Da La Nuova Europa del 16/03/2024
Il 14 febbraio 2024 il Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina ha pubblicato un lungo documento sulla guerra, meditato e ampio, che fa una disamina precisa delle ideologie che le hanno dato origine, del suo significato globale e della dottrina cattolica sulla guerra.
Dato che il documento è pienamente accessibile in lingua italiana, ci limitiamo a presentarne ampi stralci dai quali si evidenzia tra l’altro una sintonia con Roma che, al di là delle polemiche dei giorni scorsi, appare ben reale e più consonante con le dichiarazioni immediate di monsignor Visvaldas Kulbokas (nunzio a Kiev) al quotidiano La Repubblica: «Al Papa, e anche a me in quanto suo rappresentante, spetta il discorso spirituale, morale e umanitario più che quello politico. Il mio primo compito è pregare per tutti, per chi aggredisce e per l’aggredito: quando prego chiedo che la Russia non uccida più e che l’Ucraina trovi il modo più saggio possibile per far fronte a questa aggressione, a questi dolori immensi» (11 marzo). Uno spirito ribadito il giorno successivo dal cardinale segretario di Stato Pietro Parolin in una intervista al Corriere della Sera, là dove ricordava che, «citando le parole del Santo Padre del 25 febbraio scorso, l’appello del pontefice è che “si creino le condizioni per una soluzione diplomatica alla ricerca di una pace giusta e duratura”. In tal senso è ovvio che la creazione di tali condizioni non spetta solo ad una delle parti, bensì ad entrambe, e la prima condizione mi pare sia proprio quella di mettere fine all’aggressione».
Proprio alla ricerca di un atteggiamento il più possibile meditato di fronte alla gravità della situazione, il documento dei vescovi si apre con una premessa intesa a spiegare le ragioni del loro pronunciamento:
poiché «il tempo di guerra è terribilmente doloroso e crudele», è necessario che le persone siano aiutate a non cedere alle emozioni, soprattutto a «disperazione e odio che ci rendono schiavi e feriscono la nostra dignità, che ci è stata donata dal Creatore».
Un altro pericolo è inoltre rappresentato dall’indifferenza di chi cerca di ignorare la guerra, dietro ad essa si può nascondere «sia un meccanismo psicologico di autodifesa sia una malattia morale».
La prima raccomandazione dei vescovi è ad avere pazienza: «È necessario comprendere che per vincere nella lotta contro un nemico così subdolo è necessaria la pazienza», che è ben diversa dall’indifferenza e dal distacco, «al contrario, la pazienza è sempre collegata con l’attività e con l’amore sacrificale, pronta a servire per un lungo periodo della storia». «Questo è ben compreso dai nostri difensori, che mantengono alta la guardia e trattengono l’aggressore ogni giorno, da lunghe settimane e mesi. Pertanto, invitiamo tutti alla pazienza e a un atto di amore operante, e con il presente messaggio cerchiamo di presentare alcuni principi e fondamenti morali su cui si potrà costruire una pace duratura e giusta nella nostra patria».
La seconda sottolineatura spiega nella sostanza le ragioni che hanno dettato il documento stesso: nessuno può essere una pedina amorfa nel vento della storia, ciascuno è chiamato ad avere una «comprensione chiara dei fondamenti morali e spirituali» che devono sostenere oggi la guerra, e soprattutto domani la ricostruzione. Questo significa conoscere da una parte le ragioni autentiche della guerra stessa, e dall’altra l’insegnamento tradizionale della Chiesa cattolica in merito alla guerra e alla pace.
Ma fare chiarezza non serve solo ai fedeli cattolici, anzi è ancor più necessario a livello internazionale, dove «vediamo il sostegno al nostro Stato, ma allo stesso tempo ci imbattiamo nella mancanza di comprensione di tutta la profondità e della gravità degli eventi, con speranze in una facile risoluzione del conflitto. A volte sentiamo appelli troppo affrettati alla “pace”, che purtroppo non sempre vengono collegati alla legittima richiesta di giustizia».
«Questo messaggio ha come obiettivo, da un lato, aiutare i nostri connazionali a diventare più accorti e forti, arricchendosi del pensiero cristiano antico sulla pace e sulla guerra, e dall’altro, contribuire a una migliore comprensione da parte della comunità internazionale delle sfide odierne, nonché del posto dell’Ucraina e degli ucraini sulla mappa spirituale del mondo contemporaneo».
