In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà» (Giovanni 16,12-15).
Questa pagina di Giovanni viene sempre chiamata in causa quando si parla del grande mistero della Trinità. Il fatto che Dio, in sé, contiene l’alterità – Dio cioè non è un solista –, ma una squadra di ottimi amanti, spiega il bisogno vitale e insopprimibile di relazione umana e di amicizia. Osservare l’uomo e il mondo con l’orizzonte della Trinità getta una grande luce su tutta la realtà, che si conferma immagine e somiglianza del Dio Uno e Trino. Tutti noi tendiamo a creare famiglie, parentadi, amicizie e ogni relazione umana, al modo della Trinità, dove nessuno attende che l’altro lo ami per primo. Siamo immagine e somiglianza di un Dio che è una santa compagnia. Guai ai soli!
Dentro la squadra che è Dio, tutti sono coeterni e della medesima sostanza, cambia solo l’origine, che è il Padre. Dentro a questa uniformità non assoluta, ci stiamo dentro anche noi e la materia inerte del creato. Dio non è uniformità assoluta, né fissità eterna! In lui c’è un po’ di differenza e tensione all’unità, continua circolazione di amore, come tendiamo a fare noi stessi, sforzandoci di diventare santi.
Tentare di capire il mistero di queste tre Persone, che pure sono un solo Dio (monoteismo), è come un se un bimbo volesse scavare una buca nella sabbia e riversarci tutta l’acqua del mare. È molto più rassicurata un’anziana devota signora, quando, infilando il suo ago per rammendare le calze, attacca con: Gloria Patri et Filio… forse sbagliando anche qualche desinenza latina – ma nelle chiese del Cielo capiscono benissimo.
Non è il caso di tentare di elevarsi al mistero della Trinità, quanto fare in modo che discenda a noi, con la stessa capacità di amare che ci ha mostrato il Figlio, fino alle suole delle nostre scarpe. Ecco l’adorazione eucaristica, dove ci si deve lasciare inondare di luce in un santo silenzio, luce di chi lascia parlare il Salvatore che trasfigura il volto di chi prega. Nell’adorazione eucaristica ci è dato di sfiorare il mistero di Dio: la creatura è di fronte al suo Creatore, come sarà per l’eternità beata. Paradossalmente, nella piccolezza, il niente contiene l’infinito: «In quel tempo Gesù disse: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza”» (Mt 11,25-26). L’adorazione – dove ci si abitua all’uso delle ginocchia – è il momento delle ineffabili confidenze divine.