Di Svitlana Dukhovych da Vatican news del 05/05/2024
«Per noi rappresentanti della Chiesa sta diventando sempre più difficile sostenere e incoraggiare le persone, perché siamo già nel terzo anno della guerra su larga scala. E tutto questo si ripercuote anche su di noi: anche noi siamo persone normali e sentiamo questo peso come tutto il nostro popolo. Però, nello stesso tempo, io noto quanto sia importante che la Chiesa sia presente qui, che continui ad aiutare il più possibile», dice il vescovo greco-cattolico Vasyl Tuchapets, esarca di Kharkiv, nell’intervista alla Radio Vaticana – Vatican News.
La situazione a Kharkiv
Mentre il vescovo assieme ai suoi fedeli si sta preparando a festeggiare la Pasqua, la terza nelle condizioni di guerra, nella città e nella regione non si fermano i bombardamenti, anzi negli ultimi mesi sono diventati più frequenti. «Ne risentono di più – spiega l’esarca – le località abitate che si trovano più vicino al confine con la Russia, più vicine al fronte. Alcune persone sono state evacuate da questi posti, molti si stanno trasferendo a Kharkiv. Per esempio, giovedì scorso, il giorno quando distribuiamo aiuti umanitari, ho parlato con un uomo che è arrivato da Vovchansk [5 km dal confine con la Russia – ndr] e lui ci ha mostrato delle foto di quello che è rimasto dalla sua casa colpita da una bomba, nient’altro che un mucchio di mattoni. L’uomo è venuto a chiedere vestiti, lenzuola, cibo e scarpe perché non ha praticamente nulla. A Kharkiv alloggia nell’appartamento dei suoi amici che avevano lasciato la città. Tante persone che si sono trasferite qui sono costrette a prendere un appartamento in affittano e spendono quel poco denaro che ricevono dallo Stato. Non gli rimane molto per comprare cibo e medicine. Si tratta quindi di una situazione umanitaria molto difficile”.
Il bisogno continuo degli aiuti umanitari
Ogni giovedì, dunque, il cortile della cattedrale greco-cattolica a Kharkiv è ancora pieno di gente che viene a chiedere sostegno. Il vescovo Tuchapets dice che purtroppo all’Esarcato riceve sempre meno aiuti e quindi non riesce a offrire molto alla gente rispetto a prima. «Noi continuiamo a dare loro tutto quello che abbiamo. Praticamente – tiene a precisare – riceviamo aiuto solo dall’Italia: dalla parrocchia ucraina di Santa Sofia a Roma, dall’elemosiniere apostolico, il cardinale Krajewski, dalla Caritas dell’Esarcato per cattolici ucraini di rito bizantino in Italia e anche dalla diocesi latina di Como. E siamo molto grati a tutti loro per questo».
Il clima teso
Gli attacchi russi, spiega il presule, prendono di mira soprattutto le infrastrutture. Ultimamente in città ci sono problemi con l’elettricità, che viene fornita a ore. Ma spesso vengono colpiti obiettivi civili, causando morti e feriti. «Per esempio qualche giorno fa – rammenta monsignor Tuchapets – due razzi sono caduti vicino a un ospedale. Fortunatamente, l’edificio non è stato colpito, sono state solo danneggiate le finestre e porte e una persona è stata ferita da una vetrata. Adesso il clima è piuttosto teso. Anche se ci stiamo preparando alla festa di Pasqua percepiamo la tensione, sentiamo sirene e bombardamenti in continuazione. Alcune persone se ne sono andate, soprattutto quelle che hanno bambini, ma non si tratta di un fenomeno di massa. Anzi, tanti sono rientrati dall’estero perché dicono che a casa si sta meglio».
I piccoli gesti di carità aiutano
Le persone, come sottolinea l’esarca di Kharkiv, hanno bisogno di sostegno. «I nostri vicini di casa dicono che quando c’è un sacerdote si sentono più tranquilli. Anche se per noi – prosegue – sta diventando sempre più difficile sostenere e incoraggiare le persone. E tutto questo si ripercuote anche su di noi: anche noi siamo persone come tutti e sentiamo il peso di questa situazione come tutto il nostro popolo. Ma è molto importante la presenza della Chiesa, dei sacerdoti, dei religiosi accanto alle persone in questo momento difficile. Cerchiamo di fare quello che possiamo. Ogni settimana vengono tante persone a chiedere gli aiuti umanitari, e poi esprimono tanta gratitudine. Di recente abbiamo distribuito alle persone le colombe pasquali inviateci dall’Italia e tutte erano molto contente di riceverle. Basta poco per tirarle un po’ su di morale. Quello che più conta è mostrare compassione gli uni verso gli altri, perché la gente qui è molto stressata, spesso ci chiedono quando finirà tutto questo. Per questo teniamo sempre aperte le porte della nostra chiesa, così le persone possono venire, fare domande, chiedere aiuto. E la Chiesa deve essere pronta, avere qualcosa per offrire loro».
La luce che squarcia l’oscurità
A Kharkiv, come anche in altre regioni dell’Ucraina (a parte quelle occidentali), durante il regime sovietico la trasmissione della fede da una generazione all’altra era stata interrotta. L’avvicinamento delle persone alla fede, avviato dopo il ripristino dell’indipendenza, avviene gradualmente e qui non ci sono ancora tanti fedeli praticanti. Però Pasqua è una delle poche feste in cui le persone vanno in chiesa, almeno per far benedire paska [ndr. pane che si prepara in Ucraina per la Pasqua]. Monsignor Tuchapets sostiene che, nonostante non sia solida, anche attraverso questa tradizione si manifesta la fede. «L’importante – dice – che la Chiesa continui la propria missione, continui a compiere gesti di umanità perché questo fa si che la gente si avvicini alla Chiesa».
«In questa situazione di guerra, sofferenza e dolore abbiamo la festa della Risurrezione di Cristo che ci dà speranza, ci dà la luce che squarcia questa oscurità. Cristo ha sofferto, ma è risorto e ci dà la gioia della risurrezione. Auguro a ciascuno di noi, anche in questo difficile periodo di guerra, di sperimentare questa gioia di incontrare il Cristo vivo e risorto e di condividere questa gioia, questo amore e questa misericordia con gli altri, con coloro che hanno bisogno del nostro sostegno e del nostro aiuto».