Le cause della guerra
Il testo è suddiviso in sei capitoli, il primo indaga le radici ideologiche del conflitto, nel loro evolversi storico; il secondo la parabola discendente del governo russo sino al fascismo; il terzo la resistenza non violenta; il quarto la guerra difensiva e la legittima difesa; il quinto la neutralità in tempo di guerra; il sesto la pace giusta; seguono infine le conclusioni.
Si parte con l’affermare che i due totalitarismi del XX secolo avevano assunto proporzioni senza precedenti, poiché avevano caratteristiche diverse dalle tirannie tradizionali arrivando a ingerirsi anche nella sfera privata e utilizzando le tecnologie moderne per rendere più efficace il loro potere:
«I governanti totalitari bramano di sottomettere l’anima, di prendere il controllo completo della personalità umana: il suddito dello Stato totalitario deve adorare i propri aguzzini. Il totalitarismo ha un carattere pseudoreligioso».
Tuttavia, il nazionalsocialismo è stato sconfitto, i suoi crimini e la sua ideologia sono stati condannati a Norimberga, e nei decenni successivi, «la Germania dell’Ovest attraversò un difficile e doloroso processo di lustrazione e divenne uno Stato democratico» a differenza del secondo totalitarismo, l’Unione Sovietica, il cui nucleo era rappresentato dalla Russia comunista, che «non solo non fu distrutto, ma apparve al mondo come uno dei vincitori della guerra, pretendendo al ruolo di principale liberatore dal nazismo». L’Unione Sovietica ne aveva ampiamente approfittato per estendere la propria influenza su numerosi paesi dell’Europa orientale.
Solo il crollo del comunismo nel 1991 ha permesso a questi paesi dell’Europa centrale e orientale di riprendere il cammino di libertà e democrazia, ma per l’Ucraina il «cammino verso la vera libertà e la liberazione dall’eredità negativa del XX secolo si è rivelato lungo e difficile». Ciò nonostante, la società civile ucraina – commenta il documento – si è sviluppata vivacemente, come dimostrano la Rivoluzione arancione del 2004, la Rivoluzione della Dignità del 2013-2014 e l’attuale resistenza alla Russia.
In tutto questo, la Chiesa greco-cattolica è sempre stata presente come «parte integrante della società civile e quindi non può rimanere in disparte dalle sue legittime aspirazioni ad avere un controllo adeguato sul potere statale, costruire una democrazia onesta, difendere la supremazia del diritto e della dignità umana».
Dalla caduta del comunismo, prosegue il documento, l’Occidente ha commesso due errori, quello di non aver preteso dalla Russia post-sovietica la piena condanna dei crimini del comunismo; e secondariamente quello di aver puntato tutto sull’economia, illudendosi che il processo di democratizzazione sarebbe avvenuto automaticamente come una sorta di naturale conseguenza. Così, col crescere dei legami economici, «il mondo democratico, forse senza rendersene conto, col passare del tempo, in nome del tornaconto economico ha imparato ad adottare doppi standard nei rapporti con la Russia».
L’Occidente ha sottovalutato il potere del male, sperando ingenuamente che sarebbe scomparso da solo, e non essendo quindi pronto a cogliere velocemente il pericolo che si stava creando. «Tutto ciò ha portato a conseguenze fatali: oggi abbiamo a che fare con un tentativo di ripristinare in Russia il totalitarismo aggressivo e militarista nella sua nuova forma ibrida o postmoderna», e all’estero ancora non lo capiscono, sottolineano i vescovi greco-cattolici.
Il documento a questo punto descrive la «nuova tirannia russa del XXI secolo» come un regime simile ai totalitarismi del secolo scorso nel voler distruggere la libertà e la dignità umana, ma apparentemente meno rigido e totale, anche se «in realtà trasforma le caratteristiche totalitarie del passato in forme molto più insidiose e quindi ancora più pericolose, in forme che possono essere definite ibride. La prima caratteristica del nuovo totalitarismo russo sta nel fatto che non ha bisogno di un’ideologia nella forma in cui era tipica del comunismo e del nazionalsocialismo»; il suo «codice morale» consiste nell’uso della forza bruta, dell’inganno e del calcolo, senza un contenuto positivo e una teoria coerente, «è la propaganda del nichilismo nelle sue forme peggiori, e il suo obiettivo è la corruzione morale dell’essere umano, la sua disumanizzazione per trasformarlo in uno strumento privo di volontà e indifferente ai valori morali… Cerca di minare la fede in qualsiasi fondamento morale e tenta i suoi sudditi con la possibilità di commettere violenza contro gli altri impunemente».
