesante per il lettore dall’essere una ripetizione di quello assai più tremendo del canto precedente in cui attaccava assieme a lui il figlio Alberto d’Austria, rimproverandogli il disinteresse per la situazione italiana. Ma il suo è l’unico caso, mentre tutti gli altri principi o non sono vituperati, o sono addirittura lodati”.
La scena generale della presentazione delle anime è poi simile a quella degli ‘spiriti magni’ del Limbo e anche lì Virgilio aveva mostrato le anime da un luogo alto per poterle vedere tutte quante. Non si può terminare il commento a questo canto senza richiamare l’esempio più antico, quello dell’Eneide. Dice ancora Umberto Bosco: “C’è infatti un luogo del poema virgiliano che narra la discesa di Enea agli Inferi e che agì sulla fantasia di Dante in tante occasioni. Museo guida Enea, la Sibilla e Anchise ad un ‘tumulus’ “unde omnis… posset/ adversos legere et venientum discere vultus”e da dove possono essere passati in rassegna i protagonisti della storia romana (Aen. VI 752-755)”. Come Museo così Sordello accompagna su un balzo, cioè una piccola altura, i due poeti.E così Dante paga il suo implicito tributo al grande Virgilio, suo maestro e suo ‘autore’.
Sabato, 17 febbraio 2024