Gli assassini dell’arcivescovo Tommaso Becket giustificandosi mistificano la verità del loro gesto, il coro manifesta la loro menzogna rivelando il valore dell’effusione del sangue del martire Tommaso, che santificherà lo stesso suolo anche nel tempo della violenza e dell’abbandono di Dio: “ Dove un santo ha abitato, dove un martire/ ha dato il suo sangue per il sangue di Cristo,/ là il suolo diventa santo e il suo essere santo/ non sarà mai perduto,/ nemmeno se lo calpesteranno gli eserciti,/ nemmeno se arriveranno i turisti/ a visitarlo con le guide”.
di Leonardo Gallotta
Nella seconda e ultima parte di Assassinio nella Cattedrale ci si trova all’interno dell’Arcivescovado dove risiede Tommaso Becket. E, come nella prima parte, è il coro a cominciare. Esso, costituito dalle donne di Canterbury, esprime l’angoscia di un’attesa: “Come può a Natale nel tempo/della nascita di Nostro Signore,/ non esserci pace sulla terra/ né tra gli uomini buona volontà?/ La pace di questo mondo sarà sempre incerta/ finché gli uomini non avranno imparato/ a sentirsi in pace con Dio”. Si presentano poi in scena i tre preti che ricordano le tre ricorrenze dopo il Natale: Santo Stefano, San Giovanni apostolo, i Santi Innocenti. Dopodiché entrano i quattro cavalieri che arrivano dalla Francia e rifiutano il pranzo offerto loro dai tre preti. Chiedono di vedere immediatamente l’Arcivescovo perché vengono da parte del Re.
Accolti dall’Arcivescovo, gli ricordano tutti i favori avuti dal sovrano e lo accusano di averlo ingannato, imbrogliato, di avere rotto il giuramento e quindi di averlo tradito. Tommaso chiede che le accuse siano fatte in pubblico, ma i cavalieri non accettano ed anzi ordinano a Tommaso di lasciare Canterbury e l’Inghilterra. Dopo molti battibecchi e insulti esce di scena Tommaso ed escono pure i cavalieri.
Interviene il coro che dice di sentire ovunque odore di morte: nel cibo, nei versi degli animali, nei fiori. Le donne di Canterbury dicono di aver fiutato i portatori di morte, anche se ormai è troppo tardi per agire. “Ora è possibile solo il vergognoso svenimento/ di coloro che acconsentono all’ultima umiliazione./ Io ho acconsentito, mio signore Arcivescovo, io sono/ tra coloro che hanno acconsentito”. E chiedono perdono. Entrano poi in scena i preti che vorrebbero portar via l’Arcivescovo. Tommaso si rifiuta e la scena viene cambiata in quella della Cattedrale. Il coro esprime tutta la sua paura.
I preti vogliono sbarrare la porta della Cattedrale, ma l’Arcivescovo lo proibisce e dice: “Spalancate la porta! Non voglio/ che la casa della preghiera, la Chiesa di Cristo, / il santuario diventi una fortezza. /….. La Chiesa deve essere aperta, anche ai nostri nemici”. Entrano i cavalieri che continuano con le loro accuse. Tommaso si rivolge a Dio, a Maria e a tutti i santi. I cavalieri, a spade sguainate, lo uccidono. Il Coro piange per il sangue versato dal proprio Arcivescovo.
Il testo eliotiano presenta infine i cavalieri che, di fronte al pubblico, si presentano e cercano di giustificare la loro azione. È Reginaldo Fitz Urse che invita il pubblico a prestare un po’ di attenzione per sentire, secondo le regole del fair-play inglese, anche le ragioni dei cavalieri. Si dichiara più uomo di azione che di parola e quindi presenta subito il primo oratore, il Barone William de Traci. Questi, dopo avere affermato che ciò che hanno fatto è cosa di non poco conto e che prima di arrivare a tale azione egli aveva bevuto parecchio per darsi la forza di compiere un gesto così terribile come l’uccisione di un Arcivescovo, tiene a precisare che lui e i suoi tre compagni, qualunque cosa se ne possa pensare, hanno agito in modo assolutamente disinteressato. Per bene che vada dovranno infatti passare il resto della loro vita in esilio.
Subentra successivamente Ugo De Morville. Questo cavaliere spiega che il Re voleva portare ordine nel suo regno mettendo un freno alle eccessive pretese dei poteri locali e per questo aveva pensato che Becket potesse unire in uno solo i suoi due uffici, quello di Cancelliere e quello di Arcivescovo. Se Becket avesse assecondato i voleri del Re “avremmo avuto – dice De Morville – uno Stato quasi ideale: l’unione del potere spirituale e temporale sotto un governo centrale”. Invece Becket, dopo la nomina ad Arcivescovo e dopo aver dato le dimissioni da Cancelliere, è diventato più pretesco dei preti, rivendicando per la Chiesa privilegi contrastanti col superiore interesse dello Stato. E dunque ciò che è stato fatto (l’uccisione) ha avuto lo scopo esclusivo di servire gli interessi dei sudditi inglesi.
E’ poi la volta dell’intervento, forse il più cattivo, dell’ultimo cavaliere, Riccardo Brito. Costui, dopo aver ricordato le benemerenze di Becket quando era Cancelliere, afferma che, diventato Arcivescovo, rovesciò completamente la sua politica e il culto di se stesso crebbe sempre più, fino a diventare una indubbia mania. “Io ho le prove inoppugnabili che prima di lasciare la Francia lui aveva predetto, con assoluta certezza e in presenza di numerosi testimoni, che non gli restava molto da vivere e che sarebbe stato ucciso in Inghilterra. Insomma…. dalla sua condotta non si può trarre altra conclusione se non questa: che egli aveva deciso di morire con l’aureola del martire”. Anche alla fine avrebbe potuto fuggire e tenersi alla larga dai cavalieri. “Ma era proprio ciò che lui non voleva accadesse; insisteva, mentre eravamo ancora infiammati dall’ira, che le porte fossero aperte. Devo aggiungere altro?” Brito crede che si debba emettere, senza esitare, un unico verdetto: suicidio per Infermità Mentale.
Infine il primo cavaliere, Reginaldo Fitz Urse, invita i fedeli a tornare a casa e a non far niente che possa mettere in pericolo l’ordine pubblico. Chiudono i tre preti con invocazioni a Tommaso. PRIMO PRETE: ‘Mio Signore, tu che nel nuovo stato hai raggiunto/ una gloria che ci rimane nascosta,/prega per noi nella tua carità’. SECONDO PRETE: ‘Congiunto finalmente nella visione di Dio’ / ai martiri e ai santi che ti avevano preceduto,/ ricordati di noi’. TERZO PRETE: ‘Salga il nostro ringraziamento verso Dio/ che ci ha dato un altro santo a Canterbury’. E così conclude anche il coro: “Dove un santo ha abitato, dove un martire/ ha dato il suo sangue per il sangue di Cristo,/ là il suolo diventa santo e il suo essere santo/ non sarà mai perduto,/ nemmeno se lo calpesteranno gli eserciti,/ nemmeno se arriveranno i turisti/ a visitarlo con le guide./ Da dove i mari dell’Ovest/ corrodono le coste di Iona/ fino al deserto dove abita la morte,/ fino ai luoghi dimenticati dove si prega/ davanti alla colonna imperiale spezzata,/ da quel mondo scaturisce/ ciò che rinnova la terra per sempre,/ anche se è sempre rinnegato. E allora,/noi ci volgiamo a ringraziarti, Dio / che hai dato questa benedizione a Canterbury”.
Sabato, 5 ottobre 2024