Il grimaldello con cui cerca di penetrare le coscienze è la teoria della cospirazione mondiale contro la Russia, in nome della quale giustifica qualsiasi crimine nel confronto di altri popoli.
«Nel suo culto del leader, nel militarismo, nel corporativismo, nella propaganda palese della violenza brutale, nell’enfatizzazione della propria superiorità nazionale e razziale, la tirannia moderna di Mosca ha molto in comune con il fascismo del secolo scorso, quindi non sorprende che, per delineare la sua essenza, sia stata trovata la definizione appropriata di “rascismo”».
Un secondo elemento caratterizzante l’attuale regime russo è l’uso abilissimo degli strumenti offerti dalla rivoluzione digitale, tanto da riuscire a creare una realtà parallela, virtuale che confonde e distorce le coscienze. In questo senso lo si può definire un «totalitarismo postmoderno».
E ancora, c’è il particolare rapporto con l’Ucraina, che pare risvegliare in questo regime l’eredità coloniale della Russia zarista. Il documento dei vescovi ricorda che gran parte dell’Ucraina attuale è stata conquistata dalla Moscovia tra il XVII e il XVIII secolo, e «da allora il potere ha vietato e soppresso la cultura ucraina, la lingua, la Chiesa e l’autoconsapevolezza; ha sostenuto che gli ucraini erano solo una parte più giovane, più piccola e secondaria del popolo russo».
Oggi a questa narrazione negazionista si aggiunge il militarismo che dichiara di volere «la completa distruzione dello Stato ucraino e dell’identità ucraina in quanto tale». La leadership russa ne ha fatto il proprio programma politico: «La guerra che la Russia sta perpetrando contro l’Ucraina ha tutte le caratteristiche di una guerra neocoloniale nel continente europeo con chiari segni di genocidio».
Stando così le cose, il Sinodo fa un’affermazione molto esplicita:
«Proprio per questo gli appelli per trovare un compromesso con la Russia, che l’Ucraina sente di tanto in tanto da parte di alcuni membri della comunità internazionale, persino da parte di rappresentanti dell’ambiente religioso, non hanno alcun fondamento reale e dimostrano una mancanza di comprensione della situazione in cui si trovano gli ucraini. Il problema non risiede solo nel fatto che tali appelli sono immorali, perché ignorano i principi del rispetto della dignità umana e della pace giusta, ma anche perché sono semplicemente irrealistici: non è possibile raggiungere un compromesso se una delle parti nega l’esistenza stessa dell’altra. La Russia non lascia all’Ucraina altra scelta se non l’autodifesa militare. Questa guerra è una lotta di liberazione nazionale della popolazione civile ucraina per il diritto alla propria esistenza e al proprio futuro, per l’indipendenza, la libertà e la dignità dei nostri cittadini».
La parabola discendente della Russia, dal «mondo russo» al «rascismo»
L’ultima caratteristica costitutiva del nuovo totalitarismo russo è data dal suo rapporto con la religione e la Chiesa. Una tradizione plurisecolare, sottolinea il documento, ha visto la Chiesa ortodossa russa concepirsi «a servizio del governo russo nelle sue varie forme storiche, anche contraddittorie», alla ricerca di uno status privilegiato; «sfortunatamente oggi questa antica tradizione imperiale, combinata con il totalitarismo post-comunista, ha portato la leadership del Patriarcato di Mosca a commettere un vero crimine con la propaganda della guerra».
Alla leadership ecclesiastica viene addossata la responsabilità gravissima di aver fornito «la nuova ideologia genocida, oggi conosciuta come “mondo russo”, offrendo volontariamente i suoi servigi al potere criminale e consacrandolo».
Questa scelta della Chiesa provoca soltanto grande dolore, perché «compromette il cristianesimo in quanto tale e mina la fiducia dei nostri contemporanei nella Chiesa e in tutti coloro che si avvalgono del nome di Cristo».
Ma purtroppo, è stata «proprio la Chiesa ortodossa russa a conferire all’ideologia del “mondo russo” uno spirito quasi religioso, raffigurando la Russia come l’ultimo baluardo del cristianesimo sulla terra, che si oppone alle forze del male».
In tal modo, in contrasto con l’essenza del cristianesimo, «la dottrina quasi religiosa del “mondo russo” ha fornito una giustificazione ideologica all’aggressione russa contro l’Ucraina».
