Di Micol Flammini da Il Foglio del 13/03/2024
Cosa è mancato all’opposizione di ieri e come far cadere Putin oggi. Autoanalisi del dissenso
Roma. Un gruppo armato composto da russi, dopo aver realizzato e pubblicato un video che doveva essere l’assaggio cinematografico dell’azione che stava per compiere, ha attraversato il confine tra Russia e Ucraina, ha messo in fuga alcuni soldati dell’esercito di Mosca e ha detto di aver catturato il villaggio di Tëtkino, che si trova nella regione di Kursk. Non è la prima volta che questi uomini armati si affacciano sul territorio russo, dicono di voler liberare la Russia da Putin, chiedono ai loro connazionali di non aver paura delle loro incursioni che dimostrano sempre quanto il Cremlino badi poco al confine tra Russia e Ucraina, così permeabile e non sorvegliato quanto ci si aspetterebbe da un paese che ha dichiarato guerra al suo vicino.
Questi uomini che dicono di far parte della Legione Libertà della Russia, che organizzano le loro azioni dall’Ucraina, sono uno degli scricchiolii del potere russo, ma nella polifonia di fruscii, stridii e cigolii, nessun suono è un fracasso. Neppure se sommati, tutti gli scricchiolii portano alla rottura del regime di Vladimir Putin, che è saldo, ma non può essere eterno. Denis Bilunov è un sociologo russo, ha fatto parte dell’opposizione, idealmente lo è ancora, ma dice di non sentirsela più di definirsi “un oppositore: chi resta, chi è in Russia fa opposizione”. Adesso vive a Praga e il suo compito, racconta al Foglio, è di far capire che non tutti i russi sono dalla parte di Vladimir Putin: “C’è questo pregiudizio, tante persone non parlano, ma sono contrarie alla guerra e contrarie a Putin, è importante creare un movimento, dimostrare e far vedere cosa pensano i russi. Ma fare opposizione è un’altra cosa”. Su chi rimane in Russia anche ci sono dei pregiudizi, soprattutto su chi non viene arrestato, quasi che ormai ci si fosse arresi all’idea che sia normale finire in carcere se ti opponi: “C’è chi ha trovato altre strade, come Boris Nadezhdin, che era quasi arrivato a candidarsi alle presidenziali, ma quando il Cremlino si è reso conto che davvero i russi avrebbero potuto votarlo, non l’ha fatto andare oltre”. Non è questione di vittoria, Putin sa che vincerà, ma la preoccupazione è anche su chi arriverà secondo: il distacco deve essere ampio e un candidato che catalizza il voto di protesta è un problema. “C’è chi ha trovato il modo di fare opposizione, per esempio, adattandosi a chiamare la guerra ‘operazione speciale’ o non criticando mai personalmente Putin. Non me la sento di giudicare, loro sono lì, sono in Russia, e anche quella è una strada”. Bilunov non voterà, crede però che l’idea di chiedere ai russi di andare ai seggi a mezzogiorno sia importante: “Non ci sono persone di cui mi fido sulla scheda elettorale, nessuna alternativa, ma l’idea di presentarsi il 17 maggio ai seggi in massa è un messaggio forte”.
La decisione di Putin di dichiarare guerra all’Ucraina – Bilunov la chiama la “guerra grande” – all’inizio era sembrata a molti un segnale di debolezza, ma finora tutto si è assestato per il presidente russo. La morte di Alexei Navalny non ha reso il regime più fragile, ma per molti russi è stato “troppo”: “Anche chi pensava che Navalny fosse in prigione per aver commesso qualcosa di sbagliato, ha sentito che la sua morte andava oltre ogni limite”, ma quello che ogni russo può aver provato, la sfiducia, la paura, non sono abbastanza per determinare la fine del regime. Bilunov aveva visto Navalny entrare in politica, lo aveva visto giovanissimo partecipare a tutto quel movimento che ha cresciuto una classe di giovani appassionati come lui, come Ilya Yashin, come Vladimir Kara-Murza. Bilunov invece era entrato in politica con Garri Kasparov, era stato il suo braccio destro in fatto di scacchi, aveva pianificato una piattaforma su internet per giocare e poi era rimasto al suo fianco anche quando il campione aveva deciso di sfidare Putin: “Quando ho detto a mia moglie che mi sarei dedicato alla politica, ha esclamato: ‘Sei matto’. Non era solo per il pericolo, ma perché in Russia nessuno vedeva i politici come persone oneste”. Il rischio poi c’è sempre stato, anche durante le prime proteste, chi veniva fermato, veniva condannato a quindici giorni, ai partiti nuovi non veniva permesso di candidarsi, il copione era lo stesso, era pericoloso, era violento, e non si è mai arrivati al punto di rottura: “Nel piccolo mondo dell’opposizione – come lo chiama Bilunov – ci si parlava troppo addosso, ognuno guardava se stesso, anche io ho fatto questo errore, invece bisognava aprirsi. Ma c’è stato anche un problema di leader, perché parlare a tutti non è semplice, bisogna essere capaci di parlare a Mosca, a San Pietroburgo, a Ekaterinburg, in città grandi e città piccole, in ogni repubblica russa. Finora è mancato”. Bilunov accenna un nome: Ekaterina Duntsova, giornalista, ha provato a candidarsi alle presidenziali e non le è stato permesso. “Ha tentato di parlare a tutti, è arrivata all’improvviso e in poche settimane era riuscita a raccogliere molte firme”.
Il compito di chi è dentro alla Russia e chi è fuori è lo stesso: fare tutto il possibile affinché il regime cada, fino al fracasso: “Non accadrà domani, né il 17 marzo, forse ci vorranno cinque anni – dice Bilunov – ma accadrà perché il Cremlino non ha capito in che direzione va il mondo, si è accorto tardi di internet, non si arriva ovunque con la propaganda”.