L’irrequieta esistenza del vagabondo Andreas trova luce e compimento nella “piccola santa Teresa” di Lisieux che opera nella sua anima come i rintocchi della cathédrale engloutie…
di Stefano Chiappalone
Ogni mattina, come molti di coloro che si recano al lavoro, resto bloccato tra ingorghi e semafori rossi. Ma col passare del tempo uno di questi semafori mi è divenuto particolarmente caro: è quello che mi “costringe” a sostare in prossimità di una chiesa carmelitana. In cima alla facciata è ben visibile una candida statua di santa Teresa di Lisieux (1873-1897), così che di giorno in giorno è ormai abituale rivolgerle lo sguardo e anche qualche parola ingannando l’attesa. Alla fine quasi mi dispiace quando il semaforo ridiventa verde, interrompendo il rapido “appuntamento” mattutino con la “piccola Teresa”. Di tanto in tanto, quando arrivo (raramente) in anticipo, faccio una piccola deviazione per andare a trovarla e accenderle una candela, ma in ogni caso non viene mai meno quel quotidiano colloquio a distanza.
Un colloquio che mi riporta indietro nel tempo, a un libro che mi fu prestato casualmente molti anni fa e divenne il primo tassello di quella che potrei definire la mia Weltanschauung. Più precisamente era un racconto, anzi una leggenda: La leggenda del santo bevitore (Adelphi, Milano 1980), dello scrittore austriaco Joseph Roth (1894-1939), la cui vita esule e irrequieta trova molte corrispondenze con quella del protagonista Andreas Kartak. Quest’ultimo è un vagabondo che vive sotto i ponti lungo la Senna e un giorno, anzi «una sera di primavera dell’anno 1934», vede venirgli incontro un distinto signore che gli offre duecento franchi. A una sola condizione, precisa il donatore: «Deve sapere che sono diventato cristiano dopo aver letto la storia della piccola Teresa di Lisieux. E adesso sono particolarmente devoto a quella statuetta della Santa che è nella cappella di Santa Maria di Batignolles, e che lei non avrà difficoltà a trovare. Non appena, dunque, avrà i miseri duecento franchi, se la sua coscienza la spingerà a non rimanere in debito di questa somma ridicola, vada, la prego, nella chiesa di Santa Maria di Batignolles e depositi là, nelle mani del prete che avrà appena finito di dire la messa, il denaro. Perché se c’è qualcuno a cui lei è debitore, non può essere altri che la piccola santa Teresa».
Mezzo barcollante, Andreas prese «un pezzetto di carta e un mozzicone di matita, e si scrisse l’indirizzo della piccola santa Teresa e la somma di duecento franchi, che da quel momento le doveva». L’indomani dopo aver «dormito stranamente bene […] si ricordò, dopo lunga riflessione, che il giorno prima aveva vissuto un miracolo, un vero miracolo». Il racconto prosegue con il sincero desiderio di Andreas di tener fede alla promessa e le mille distrazioni che ogni volta gli impediscono di onorare il debito: un compagno di bevute, un bicchiere di troppo (anche più di uno), una donna con cui finisce per passare la notte e i soldi immancabilmente scialacquati poco prima di poterli portare alla «piccola santa Teresa», la quale una volta gli appare anche in sogno, rimproverandolo dolcemente per non essere ancora andato a trovarla. Ma alla fine… senza anticipare nulla a chi non lo avesse letto possiamo dire che il vagabondaggio di Andreas si compie proprio ai piedi della santa.
Bevitore, sì, ma un «santo bevitore», in virtù del contrasto tra la sua vita dissoluta e il candore di Teresa, che opera nell’anima del vagabondo come i rintocchi della cathédrale engloutie (la cattedrale sommersa della leggenda bretone), risvegliando la nostalgia dell’innocenza in quell’uomo, logoro e alcolizzato, che l’innocenza l’aveva perduta da un pezzo.
Quei rintocchi riecheggiano per chiunque, anche in vite meno estreme di quella di Andreas ma non meno esuli o interiormente irrequiete, nell’apparente banalità del quotidiano e nella colonna di auto bloccate nel traffico, dove ogni mattina, a quel “benedetto” semaforo, trovo ad attendermi la «piccola santa Teresa».
Sabato, 28 settembre 2024