È il ritorno dell’eresia dell’etnofiletismo, che ideologizza il cristianesimo «identificandolo con un certo paese, nazione o nazioni con le loro ambizioni politiche». La voce dei cristiani si è levata chiara e forte a denunciare questa mistificazione; viene ricordata in modo particolare la presa di posizione di un gruppo di quasi 350 teologi ortodossi di tutto il mondo, che biasima «tutti coloro che affermano il cesaropapismo, sostituendo la loro completa obbedienza al Signore crocifisso e risorto con quella a qualsiasi leader investito di potere di governo e che pretende di essere l’unto di Dio».
Anche le Chiese cristiane dell’Ucraina hanno esecrato unitariamente il fatto che attraverso l’ideologia del «mondo russo» il Patriarca di Mosca abbia affermato «l’eccezionalità della civilizzazione russa e il suo isolamento e antagonismo nei confronti degli altri», rispolverando le idee messianiche imperiali della «santa Rus’» e della «Terza Roma». Questa rappresentazione del cristianesimo produce un enorme danno a livello globale, distruggendone la credibilità. Alla fine, la degenerazione ideologica si è sposata con quella del «rascismo» «con il suo culto del leader e dei morti, il suo passato mitologizzato, il corporativismo tipico del fascismo, la censura totale, il complottismo, la propaganda centralizzata e la guerra per l’annientamento di un’altra nazione».
Davanti a questa parabola discendente, sottolinea il Sinodo greco-cattolico, anche la controparte occidentale non è priva di responsabilità; fra l’altro, sono venute alla luce «le grandi debolezze del dialogo ecumenico», nonostante le buone intenzioni dei partecipanti si è ceduto alla formula quasi-ideologica del «”dialogo a tutti i costi”, che è contraddittoria con il principio evangelico del “dialogo nella verità”».
Un’altra responsabilità occidentale è la fiducia nella realpolitik spinta fino al servilismo, posizione che in realtà non è razionale ma denuncia la totale sfiducia nella capacità del Vangelo di illuminare la vita politica; «oggi il mondo ha bisogno proprio della voce profetica della Chiesa, che parlerà con la lingua della giustizia, si schiererà dalla parte degli oppressi e farà vergognare e condannerà l’oppressore».
Tuttavia, incalzano i vescovi, una dolorosa presa di coscienza riguarda anche il mondo cristiano, che di fronte alla sfida posta dalla Russia si trova incapace di trovare una visione del mondo adeguata; il fatto è che «anche gli attuali postulati cristiani hanno subìto una certa ideologizzazione nella comunità mondiale. La fedeltà evangelica alla verità (…) ha ceduto il posto all’ideologia del politicamente corretto, che crea l’illusione di poter pacificare il male». A causa del diffuso relativismo regna nella comunità umana una grande confusione spirituale che minaccia ancora di più «la credibilità del linguaggio stesso dei valori spirituali».
I cristiani e la nonviolenza
Per i primi cristiani la non resistenza al male era stata una scelta precisa, «erano convinti che l’esempio di perdono e di misericordia di Gesù, il suo rifiuto di difendere la propria vita con la violenza fisica, fosse una chiamata etica che escludeva un discepolato che avrebbe acconsentito allo spargimento di sangue. Proprio questa fu la via che seguirono gli antichi principi di Kyiv, Borys e Hlib, che rifiutarono di partecipare alla lotta dinastica e rinunciarono a difendere se stessi con mezzi violenti».
In continuità con questa tradizione, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes i padri conciliari affermavano «noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità». Prosegue quindi il documento sinodale:
«La tradizione di resistenza nonviolenta menzionata è diventata una parte importante dell’esperienza spirituale dell’umanità, tuttavia non può essere considerata l’unica dotata di legittimità evangelica. Sant’Agostino giustamente osservava: “Se la dottrina cristiana definisse tutte le guerre come un peccato, allora ai soldati che chiedevano consiglio su come salvare la propria anima, nel Vangelo sarebbe stata data la risposta di deporre le armi e sottrarsi agli obblighi del servizio militare. Invece è stato detto loro di non maltrattare e non estorcere niente e di accontentarsi delle loro paghe”. (…)
Il Vangelo è pacifico e pacificatore, ma non pacifista (nel senso moderno del termine). Non annulla il dovere dello Stato di proteggere la vita e la libertà dei suoi cittadini (…).
