di Michele Brambilla
La “prima richiesta” del Padre nostro è «[…] sia santificato il tuo nome», come ricorda Papa Francesco all’inizio dell’udienza generale del 27 febbraio. La celebre preghiera è infatti un insieme di richieste molto dettagliate: «Le domande del “Padre nostro” sono sette, facilmente divisibili in due sottogruppi. Le prime tre hanno al centro il “Tu” di Dio Padre; le altre quattro hanno al centro il “noi” e le nostre necessità umane». Soffermandoci, quindi, su quelle iniziali, si può dire che «[…] Gesù ci fa entrare nei suoi desideri, tutti rivolti al Padre: “sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà”».
Giunge quindi il momento in cui spiegare in cosa consiste il “santificare” desiderato da Gesù. Per comprenderlo, occorre premettere che, «quando parliamo con Dio, non lo facciamo per rivelare a Lui quello che abbiamo nel cuore: Lui lo conosce molto meglio di noi! Se Dio è un mistero per noi, noi invece non siamo un enigma ai suoi occhi (cfr Sal 139,1-4). Dio è come quelle mamme a cui basta uno sguardo per capire tutto dei figli». Come fa il bambino con la madre, «il primo passo della preghiera cristiana è dunque la consegna di noi stessi a Dio, alla sua provvidenza».
«Provvidenza» è un nome di Dio che coglie il Suo sovrastare i pensieri e le azioni umane. «È come dire: “Signore, Tu sai tutto, non c’è nemmeno bisogno che ti racconti il mio dolore, ti chiedo solo che tu stia qui accanto a me: sei Tu la mia speranza”». L’uomo è consapevole della propria immensa finitudine rispetto a Dio, ma questo non lo schiaccia; al contrario, aumenta la fiducia nel Creatore. Non c’è altro Nome sotto il quale possiamo trovare salvezza.
Si arriva quindi, dice il Pontefice, alla consapevolezza che in ogni cosa che facciamo, in ogni cosa che esiste, è Lui, il Signore, a trovare una lode per Sé. «Santificare» significa allora ammettere quanto Dio sia sapiente e generoso nei confronti dell’intero universo. «“Sia santificato il tuo nome!” – si sente tutta l’ammirazione di Gesù per la bellezza e la grandezza del Padre, e il desiderio che tutti lo riconoscano e lo amino per quello che veramente è. E nello stesso tempo c’è la supplica che il suo nome sia santificato in noi, nella nostra famiglia, nella nostra comunità, nel mondo intero», compito che, afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), ricade in maniera specifica sul laicato cattolico (cfr. Il decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem del 1965).
L’uomo può, anzi deve agire ad maiorem Dei gloriam et socialem, ma il centuplo arriva solo se continua ad avere sulle labbra e nel cuore quanto chiede il Salmo 114: «Non a noi, o Eterno, non a noi, ma al tuo nome dà gloria» (Sal 114, 1). La Chiesa continua a ricordare a un mondo occidentale dall’ego freudianamente smisurato che l’unica società pienamente umana non è quella costruita da un individuo che coltiva l’illusione dell’autosufficienza, ma quella che tende costantemente a dare il merito a un Altro, poiché «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare» (Lc 17,10).
Giovedì, 28 febbraio 2019