Don Stefano Caprio, Cristianità n. 424 (2023)
Una nuova opera di don Augustyn Babiak — polacco di nascita, sacerdote cattolico di rito bizantino, attualmente responsabile della comunità greco-cattolica ucraina del Trentino-Alto Adige —, Per amore del suo popolo. La vita eroica del metropolita Andrea Szeptyckyj (1865-1944) (1), permette anche al pubblico italiano di conoscere una figura cruciale nella storia dei rapporti fra i territori orientali e occidentali dell’Ucraina, oggi al centro dell’attenzione mondiale per il conflitto iniziato a febbraio del 2022, con l’invasione di essa da parte della Russia decisa da Vladimir Putin, i cui esiti sono ancora incerti, ma già estremamente tragici. La vita di Romano Alessandro Maria «Andrej» Szeptyckyj — arcivescovo maggiore di Leopoli degli Ucraini e metropolita di Halyč —, proclamato venerabile nel 2015, si svolse proprio in anni drammatici, fra la rivoluzione bolscevica, le due guerre mondiali e il dominio dei regimi totalitari in Europa, e può insegnare molto anche per i nostri tempi.
Mi permetto di inserire un piccolo ricordo personale, legato alla figura di Szeptyckyj e risalente al periodo successivo al crollo dell’impero sovietico. Ero parroco cattolico nella città di Vladimir, a duecento chilometri da Mosca, dove inaugurammo una delle prime chiese ricostruite dopo il comunismo, quella della Madonna del Rosario accanto alle Porte d’Oro dell’antica capitale della Rus’, già allora avversaria di Kyiv. In quel luogo sorge anche una prigione fra le più tristemente famose degli anni del totalitarismo, la cosiddetta Vladimirskij Central, che ebbi l’opportunità di visitare insieme a un sacerdote ortodosso, padre Evgenij Borovskikh, che ne era divenuto il cappellano. Intrattenevamo buoni rapporti con la dirigenza del carcere e riuscii a visionare la documentazione relativa ai detenuti cattolici, fra cui spiccava il nome di Klimentyj Szeptyckyj (1869-1951), fratello di Andrej, che pure era passato da quelle parti quando fu arrestato ai tempi della Russia zarista, nel 1914, trascorrendo un periodo di reclusione nei palazzi monastici della vicina Suzdal.
Al fratello Kazimir, divenuto Klimentyj dopo la professione monastica, il metropolita Andrej aveva affidato nel 1939 la cura di tutti i greco-cattolici della Russia sovietica, incarico confermato dal metropolita Iosif Slipyj (1892-1984) dopo la morte di Andrej nel 1944. Klimentyj venne arrestato nel 1947 a Kyiv e condannato a otto anni da scontare nella Central, dove morì nel 1951. Con i monaci greco-cattolici ucraini del rinato convento di Univ, anch’esso legato alla memoria di Andrej Szeptyckyj, riuscimmo a ritrovare il luogo della sepoltura di Klimentyj, in una fossa comune accanto alla prigione, dove non era possibile distinguere le ossa dei tanti detenuti giustiziati. Ci permisero comunque di innalzare una croce e di radunarci in preghiera, installando quindi una lapide memoriale nel cimitero di Vladimir. In questo modo la cura pastorale della sofferenza, testimoniata dai fratelli Szeptyckyj, continua a produrre i suoi frutti anche nei tempi difficili che si stanno vivendo in quelle terre.
L’importanza della vita di Andrej Szeptyckyj è strettamente legata alla storia del popolo ucraino, diventato una nazione indipendente soltanto dopo la fine dell’Unione Sovietica (URSS). Il metropolita ha vissuto agli inizi del Novecento uno dei momenti più importaqnti per la coscienza nazionale degli ucraini, che tentarono senza successo di rendersi autonomi tra la fine dell’impero zarista e la nascita di quello sovietico. Szeptyckyj era uno dei fautori più convinti e motivati della creazione di una vera Ucraina indipendente e il suo approccio lo accosta ad altre figure storiche che vale la pena di ricordare.
Nell’ottima appendice di Giovanni Codevilla vengono ricordate con precisione le tante vicende storiche degli ucraini dai tempi di Pietro I Romanov «il Grande» (1672-1725) alla fine dello zarismo, che prendono origine dalle fasi più antiche della storia «di tutte le Russie». Oggi a Mosca, nell’ottica che ha ispirato la guerra russa contro l’Ucraina, si vuole perfino negare il titolo della «Rus’ di Kyiv», rinominandola «Rus’ di Novgorod», la città del nord che per prima aveva formato una sintesi etnica fra slavi e variaghi, di cui Mosca sarebbe l’unica vera erede. Qui sta uno dei nodi del confronto tra le popolazioni di quelle terre, che fin dalle origini erano divise fra spinte contrapposte, settentrione e mezzogiorno, oriente e occidente. Szeptyckyj aveva ben chiara questa dimensione, che può essere paragonata agli storici incontri e assimilazioni di greci e romani, latini e germanici, angli e scandinavi, creatori di quello straordinario continente che noi chiamiamo Europa, distinto non per la geografia — è di fatto un’appendice dell’Asia —, ma per la cultura, l’arte e la religione, nel confronto tra le diverse ispirazioni.