Dio ha conferito allo Stato il potere di fermare la violenza, proteggere gli innocenti, mantenere la pace e consegnare i criminali alla giustizia. Per questo esistono le strutture di potere e le forze armate. È necessario distinguere tra forza e violenza, perché non tutti gli usi della forza sono violenza (…). È estremamente importante comprendere contestualmente e correttamente le parole di Gesù sul porgere l’altra guancia (Mt 5,39) e sull’amore per i nemici (Mt 5,44). Possiamo perdonare le offese personali, ma non abbiamo il diritto di rimanere in silenzio quando assistiamo alla violenza rivolta contro altre persone. Perdonare, quindi, non significa tacita approvazione delle azioni dell’offensore e sottomissione al male, ma piuttosto il loro superamento con la forza di Cristo. Questo mostra soltanto che il cristiano affida a Dio il ripristino della giustizia, perché “Spetta a me fare giustizia, io darò a ciascuno il suo, dice il Signore” (Rm 12,19)».
Come rispondere allora ai pacifisti che presentano argomentazioni «anche altamente morali, come ad esempio il desiderio di evitare ulteriori vittime umane»? Il Sinodo risponde che l’acquiescenza della vittima non fa che incoraggiare l’aggressore, il quale
«giunge alla conclusione che la sua violenza è un suo diritto legittimo e cerca in tutti i modi di ottenere il riconoscimento di questo “diritto al crimine” sotto forma di legittimazione degli interessi geopolitici e della loro giustificazione. La mancanza di un’adeguata condanna e reazione a tali atti da parte della comunità internazionale e dei leader ecclesiastici crea l’illusione del successo di un simile modello di comportamento dell’intero Stato, il quale (…) per di più si diffonde rapidamente come modello legittimo di relazioni internazionali. La forza del diritto internazionale viene sostituita dalla cieca legge del più forte».
Se si affermasse un simile approccio alla realtà contemporanea, la paura diventerebbe il sentimento dominante nei rapporti internazionali, accompagnata da minacce e ultimatum, «gli slogan di pacificazione, proclamati da alcuni pacifisti, incoraggiano l’aggressore alla continua violenza».
Fa da contrappeso a questa debolezza la scelta fatta dall’Ucraina trent’anni fa, ossia la rinuncia a possedere armi nucleari riponendo fiducia nei firmatari del Memorandum di Budapest del 5 dicembre 1994, rinuncia che i vescovi definiscono «gesto profetico di fiducia nella forza del diritto internazionale da parte di un popolo cristiano e manifesto delle sue aspirazioni nazionali per la sicurezza e la pace giusta. Questo gesto merita oggi un’attenzione particolare e una nuova riflessione». In effetti, nella storia degli ultimi decenni, questa rinuncia a possedere armi nucleari è un gesto del tutto inusuale che implica evidentemente una posizione morale, e che, con una caratteristica che contraddistingue in maniera sostanziale tutto il documento, si inserisce in una logica non strettamente geopolitica.
«Può – si chiede il Sinodo – la comunità umana lasciare senza condanna e responsabilità il genocidio degli ucraini, compiuto dall’esercito russo a Buča, Borodjanka, Irpin, Mariupol’ e in molti altri territori occupati dell’Ucraina? (…) L’attuale appello degli ucraini alla comunità internazionale per il ripristino della giustizia è pienamente sostenuto dalla Chiesa, poiché ha sempre fatto e fa una scelta a favore degli oppressi».
La guerra difensiva
Il documento affronta quindi il problema della guerra giusta, ricordando come la dottrina corrispondente sia stata elaborata nella Chiesa sin dai tempi di sant’Ambrogio e sant’Agostino; in seguito, dicono i vescovi, molti pensatori cristiani hanno approfondito questa riflessione poiché la presenza del male nella storia presupponeva la necessità di tutelare il prossimo. Per venire all’Ucraina, anche il venerabile metropolita Andrej Szeptycki ha parlato del diritto del popolo alla «legittima difesa della propria terra, delle proprie famiglie e delle proprie case»; la dottrina della Chiesa cattolica ritiene legittima la guerra di difesa, ancorché la veda sempre come l’ultima risorsa dopo aver provato tutte le altre. Inoltre, «questa difesa ha sempre un obiettivo chiaramente limitato: una pace giusta, e non la completa distruzione del popolo, dell’economia o delle istituzioni politiche del nemico».
Tuttavia, sottolinea il Sinodo, la guerra resta una decisione grave, pertanto è necessario sottoporla a «rigorose condizioni di liceità morale», onde la difesa non superi in violenza l’offesa subita. Dopo la Seconda guerra mondiale la riflessione si è vieppiù approfondita, papa Pio XII non solo ammetteva le guerre difensive ma aggiungeva che le altre nazioni hanno il dovere di soccorrere il paese aggredito.
