Di Gian Antonio Sella da Il Corriere della Sera del 07/05/2024
La maggior parte delle ragazze avevano più paura della “notte matrimoniale” che dell’esecuzione che le attendeva la mattina dopo. Poiché facevano sempre resistenza, dovevamo mettere un sonnifero nel loro cibo. La mattina dopo avevano uno sguardo vuoto, come se fossero pronte o volessero morire. Le confessioni di un miliziano iraniano in un’intervista al Jerusalem Post di una quindicina di anni fa tolgono il sonno a chi nei giorni scorsi ha letto la ricostruzione della Bbc sull’uccisione di Nika Shakarami, la sedicenne stuprata e assassinata il 20 settembre 2022 a Teheran perché partecipava a una protesta contro lo Hijab. Perché quelle parole agghiaccianti (il boia aggiungeva che «piangevano e gridavano dopo lo stupro. Non scorderò mai una giovane che dopo si era tutta graffiata il volto e il collo») ricordano che l’infame violenza sessuale su Nika aveva un movente, se possibile, ancora più aberrante. Come scrive in Love harder Barbara Stefanelli, infatti, «Negli anni Ottanta, si discusse molto — testi sacri alla mano — a proposito delle detenute vergini condannate a morte. Venne spiegato e rispiegato quanto fosse “necessario” evitare che “donne antislamiche” potessero avere accesso al paradiso, come sarebbe accaduto se giustiziate e ancora illibate. Niente paradiso, piuttosto un regolare certificato di “matrimonio temporaneo” con i secondini, un contratto pre-deflorazione. In decine di casi, saranno i funzionari delle carceri — si legge in un rapporto delle Nazioni Unite, firmato da Reynaldo Galindo Pohl, dal 1986 al 1995 incaricato di indagare sul rispetto dei diritti umani in Iran — a recapitare alle famiglie i documenti che certificano le nozze, talvolta accompagnati da una piccola dote. Poche monete, un vassoio di dolci. E una lettiga con il cadavere». Meno di un anno fa il sito iranwire.com raccontò che lo stesso ex capo del carcere di Teheran tra l’87 e l’88 Hussein Mortazavi Zanjani aveva riconosciuto che «le detenute vergini erano costrette a sposare le guardie prima della loro esecuzione (…) per evitare che morendo vergini finissero in paradiso». Mortazavi citò il padre, islamico ma evidentemente scosso dai dubbi, di una delle uccise: «Ciò che mi addolora e mi fa arrabbiare profondamente non è solo l’omicidio ma il fatto che mi abbiano portato dei soldi affermando che si era trattato di un matrimonio sancito dalla Sharia. Un gesto per me ancora più devastante della perdita di mia figlia».