Sul gusto cinematografico di PierLuigi Zoccatelli
di Luca Finatti
“Io costringerei a forza i militanti di Alleanza Cattolica a vedere Perfect Days …”.
Questa fu la confidenza ironica, ma non troppo, che PierLuigi Zoccatelli (1965-2024) mi fece in uno dei suoi ultimi messaggi che conservo con affetto e riconoscenza nella chat di Whatsapp, mai cancellata, perché ricca di consigli cinematografici e letterari, di riflessioni socio-politiche e di battute sulla comune passione calcistica (squadre diverse, ma non antagoniste).
Tutto ciò mi ricorda la generosità di chi trovava il tempo di rispondere sempre, in modo mai scontato o superficiale, alle domande che ponevo o alla condivisione che ricercavo.
Infatti fu proprio PierLuigi a esortarmi di riprendere a scrivere di cinema, arte che ho amato e odiato. Durante le nostre lunghe chiacchierate, lui mi ha spesso regalato uno sguardo inaspettato sui film cosiddetti ‘d’autore’, che avevano irretito e tormentato la mia gioventù cinefila.
Per lui il cinema non era soltanto uno degli attori rivoluzionari che, nel XX sec., ha contribuito non poco alla secolarizzazione e alla dissoluzione dei resti di civiltà cristiana, agendo soprattutto sui costumi, sulla morale e in interiore homine (come mi ero sempre più convinto), bensì un’arte complessa, aderente alla realtà come poche altre esperienze contemporanee, quindi capace di restituirci una sorta di radiografia, verosimile e adeguata, delle pulsioni contradditorie e delle aspirazioni autentiche dell’uomo, grazie al linguaggio universale delle immagini.
Il gusto raffinato di PierLuigi, unito a una sensibilità non comune per la forma estetica dell’opera d’arte, mi ha invitato a non essere manicheo nei miei giudizi e a cercare di seguire il consiglio di san Paolo “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono” (1Ts 5, 21).
Quando tentavo di giustificare l’interesse verso qualche film con l’espressione: “Mediocre nella forma, ma importante per i contenuti”, mi rimproverava amabilmente, dicendo che l’arte non dovrebbe essere piegata a fini propagandistici di nessun tipo, tantomeno considerata un’omelia sotto mentite spoglie.
Fare la contro-rivoluzione al cinema per lui voleva dire coltivare anzitutto il gusto per lo stile del regista, prima ancora del messaggio, più o meno necessario.
Questa sua posizione intransigente dipendeva dal fatto che PierLuigi cercava nel cinema, come in ogni altro aspetto della sua vita, l’occasione per contemplare Dio, dunque sapeva bene che ciò, nell’arte, può avvenire solo con scelte precise di linguaggio e di forma.
Inoltre i giudizi di PierLuigi, che a volte mi sorprendevano, penso dipendessero dalla sua capacità di contemplare Dio anche laddove sembrava assente, pure in quei film lontani da una visione cristiana dell’esistenza, ma che, nella sincerità della ricerca estetica, denunciavano comunque una nostalgia, un anelito, un desiderio, non del tutto sopito, di quel Dio che dà forma alle nostre vite.
Vorrei ripercorrere alcuni dei consigli cinematografici di PierLuigi perché è sempre più difficile teorizzare metodi del tutto oggettivi per giudicare la bellezza di un’opera d’arte, ma ciò che conta davvero è un gusto educato dalla ricerca di una vita buona, virtuosa, in ogni sfaccettatura della personalità.
Anzitutto Perfect days, opera del famoso e pluripremiato Wim Wenders, film che racconta la vita quotidiana di un anziano signore di Tokyo, addetto alle pulizie dei bagni pubblici della città.
La cinecamera segue l’uomo nella sua ripetitiva quotidianità, nel lavoro umile, svolto alla perfezione, ma lo mostra pure alle prese con sorprendenti incontri e imprevedibili intoppi nella sua routine.
L’operaio guarda spesso il cielo, fotografa la luce che attraversa le chiome dei ciliegi e ascolta il rock classico anni ’60.
Dopo la trasferta a Tokyo per un convegno sul buddismo, durante la Settimana Santa di quest’anno, PierLuigi mi disse, nell’ultimo nostro incontro, che si era seduto in uno dei parchi del film e si era messo anche lui a fotografare i ciliegi, stupito di quante famiglie giapponesi facessero lo stesso, in modo silenzioso e ordinato. Mi disse pure che sembrava di “stare in Paradiso”.