In seguito, con la creazione dell’ONU si è imposto il totale divieto di fare la guerra, poiché «tutte le controversie tra Stati devono essere risolte con mezzi pacifici in modo tale da non mettere in pericolo la pace internazionale e sicurezza nonché la giustizia». E tuttavia, l’uso della forza è consentito dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU quando serva a ripristinare la pace e la sicurezza in caso di attacco armato.
Neanche san Giovanni XXIII, che ha preferito spostare l’attenzione sulla costruzione della pace, ha mai negato «il diritto delle nazioni all’autodifesa in caso di attacco non provocato. Pertanto, la Chiesa ha preso le distanze dalla pratica del pacifismo ingenuo, che spesso si trasforma in cecità morale nel distinguere tra il bene e il male. Per di più, san Papa Paolo VI metteva in guardia contro “l’insidiosità del pacifismo puramente tattico, che (…) uccide negli animi la comprensione della giustizia, del dovere e del sacrificio».
Da ultimo, i vescovi greco-cattolici ricordano papa Francesco che
«nell’enciclica Fratelli tutti mette in guardia da una “interpretazione troppo ampia” del diritto alla difesa legale, che alcuni potrebbero utilizzare per attacchi “preventivi” o azioni che portano più male di quello da eliminare; ha aggiunto, inoltre, che “oggi è molto difficile sostenere i criteri maturati in altri secoli per parlare di una possibile guerra giusta”]. Questa è un’osservazione valida se si considera il modo in cui la propaganda russa giustifica l’aggressione contro l’Ucraina. Tuttavia – aggiungono i vescovi, ampliando acutamente il problema a una dimensione universale, oltre gli ambiti della guerra russo-ucraina – tale manipolazione da parte della Russia non indica forse la necessità di sviluppare criteri più chiari e definiti per la difesa legittima, che renderebbero impossibile all’aggressore fingere di essere una vittima?».
Considerate tutte le norme morali che la Chiesa ha elaborato nel tempo e considerati i fatti, il Sinodo greco-cattolico ritiene di poter dire che le forze armate ucraine difendono legittimamente lo Stato e il popolo, in quanto:
«il paese aggressore respinge il diritto stesso all’esistenza del popolo ucraino e del suo Stato come soggetto di diritto internazionale, rifiutando la possibilità di dialogo e di accordi con l’Ucraina indipendente. È impossibile “dialogare con qualcuno che non esiste”, ripete costantemente la propaganda russa.
Secondo la più recente ideologia “rascista” russa sopra menzionata, la “questione ucraina” deve essere risolta una volta per tutte attraverso la completa distruzione di tutto ciò che è ucraino. Incominciando dal 2014, la Russia ha compiuto atti di aggressione non provocati contro l’Ucraina, prima occupando la penisola di Crimea, e poi dando via a una guerra per procura nel Donbass. Nel 2022, ha compiuto un’invasione su larga scala e, utilizzando un’ampia gamma di armi, distrugge senza pietà le infrastrutture civili, terrorizza e uccide i civili. L’esercito ucraino si oppone ad una macchina militare estremamente potente, che utilizza l’intera gamma di armi avanzate e che, in aggiunta, minaccia periodicamente di lanciare un attacco nucleare contro un paese non-nucleare, di cui ha garantito la sicurezza e l’integrità territoriale firmando il Memorandum di Budapest nel 1994».
Essere neutrali in guerra
Il documento prende infine in considerazione la scelta della neutralità, che per alcuni paesi può essere una tradizione e una necessità storica, ma che a un certo punto ha anche «i suoi rischi nascosti: c’è un limite oltre il quale una tale posizione inizia a tradire i propri valori e principi e a giocare a favore del disonesto. Se essa è causata dall’indifferenza, dalla codardia, o da un atteggiamento pregiudiziale o atteggiamento utilitarista, allora diventa una scelta moralmente errata». Infatti, può arrivare ad essere l’approvazione passiva dell’ingiustizia, mentre esiste per tutti l’imperativo morale di resistere al violento e difendere i valori su cui si basa la comunità internazionale.
«Le nazioni sono obbligate a valutare i limiti della loro neutralità politica, che non può diventare morale, altrimenti si trasformerà in un tradimento di valori e principi fondamentali. In momenti così critici, la comunità internazionale deve superare la semplice indifferenza e lavorare attivamente per la giustizia, la pace e la preservazione della dignità umana.
L’aggressione russa contro l’Ucraina non è una lotta per il territorio conteso: è un attacco al diritto internazionale e un crimine contro la pace».
