Di Dominik Duka da Il Foglio del 09/07/2024
A seguito dell’incontro dei rappresentanti della Chiesa e del governo cinese a Roma lo scorso 21 maggio, a commemorazione del centenario del primo Concilio della Chiesa cattolica in Cina, pare opportuno ripercorrere la storia – e con essa i risultati – della diplomazia papale, le cui origini risalgono almeno al V secolo.
Come il nostro Catechismo specifica, la Chiesa è testimone sia della nostra comune dignità sia della vocazione del singolo all’interno della comunità di persone; al contempo, ci istruisce riguardo alle necessità di giustizia, libertà, sviluppo, relazioni umane e pace. E’ nella complessa rete di relazioni sociali internazionali che la Chiesa cerca di rendere conosciute le richieste del Vangelo. Gesù Cristo è dopotutto non solo il salvatore dell’individuo, ma anche il redentore delle singole unità sociali e della società nel suo complesso.
Il Papato ha saputo impiegare una rete di suoi rappresentanti presso le Chiese locali e gli Stati, solitamente attraverso vescovi ambasciatori o legati pontifici, la cui forma si consolidò successivamente alle guerre napoleoniche, con il Congresso di Vienna (1814-1815). Ancora oggi, la diplomazia papale è di fondamentale importanza negli sforzi volti a ridurre le oppressioni, prevenire repressioni e violenza e prevenire o por fine ai conflitti bellici. Anche dove la guerra sembra inevitabile, la diplomazia pontificia non teme di esporsi e di discernere le caratteristiche della guerra giusta e della legittima difesa.
Le dittature totalitarie del Ventesimo secolo hanno evidenziato non solo il bisogno, ma la necessità di questo ministero ecclesiastico. Invero, un capitolo particolarmente eroico della diplomazia vaticana fu scritto da Achille Ratti e da Eugenio Pacelli, divenuti poi Pontefici (rispettivamente Pio XI e Pio XII), la cui esperienza diplomatica ed erudizione portarono frutti inaspettati e assicurarono alla Chiesa una missione che non solo le portò ammirazione, ma che le rese possibile anche di prosperare su scala globale. Le loro successive encicliche non si possono immaginare a prescindere dal loro precedente servizio diplomatico presso le nunziature. La difficoltà della Chiesa durante il Secondo conflitto mondiale, il suo supporto alla resistenza nella Repubblica Ceca, in Polonia e altrove, così come il suo contributo alla costruzione di un mondo in pace meritano non solo ammirazione, ma anche gratitudine per questi uomini di Chiesa coraggiosi.
La fine degli anni Cinquanta, tuttavia, fece da sfondo a una trasformazione del servizio diplomatico. I princìpi della lotta per la libertà eper la dignità umana cominciavano a essere accantonati a favore di una politica di distensione che era promossa prevalentemente dalla sinistra e dagli stati comunisti. La diplomazia vaticana favorì una forma di realismo e di diplomazia “silenziosa” (nota come “Ostpolitik”) che trattava in maniera più simile a quella degli stati nazionali, i quali talvolta subordinano valori propri dello stato di diritto per raggiungere i propri scopi. La diplomazia vaticana mirava a concludere accordi bilaterali per salvaguardare la vita delle comunità locali e ciò anche sacrificando i desideri e le aspettative delle chiese locali. Nel tentativo di “cooperare” con i regimi comunisti, il Vaticano provò ad adottare un metodo più dolce, cedendo sui temi dei diritti umani e della libertà religiosa. Prelati come il cardinale Jószef Mindszenty divennero la coscienza della Chiesa cattolica, confinati per il loro rifiuto al compromesso. Dozzine di vescovi furono detenuti nelle prigioni comuniste d’Europa, Cina e Vietnam. Alcuni di essi, come Ignatius Kung, trascorsero decenni in prigione. Durante quegli anni, ci trovavamo a camminare sulle orme di vescovi eroici come il lituano Theophilus Matulionis – esempi che ci hanno mostrato come gli ideali non debbano mai inginocchiarsi di fronte a realtà inaccettabili. Molto prima di lui, vescovi come san John Fisher, poi condannato a martirio da re Enrico VIII, pregavano per tali “forti e potenti pilastri”, riconoscendo che anche gli apostoli “altro non erano che argilla tenera e malleabile fino a che non furono fortificati dal fuoco dello Spirito Santo”.
Un simile pilastro emerse. La diplomazia silenziosa fu abilmente superata sotto Papa Giovanni Paolo II, il quale fortificò le reti di informazione sotterranea e dissidente per poter alzare la propria voce ed estendere il proprio raggio d’azione. Egli insistette perché il Vangelo di Gesù Cristo fosse reso pubblico in ogni occasione. Contro le speranze dei comunisti polacchi, portò la verità ad un popolo che rispose cantando “vogliamo Dio”. Gli ideali e i princìpi della sua missione diplomatica erano radicati nella rivelazione divina – la Bibbia – e nella tradizione della Chiesa. Divennero visibile e indispensabile parte del suo ministero papale globale. La lotta per la dignità e per i diritti della singola persona creata a immagine di Dio, il bene fondamentale della famiglia e l’autonomia della nazione avevano tutti in lui un forte sostenitore.
Oggi la Chiesa affronta minacce e sfide differenti. Nell’occidente in generale, e nel mio stesso paese, si verificano tentativi di escludere la Chiesa – e le verità sulla persona umana – relegandole lontano dalla sfera pubblica.