Parlammo poi spesso di un regista oggi tra i più acclamati, Denis Villeneuve, autore del bellissimo Arrival, ma soprattutto di Dune e Dune – Parte 2, saga nella quale PierLuigi ammirava le tracce esplicite di una struttura feudale della società rappresentata e di uno spirito cavalleresco d’altri tempi, presenti soprattutto nella prima parte, mentre la seconda l’aveva un po’ deluso.
Mi riprometto inoltre di vedere prestoThe Irishman (la vera storia di Frank Sheeran, l’irlandese che uccise il sindacalista Jimmi Hoffa), opera di Martin Scorsese, uno dei registi più amati da PierLuigi, forse perché, abbandonato il seminario cattolico frequentato da giovane, l’artista statunitense non ha mai smesso d’interrogarsi sul senso del male e sulla possibile redenzione, riempiendo il suo cinema di personaggi ‘cristologici’, spesso ambigui certamente, ma sintomi di una devozione intima per Cristo e per il suo sacrificio, unica risposta alla violenza feroce del mondo.
In questo senso è esemplare un film che PierLuigi, entusiasta, mi fece scoprire: L’isola (2006) di Pavel Lungin, la vicenda di un monaco ortodosso (un vero monaco che interpreta se stesso, la storia è in parte biografica) che si è convertito dopo aver commesso un omicidio e giunge in monastero per espiare i suoi peccati.
Era facile, partendo da questo film, arrivare a discutere di Fëdor Dostoevskij (1821-1881), lo scrittore preferito da entrambi e sul quale PierLuigi scrisse, in gioventù, un saggio intrigante. Senza dimenticare Andréj Tarkóvskij (1932-1986) e il suo cinema per iniziati.
Voglio ancora ricordare uno dei registi più originali e anticonformisti che PierLuigi mi ha spinto ad approfondire: Terrence Malick, del quale uscì nel 2020 il film La vita nascosta – Hidden Life, dedicato al beato Franz Jägerstätter (1907-1943), il contadino austriaco giustiziato perché rifiutò di arruolarsi nell’esercito nazista per ragioni di fede.
Lo stile ‘trascendentale’ di Malick, riprendendo la nozione del regista e sceneggiatore Paul Schrader, destava l’interesse di PierLuigi, alla ricerca di perle preziose da condividere, come l’altro suo capolavoro, il criptico The Tree of life, 2011, meditazione visionaria sul significato della creazione e sulla sua destinazione ultima.
Ricordo infine due sue proposte di cineforum alle nostre riunioni di Croce.
Una fu Diario di un curato di campagna, 1950, capolavoro di Robert Bresson (1901-1999), ispirato al famoso romanzo di Georges Bernanos (1888-1948), mentre l’altra mi fu solo raccontata da lui: poco dopo essere entrato in Alleanza Cattolica, presentò Il cielo sopra Berlino,1987,sempre Wim Wenders.
Si narra di due angeli custodi che vigilano sugli abitanti di Berlino, ascoltandone i pensieri e cercando d’influire in modo benefico sulla mente di chi è triste o disperato.
Ma uno dei due si stanca di guardare la vita dall’alto e dall’esterno, decide di diventare umano e di andare alla ricerca della trapezista amata che lo sta misteriosamente aspettando.
L’opera non c’entra molto con l’angelologia cattolica, sembra piuttosto una riscrittura allegorica del mistero dell’Incarnazione. Infatti la volontà d’amore di Dio, che arriva ad abbassarsi fino all’umano, inviando il proprio Figlio, anima e corpo, per attrarre a sé e salvare tutto il mondo creato, qui è simboleggiata dall’angelo che abbandona la sua condizione spirituale per ottenere un corpo, capace di condividere la sofferenza altrui e abbracciare chi si ama.
Un film da vedere e rivedere, anche per quel tanto d’insondabile, presente nei dialoghi finali e in particolare nelle parole dell’angelo umanizzato con le quali il racconto si conclude:
“È successo qualcosa e continua a succedere qualcosa che mi vincola.
Era notte e adesso è giorno, tanto più adesso.
Chi era, chi? Io ero in lei e lei era intorno a me. Chi al mondo può dire di essere mai essere stato insieme a un altro essere umano.
Io sono insieme. Nessun bimbo mortale è stato concepito, ma un’immagine immortale, comune.
Questa notte ho imparato a stupirmi, è venuta a prendermi e l’ho trovata a casa.
C’era una volta, c’era una volta e dunque ci sarà.
L’immagine che abbiamo creato sarà l’immagine che accompagnerà la mia morte. In questa immagine avrò vissuto.
Solo lo stupore su di noi, lo stupore dell’uomo e della donna ha fatto di me un uomo.
Io ora so ciò che nessun angelo sa”.
Nel Trigesimo di PierLuigi Zoccatelli (30 luglio 1965 – 24 maggio 2024)
Sabato, 22 giugno 2024