Non può succedere, osserva il documento, che la neutralità formale arrivi a considerare le parti in lotta come simmetriche, politicamente e moralmente uguali, bisogna guardare in faccia le vere cause del conflitto e fare una scelta più essenziale.
Per quanto riguarda poi la posizione della Santa Sede, e prima di arrivare a considerare cosa si debba intendere per una pace giusta, nel documento greco-cattolico si sottolinea che nelle azioni di Roma non si può ravvisare una qualsiasi forma di «neutralità morale» che metta aggressore e aggredito sullo stesso piano e si constata piuttosto che la sua è una «neutralità positiva», super partes, che le affida un ruolo importante nel promuovere il dialogo tra le parti in conflitto. A questo proposito si precisa in particolare che:
«L’importanza di questa mediazione non può essere sopravvalutata nemmeno nelle condizioni dell’attuale aggressione della Russia contro l’Ucraina: molte madri e mogli ricordano con gratitudine il ruolo del Santo Padre nella liberazione dei soldati catturati o dei bambini deportati. Tali fatti diventano particolarmente significativi quando gli sforzi di mediazione diplomatica del vescovo di Roma si coniugano armonicamente con il linguaggio della fede, che ha il coraggio di chiamare male il male, sanando le ferite umane con questa parola di verità, come è avvenuto, ad esempio, l’8 gennaio 2024, durante l’incontro di Papa Francesco con il corpo diplomatico accreditato dalla Santa Sede. In quell’occasione il Papa ha ricordato ai partecipanti che è stata la Russia a lanciare una guerra aggressiva contro l’Ucraina, e ha sottolineato che i crimini di guerra richiedono una risposta adeguata da parte della comunità internazionale».
La pace giusta
È desiderio di tutti che la guerra finisca quanto prima, ma i vescovi ci tengono a sottolineare che «nell’etica cristiana, la pace giusta significa molto più della semplice vittoria sull’aggressione», è il «desiderio costante di garantire a tutti ciò che è dovuto loro. Questo concetto è diventato la base del diritto internazionale moderno».
«Gli ucraini, naturalmente, desiderano che la guerra termini il prima possibile e che arrivi la pace tanto attesa. (…) Tuttavia, la fine della guerra non può essere considerata vera pace se significa la fine dell’Ucraina».
Ma quel che conta, è che la pace giusta dev’essere garantita per entrambe le parti,
«pertanto, sono inammissibili la vendetta, la conquista, il vantaggio economico e la sottomissione. Una pace giusta non può essere né la “pacificazione” dell’aggressore, né la cosiddetta “pace minima”, che implica il riconoscimento dei territori occupati dall’aggressore. Tale pace [giusta] deve essere duratura e inviolabile, con il ripristino dei principi del diritto internazionale. Tale pace prevede non solo la vittoria sull’aggressore e il ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche misure volte a ripristinare le corrette relazioni tra Ucraina e Russia e a sanare le ferite causate dalla guerra, tra cui: rivelazione della verità e riconoscimento dei criminali, processi in tribunali penali internazionali, riparazioni, scuse politiche e perdono, memoriali, nuove costituzioni e forum di riconciliazione locale».
L’aggressione russa in Ucraina ha fatto vivere al mondo un trauma di tipo nuovo, che bisogna sanare tutti insieme, dicono i vescovi indicando ancora una volta un piano decisamente più ampio di quello attuale, perché «il male impunito continua a causare ancora più danni».
Conclusione
Concludendo, il documento ribadisce ancora una volta l’unicità dell’esperienza di guerra attuale, in cui si sta cercando di smantellare la sicurezza internazionale e ridistribuire gli equilibri mondiali secondo la legge della forza, «l’Ucraina è diventata il centro di cambiamenti globali» di fronte ai quali le istituzioni internazionali si stanno mostrando impotenti.
Tuttavia, ai vescovi greco-cattolici preme soprattutto che questa grande prova sia accolta come una sfida dalla comunità cristiana, perché torni a considerare il Vangelo non come una raccolta di precetti ma come la spada tagliente che rivela il senso della storia: «Noi, cristiani, dobbiamo pregare molto affinché la voce profetica della Chiesa di Cristo diventi convincente».
«Come dovrebbero agire i cristiani in tutto il mondo oggi? Prima di tutto, è necessario rendersi conto della globalità della minaccia attuale e affermare e sviluppare la forza del diritto internazionale giusto. È erronea la convinzione di una parte della società internazionale che questa guerra sia semplicemente un conflitto locale tra due popoli e che, quindi, risolvendo le loro divergenze, si possa tornare alla consueta comodità. Oggi sono minacciate tutte le fondamenta della civiltà umana.
