In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:
«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.
Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.
Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.
Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».
Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».
E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture:
“La pietra che i costruttori hanno scartato
è diventata la pietra d’angolo;
questo è stato fatto dal Signore
ed è una meraviglia ai nostri occhi”?
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».
Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta (Matteo 21,33-43.45-46).
«Ciò che Ti dico si compirà e sorgerà il regno nostro. Ti ripeto che domani stesso Tu vedrai questo docile gregge gettarsi al primo mio cenno ad attizzare i carboni ardenti del rogo sul quale Ti brucerò per essere venuto a disturbarci. Perché se qualcuno più di tutti ha meritato il nostro rogo, sei Tu».
È il capolavoro dello scrittore russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881), La leggenda del Grande Inquisitore, un racconto contenuto nel romanzo I fratelli Karamazov. Un racconto di tipo allegorico, ambientato in Spagna ai tempi della Santa Inquisizione, che narra il ritorno di Cristo sulla terra dopo quindici secoli dalla morte. Come la prima volta, viene ancora ucciso, anzi bruciato al rogo, dal Grande Inquisitore, il quale lo accusa di avere seminato confusione in una Chiesa che si è ormai consolidata e strutturata, e lo rimprovera di voler portare la libertà a un popolo che è incapace di usufruirne, poiché un popolo felice non può essere libero, ma deve essere sottoposto a un potere autoritario che decida per lui.
È il miglior commento al Vangelo di oggi. Cosa fanno questi vignaioli? Esattamente quello che fa il Grande Inquisitore. Si impossessano della vigna, la organizzano, e si prendono i frutti. Il problema è che quella vigna non è loro: a loro è stata solo affidata. Questa vigna del racconto evangelico rappresenta il popolo che Dio si è scelto, che ha eletto e santificato e che poi ha affidato ai capi affinché lo custodissero. Ma questi, una volta ricevuto il dono da amministrare, lo hanno fatto proprio, rivoltandosi contro il datore di lavoro, e uccidendo tutti coloro che in qualche modo gli ricordavano questa appartenenza. Così Dio, il Creatore, è stato ucciso dalle sue creature. Che cosa imbarazzante! Eppure è una storia che continua anche oggi. Ma nelle parole di Gesù c’è la promessa che la vigna non sarà distrutta, ma consegnata a un altro popolo che la farà fruttare.