In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». (Lc 1, 39-45)
La parola grembo ritorna tre volte in questo brano. E’ un richiamo alla concretezza, al realismo dell’incarnazione. Anche l’autore della Lettera agli Ebrei usa un’espressione forte. Cristo dice: “…mi hai preparato un corpo”. E la nostra santificazione è dovuta “all’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre”.
Qualcuno, un po’ schizzinoso, non gradisce la formula “il frutto del tuo ventre” che si recita nell’Ave Maria. Non sarebbe molto elegante. Per cui si preferisce “seno” o, addirittura, viene modificata la frase così: “E benedetto è Gesù, tuo figlio”; con ancora una variante: “e Gesù, il tuo bambino, è benedetto”. A molti ripugna l’idea che Gesù, Figlio di Dio, sia diventato frutto del ventre di una donna che si chiama Maria. A loro dà fastidio l’accentuazione del realismo fisico della maternità della Madonna (“Fructus ventris tui”). Qui, però, non si tratta di un’idea ma di una realtà. Non è questione di eleganza, ma della serietà, del realismo dell’incarnazione.
Dio si è inserito nel grande processo della fecondità biologica. Per nove mesi Maria ha custodito il Verbo fatto carne nel proprio ventre, l’ha sentito e “visto” crescere, ne ha avvertito i movimenti, l’ha alimentato con le proprie viscere, gli ha trasmesso il proprio sangue. Non spiritualizziamo troppo il “frutto” di Maria, col rischio di renderlo artificiale. Quel frutto meraviglioso è stato provocato, certo, dall’azione dello Spirito. Ma è legato alla carne, al sangue, alla materia. Ha avuto bisogno, appunto, del ventre di una donna. Maria, sarà bene non dimenticarlo, non ha accolto il Verbo nella propria anima. Ma nel proprio corpo, nel proprio grembo di donna. Certa schizzinosità nei confronti della realtà naturali non è segno di maturità spirituale. E’, né più né meno, che rifiuto dell’incarnazione. Paura dell’umano. Il frutto della salvezza non spunta come una stella dal cielo. Sceglie la strada più naturale e vitale per crescere e svilupparsi. Dio si rende, per così dire, visibile, prima di tutto attraverso la rotondità di in ventre. Il Figlio di Dio, prima di vedere la luce sulla terra, vive, come ogni figlio d’uomo, insieme a sua madre, i nove mesi “naturali” dell’attesa.
La salvezza è la cosa più urgente. Ma Dio non abolisce i nove mesi indispensabili alla formazione del frutto.
SANTA FRANCESCA SAVERIO CABRINI, VERGINE, FONDATRICE DELLE MISSIONARIE DEL S. CUORE DI GESÙ