Per raggiungere i propri obiettivi imperialisti e omicidi la Russia da molti anni utilizza come strumento la cosiddetta guerra ibrida, i cui elementi includono: creazione di dipendenza economica in determinati paesi, guerra dell’informazione attraverso la diffusione di propaganda e fake news, corruzione dei leader delle organizzazioni internazionali e dei politici, minacce e distruzione dei propri cittadini dissidenti che sono riusciti a emigrare in altri paesi, e così via.
L’obiettivo della Russia è quello di creare minacce e caos, al fine di successivamente annettere i territori di altri paesi o offrire loro il proprio “aiuto” per ottenere il controllo su di essi. Tale politica subdola e distruttiva richiede alla comunità internazionale un riconoscimento rapido delle minacce globali e una chiara valutazione morale da parte della Chiesa.
Iniziando una guerra ibrida contro l’Ucraina, la Russia ha sfidato, in verità, tutto il mondo civilizzato. Lo ha sconvolto così tanto che molte persone hanno smesso di distinguere verità e menzogna, e di conseguenza anche bene e male. Sotto i nostri occhi si sta verificando una terribile sostituzione: ciò che è malvagio si veste con i panni del bene; e ciò che è buono viene marchiato come malefico. In un mondo distorto in questo modo, non sarà possibile né evitare né fermare le guerre. Le dichiarazioni verbali sfocate e il linguaggio politico ambiguo saranno impotenti, e la neutralità diplomatica senza chiari fondamenti e punti di riferimento si trasformerà gradualmente in relativismo morale o addirittura in debolezza, che già oggi impedisce a molti politici nel mondo civilizzato di riconoscere l’aggressione delle truppe russe in Ucraina come genocidio del popolo ucraino, poiché ciò richiederebbe il loro intervento.
Attualmente, molti cristiani appartenenti alla generazione occidentale postmoderna, semplicemente non vedono il genocidio del popolo ucraino e non sentono le grida delle vittime, ma, per non perdere la faccia, continuano a esprimere la propria preoccupazione e profondo turbamento.
Tutto questo può essere superato solo con una chiara e inequivocabile proclamazione della Verità evangelica. Se l’umanità contemporanea, l’umanità dell’“epoca della post-verità”, non riconosce la verità oggettiva, finirà per trasformarsi gradualmente in un “mondo della post-giustizia”.
(…) La voce dell’Eterna Verità evangelica, la sua incarnazione nei rapporti sociali e internazionali, ha una storia unica nella tradizione della Chiesa di Kyiv e nella nostra millenaria tradizione di costruzione dello Stato. Questa Verità eterna e Giustizia è riflessa nella luce della nostra Santa Sofia — la Sapienza Divina, matrice immutabile dello sviluppo del popolo ucraino e della patria, ed è formulata in modo preciso come punto di riferimento per le relazioni sociali e internazionali, nel motto millenario “Non permettere ai potenti di distruggere l’uomo!” dall’eterno Insegnamento ai figli del gran principe Volodymyr Monomach di Kyiv (1053–1125). “Non permettete ai potenti di distruggere l’uomo!” rappresenta un richiamo della Chiesa di Kyiv alla coscienza del cristiano contemporaneo (…).
”Non permettete ai potenti di distruggere l’uomo!” è il grido dell’Ucraina sofferente alla comunità mondiale (…).
Il Signore desidera che i suoi discepoli siano ora, come all’inizio del cristianesimo, coraggiosi nell’aderire alla verità; che non chiudano gli occhi di fronte all’orribile ingiustizia, cercando di ottenere guadagni economici e assicurarsi tranquillità. La vita di Gesù, il suo insegnamento e le sue azioni, sono un esempio e una luce di grazia per noi, su come essere veri esseri umani, che sono stati creati all’immagine e somiglianza di Dio e che sono portatori della forza pacificatrice dello Spirito Santo. Essi testimoniano il suo governo saggio e giusto nel mondo. Questo esempio è così puro e comprensibile che non può essere sostituito da nessuna diplomazia o politica contingente che non tenga conto della dignità e dei diritti dei singoli individui e di ogni popolo.
La benedizione di Dio discenda su di voi!
A nome del Sinodo dei vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina in Ucraina
† Svjatoslav
Dato a Kyiv, 14 febbraio 2024 a.D.»