Di Fulvio Fulvi da Avvenire 24/05/2024
«Perché vergognarsi di essere cristiani, di seguire cioè la dottrina, più vera, più santa, più bella, quella della Sapienza stessa Gesù Cristo, il più grande, il solo vero uomo?». I pensieri di Enrico Medi sulla fede erano preghiere in forma di poesia. Scienziato, innanzitutto, ma anche politico e persona attenta al progresso della società italiana, il venerabile Medi era nato il 26 aprile del 1911 a Porto Recanati, in provincia di Macerata, non lontano dal leopardiano “Colle dell’Infinito”.
A Belvedere Ostrense, dove la famiglia si trasferì durante il primo conflitto mondiale, il piccolo Enrico cominciò ad appassionarsi alla figura di Cristo: tutti i giorni frequentava la cappella della casa dei nonni materni, dove con i genitori e i fratelli andò ad abitare. Il padre, medico chirurgo, fu trasferito a Roma e qui il futuro scienziato studiò dai gesuiti all’Istituto Massimo e ad appena 17enne si iscrisse all’università: un’esperienza che lasciò il segno nella sua formazione culturale e spirituale. Fu tra i fondatori della Lega Missionaria Studenti, associazione a cui restò sempre fedele, fino a diventarne presidente onorario. Allacciò stretti rapporti con il cardinale vicario di Roma Francesco Marchetti Selvaggiani e con l’arcivescovo Roberto Ronca, fondatore del movimento Civiltà Italica, che considerava suoi maestri nella fede.
La politica fu un impegno costante della sua vita: con il deputato marchigiano Umberto Tupini fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana nella regione che gli diede i natali, poi fu eletto membro dell’Assemblea Costituente, consigliere comunale in Campidoglio e in seguito deputato. Conobbe personalmente e apprezzò Luigi Sturzo. «Cos’è la politica per un cristiano? – si chiese in un discorso pronunciato nel ’67 – è un servizio reso agli altri dimenticando se stesso, una rinunzia ai propri interessi e alla propria vanità: è un’altissima missione davanti a Dio, un apostolato di proporzioni sconfinate». Con Gabrio Lombardi, leader dei Comitati Civici, e con padre Virginio Rotondi, collaborò al progetto “Per un mondo migliore” che prevedeva corsi di formazione per sacerdoti e laici cattolici con l’obiettivo di rilanciare il cattolicesimo sociale in Italia nei primi anni del Dopoguerra. Laureato in fisica a soli 21 anni con una tesi sul neutrone discussa con Enrico Fermi (erano i tempi dei “ragazzi di via Panisperna) e subito dopo docente universitario a Palermo e Roma, Medi fu tra i primi curatori di programmi televisivi di divulgazione scientifica: le puntate, intitolate “Le avventure della scienza”, andarono in onda tra il ’54 e il ’56. Era capace di esporre regole e fenomeni complessi in modo semplice e diretto, il che attirava l’attenzione dei telespettatori su tematiche inerenti il cosmo e le leggi della fisica. Grande popolarità, però, gli derivò in occasione della diretta tv dedicata dalla Rai allo sbarco dell’uomo sulla luna, il 20 luglio del 1969: in studio commentò l’evento a fianco del giornalista Tito Stagno. Più volte affermò pubblicamente che «fede e ragione conducono alla Verità».
La sua attività scientifica si svolse però principalmente nelle aule e nei laboratori universitari e nell’Istituto Nazionale di Geofisica dove partecipò a ricerche ed esperimenti nel campo della sismologia, del magnetismo terrestre, delle radioonde e dell’ottica dell’atmosfera. Fu commissario italiano e vice- presidente dell’Euratom, a Bruxelles. La sua idea di Europa era la stessa espressa da Alcide De Gasperi: credeva nell’integrazione politico-economica tra gli Stati e nella necessità di rompere le barriere nazionali per preparare le nuove generazioni a una società fondata sulla pace e sullo sviluppo. « Il cammino è lungo – scrisse nel gennaio del 1958 –: leggi da eliminare, abitudini da cambiare, interessi, sia pure ristretti, ma sempre interessi da far tremare; tutto questo è difficile ma si farà, nel commercio, nell’economia, nell’unità delle monete, nei dazi, si farà nell’unire le migliori intelligenze delle nostre terre intorno ai misteri stupendi della natura e alla sua conquista».
Intensi i suoi rapporti con san Pio da Pietrelcina e Pio XII, il Papa di cui, come ricordò lui stesso in un discorso del 1965 «ero come un figlio devoto». Morì il 26 maggio del 1974. «Egli è stato un esempio vivente e propugnatore chiarissimo dell’armonia che regna tra la scienza e la fede, un’armonia che diventa in lui testimonianza di carità e di servizio, intelligente, competente, generoso, trasparente alla comunità ecclesiale e civile», osservò monsignor Odo Fusi-Pecci, vescovo di Senigallia, nell’omelia per l’introduzione della sua causa di beatificazione e canonizzazione.