In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù.
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città, da un tale, e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto» (Matteo 26,14-25).
La figura di Giuda Iscariota ci fa toccare con mano il mistero dell’iniquità. Tre anni trascorsi a stretto contatto con il Salvatore non sono bastati per garantire neanche la fedeltà al Decalogo. La cupidigia del denaro, secondo san Paolo, è idolatria, e Giuda era ladro. Secondo un’ipotesi accreditata, Giuda, avendo visto che il messianismo di Cristo non comportava la presa del potere politico-economico, e che anzi si paventava vicina una condanna a morte, si mise dalla parte dei vincitori, per garantirsi una posizione. Ma tutto ciò accadde soltanto dopo che Satana entrò in lui. Ci fu quindi un chiaro cedimento al peccato. Probabilmente non pensava che il Sinedrio ricorresse a una effettiva condanna a morte, infatti ci fu da parte sua un pentimento innegabile, visto che riconsegnò i trenta denari, prezzo del suo tradimento.
La morte di Cristo è stata un segno luminoso della sua divinità, come confermò il centurione sotto la croce: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc 15,39). Probabilmente lo fu anche per Giuda, che vide la gravità del suo peccato. Andò ad impiccarsi, mancando quindi di un vero contatto spirituale con Gesù, che sempre aveva offerto il perdono anche a ladri di professione come Matteo e Zaccheo. In ogni caso, non possiamo esprimere giudizi certi sulla sorte di quest’uomo.
Verificando la nostra fede, sottolineo l’importanza che sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) dà alla preghiera di colloquio, con cui conclude ogni esercizio spirituale. Con questo vuole portarci al compimento della fede, che spesso nasce come estetica, perché la bellezza muove l’intelligenza; poi diventa morale, per l’apprezzabile chiarezza dei Dieci Comandamenti, ma nulla è compiuto, senza un contatto, un vero dialogo cuore a cuore con colui che è il Salvatore vivente.