Questa «sintesi spirituale» era stata particolarmente esaltata nel 1596, quando venne proclamata l’Unione di Brest, risposta occidentale alle pretese orientali di Mosca, che sette anni prima aveva istituito il patriarcato della «Terza Roma». Gli uniati e gli ortodossi si confrontarono con asprezza e anche con violenza, come nel 1623, quando venne ucciso l’arcivescovo di Polock, ora in Bielorussia, Josafat Kuncewycz O.S.B.M. (1580/1584-1623), martire della Chiesa uniate. Proprio questa figura costituisce uno dei modelli dello stesso Szeptyckyj, non solo per le persecuzioni subite, ma per la dedizione alla missione di «unione». Non si trattava di contendersi i fedeli in una forma di proselitismo aggressivo, ma di convincere le popolazioni locali che non vi era motivo di rimanere separati fra greci e latini, essendo questa la vera grandezza del cattolicesimo, l’accoglienza di tutte le tradizioni. Negli stessi anni a Kyiv agiva un monaco e metropolita ortodosso, Petro Mogila (1596-1647), fondatore dell’Accademia Teologica, ispirata dalla scolastica gesuitica, alma mater di tutte le scuole e università della Russia stessa. Anche Movilă era una figura «profetica» per Szeptyckyj, basando la sua autorità ecclesiale e sociale sulla cultura e il dialogo, fino a proporre alla Santa Sede una nuova «Unione» che perfezionasse quella di Brest, rispettando maggiormente le tradizioni ortodosse ed evitando ogni forma di «latinizzazione», progetto che non si realizzò per la morte prematura del metropolita. Questa era proprio l’impostazione cercata da Szeptyckyj, proveniente da una famiglia ucraina latinizzata, che intendeva riscoprire le autentiche tradizioni dell’Oriente bizantino. E questa è la vera natura dell’Ucraina, a livello sia religioso sia politico: essere un ponte d’incontro e dialogo fra i popoli, le Chiese e le culture, superando i muri di divisione dell’Europa, che oggi si rialzano come ai tempi del Muro di Berlino e della Guerra Fredda.
Szeptyckyj visse negli anni in cui prendeva forma il «movimento ecumenico», che dagli inizi del secolo XX avrebbe poi sviluppato grandi occasioni d’incontro fra i vari rami del cristianesimo europeo e mondiale. Il metropolita ebbe modo di incontrare personalmente il grande visionario russo Vladimir Solovʼëv (1853-1900), filosofo e teologo, che cercava d’ispirare i sovrani e le gerarchie ecclesiastiche di ogni confessione all’unione, da lui descritta nella sua monumentale opera su La Russia e la Chiesa universale (2).
Proprio i discepoli di Solovʼëv, dopo la Rivoluzione di Febbraio a Pietrogrado nel 1917, furono radunati da Szeptyckyj per formare l’esarcato greco-cattolico russo, affidato al protopresbitero Leonid Ivanovič Fëdorov (1879-1935), morto martire a opera dei sovietici nel 1935 e proclamato beato da san Giovanni Paolo II (1978-2005) nel 2001. Solovʼëv aveva proposto l’ideale della sobornost, l’unione universale «cattolica»: il termine, infatti, traduceva la terza nota della Chiesa nel Simbolo della Fede e il primo a scegliere questa definizione slava era stato Petro Movilă. La parola «cattolico», che significa appunto universale, era diventata troppo di parte, soprattutto con il rafforzativo «romano-cattolico», e non rende veramente la giusta dimensione neanche nella variante «greco-cattolica». Sobornyj significa «conciliare», richiamando la Chiesa unita dei Padri dei primi secoli, riscoprendo la vera natura della Chiesa.
Il metropolita Andrej Szeptyckyj era un vero cultore della grande teologia patristica, delle sue radici monastiche, della liturgia e della cultura cristiana universale. Allo stesso tempo era un uomo profondamente attento alle vicende del tempo in cui viveva, alla politica e ai problemi sociali, provenendo anche da una famiglia aristocratica molto impegnata nella vita pubblica. Saper coniugare le dimensioni spirituali ed eterne con quelle transeunti e contraddittorie è proprio la qualità che manca al mondo di oggi, schiacciato su falsi ideali di «sovranità aggressiva» o di «globalismo omologante», che impediscono di riscoprire e affermare in modo nuovo l’identità della persona, dei popoli e dei continenti. Dobbiamo rivolgerci al venerabile Andrej Szeptyckyj per ottenere qualche luce non solo per la Russia e l’Ucraina, il cattolicesimo e l’ortodossia, ma per tutta l’umanità del secolo XXI, che cammina verso l’ignoto, ma può ritrovare sé stessa nel passato.
Note:
1) Cfr. Augustyn Babiak, Per amore del suo popolo. La vita eroica del metropolita Andrej Szeptyckyj (1865-1944), Il Pozzo di Giacobbe, Trapani 2023.
2) Cfr. Vladimir Sergeevič Solovʼëv, La Russia e la Chiesa universale e altri scritti, introduzione, traduzione e note di Adriano Dell’Asta, La Casa di Matriona, Milano 1989.