di Michele Brambilla
Quando, domenica 24 febbraio, si affaccia dal balcone del Palazzo Apostolico per la recita dell’Angelus, Papa Francesco ha da poco concluso la “quattro giorni” espressamente convocata «[…] sul tema della Protezione dei minori». Il Papa non tace che «[…] il problema degli abusi sessuali nei confronti di minori da parte di membri del clero ha suscitato da tempo grave scandalo nella Chiesa e nell’opinione pubblica, sia per le drammatiche sofferenze delle vittime, sia per la ingiustificabile disattenzione nei loro confronti e la copertura dei colpevoli da parte di persone responsabili nella Chiesa», pertanto ribadisce che, come comunità ecclesiale nella sua interezza, «Vogliamo che tutte le attività e i luoghi della Chiesa siano sempre pienamente sicuri per i minori; che si prendano tutte le misure possibili perché simili crimini non si ripetano; che la Chiesa torni ad essere assolutamente credibile e affidabile nella sua missione di servizio e di educazione per i piccoli secondo l’insegnamento di Gesù».
Gesù, rammenta il Vangelo della VII domenica del Tempo ordinario (cfr. Lc 6,27-38), non ha voluto porre rimedio al male opponendovi una violenza di segno contrario: «Le parole di Gesù sono nette: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male” (Lc 6,27-28)». Come dice anche san Paolo, «[…] vincete il male con il bene» (Rm 12,21). Il male, infatti, non è mai un atto di riparazione nei confronti di un altro male: solo il bene ricostruisce davvero. «La logica dell’amore», ribadisce il Pontefice, «che culmina nella Croce di Cristo, è il distintivo del cristiano e ci induce ad andare incontro a tutti con cuore di fratelli», anche se certamente costa parecchio perché sembra un atteggiamento da “perdenti”. «Non c’è nulla di più grande e più fecondo dell’amore», ripete ancora Francesco: «esso conferisce alla persona tutta la sua dignità, mentre, al contrario, l’odio e la vendetta la sminuiscono, deturpando la bellezza della creatura fatta a immagine di Dio», presente anche in chi, come i pedofili, porta con sé una colpa terribile.
I media non perdonano mai. Invece del peccato, condannano spietatamente il peccatore e pretendono che tutti lo ostracizzino. «A volte», spiega il Santo Padre, «per noi è più facile ricordare i torti che ci hanno fatto e i mali che ci hanno fatto e non le cose buone; al punto che c’è gente che ha questa abitudine e diventa una malattia. Sono “collezionisti di ingiustizie”: ricordano soltanto le cose brutte che hanno fatto. E questa non è una strada» percorribile dal cristiano, che deve porsi, invece, alla scuola della Divina misericordia.
“Scuola” vuol dire proprio discepolato, acquisire una cultura. «Questo comando, di rispondere all’insulto e al torto con l’amore, ha generato nel mondo una nuova cultura: la “cultura della misericordia – dobbiamo impararla bene!, e praticarla bene questa cultura della misericordia – che dà vita a una vera rivoluzione” (Lett. ap. Misericordia et misera, 20). È la rivoluzione dell’amore, i cui protagonisti sono i martiri di tutti i tempi. E Gesù ci assicura che il nostro comportamento, improntato all’amore verso quanti ci fanno del male, non sarà vano», ma contribuirà a costruire una nuova civiltà, nella quale pure il peccatore peggiore non si dimenticherà mai di essere comunque amato da Dio, come ha scoperto il figliol prodigo della celebre parabola (cfr. Lc 16,11-32).
Lunedì, 25 febbraio 2019