Di Giulia Pompili da Il Foglio del 02/11/2024
Taipei, dalla nostra inviata. La guerra d’invasione della Russia contro l’Ucraina negli ultimi due anni e mezzo ha rivoluzionato l’uso dei droni nei conflitti. Non solo quelli da ricognizione ma anche quelli carichi di esplosivo o di armi, pilotati da centinaia di metri di distanza come in un videogame, o quelli piccoli e leggeri usati per abbattersi sul nemico. E adesso forse dotati d’intelligenza artificiale. In Ucraina se ne parla da tempo, e la viceministra della Difesa per la digitalizzazione, Kateryna Chernohorenko, ha confermato a Reuters che ci sono decine di aziende in Ucraina che stanno lavorando a sistemi per eludere le contromisure elettroniche dei russi – che scollegano il drone dal suo pilota remoto – usando l’IA.
A Taipei da tempo osservano con attenzione la guerra dei droni in Ucraina, dove ieri lo stato maggiore ha detto che la Russia ha lanciato più di duemila droni d’attacco nel mese di ottobre, superando il precedente record di settembre che era di quasi 700 unità. A Taiwan funzionari e consiglieri del governo minimizzano la possibilità di una guerra imminente con la Repubblica popolare cinese, almeno nel breve periodo, ma la preparazione a quel conflitto sta accelerando e si sta intensificando come non mai, anche imparando dall’Ucraina ciò che succede sul campo e i limiti degli aiuti che arrivano dagli alleati. La resilienza della Difesa di Kyiv ha portato a una straordinaria adattabilità delle sue Forze armate, ma c’è voluto del tempo, che in una guerra significano morti. Da più di due anni “ci stiamo concentrando sull’addestramento alla guerra asimmetrica”, dice al Foglio una fonte del Consiglio per la sicurezza nazionale di Taipei. “E’ sempre più necessario però accelerare l’addestramento anche più realistico”, che secondo il governo taiwanese deve coinvolgere la società civile (“E’ compito di tutti difendere Taiwan”, dice la fonte) e soprattutto rendere le Forze armate capaci di usare anche strumenti ipertecnologici. L’altro ieri il ministero della Difesa taiwanese ha confermato di essere in procinto di firmare con il governo americano l’acquisto di un migliaio di droni d’attacco dalla AeroVironment e dalla Anduril Industries. Il mese scorso lo stesso ministero ha svelato che una parte del suo Ufficio armamenti sta sviluppando e consegnando in via sperimentale per l’addestramento alcuni droni con visuale in prima persona. Il budget annunciato è di circa 175 milioni di dollari, per acquistare almeno 3.200 droni da appaltatori privati entro il 2029. L’azienda di cui si parla di più è la Thunder Tiger Corp., di base a Taichung, che prima faceva giocattoli e da qualche anno si è lanciata nel mondo dei droni: secondo Intelligence Online il suo prodotto di punta, il Thunder Tiger, sarebbe già in sperimentazione tra le Forze armate taiwanesi. In futuro, il piccolo drone potrebbe essere prodotto con le stampanti 3D a costi piuttosto contenuti – l’idea di fondo l’ha spiegata al Washington Post il comandante americano per l’Indo-Pacifico, l’ammiraglio Samuel Paparo, che in un’intervista di cui qui si è parlato molto ha svelato alcuni dettagli di una strategia di contrattacco taiwanese e americana in caso di conflitto con la Cina: “Voglio trasformare lo Stretto di Taiwan in un paesaggio infernale senza equipaggio, usando una serie di capacità classificate… in modo da rendere la loro vita impossibile per un mese, che ci farebbe guadagnare tempo per tutto il resto”.
E del resto il grande vantaggio di Taiwan sulla Cina riguarda l’innovazione. Lo Hsinchu Science Park di Hsinchu, a un’ottantina di chilometri dalla capitale Taipei, è un luogo mitologico per i taiwanesi. Negli anni Ottanta fu fondato sul modello della Silicon Valley californiana ed è qui che Morris Chang fondò la Tsmc, oggi la più importante e strategica industria globale dei semiconduttori (presto in quell’edificio un po’ grigio e triste ci sarà un museo). Il modello del parco scientifico di Hsinchu – dove aziende università ricercatori e governo lavorano insieme per l’innovazione – è stato copiato tante volte dalla Repubblica popolare cinese, per esempio con la Greater Bay Area di cui fa parte Hong Kong, senza mai grossi risultati. E se si domanda a chiunque da queste parti perché la Cina non sia stata in grado di fare dell’innovazione un punto di forza attrattivo, quasi tutti rispondono con una parola: democrazia. Allo Hsinchu Science Park larga parte dei brevetti e delle invenzioni premiate riguardano la tecnologia applicata alla medicina: “La tecnologia applicata alla Difesa si studia in un altro parco simile a questo”, spiega al Foglio una delle responsabili del parco, Yuh-Jing Chiou, ma molte delle tecnologie qui “possono essere dual use”. Da più di due anni – cioè dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina ma anche dalla visita della speaker del Congresso Nancy Pelosi a Taiwan, che ha portato a una intensificazione della retorica e delle azioni belligeranti di Pechino contro Taipei – gran parte dell’industria civile è osservata speciale dal ministero della Difesa del governo taiwanese. Al ministero degli Esteri diverse fonti spiegano che la prima lezione di Kyiv è che non si possono dare per scontati i rifornimenti, gli aiuti, l’addestramento emergenziale: serve prepararsi e, nel caso, poter fare anche da soli. Del resto alcune dichiarazioni del passato di Trump hanno messo in allarme la leadership di Taipei (aveva detto: Taiwan deve pagare di più per la sua protezione), e la vicinanza di Elon Musk a Putin e Xi non è rassicurante. Ma Lai I-Chung, presidente del Prospect Foundation, think tank finanziato dal governo di Taipei, dice che Taiwan in questo momento è molto diversa dall’Ucraina: “Non è un paese piccolo, e ha un sistema di difesa maggiore, già strutturato”. E ha dalla sua l’innovazione, che viene solo quando c’è la libertà.