Di Michele Brambilla
Il Vangelo dell’VIII domenica del Tempo ordinario, dice Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 3 marzo, «presenta brevi parabole, con le quali Gesù vuole indicare ai suoi discepoli la strada da percorrere per vivere con saggezza». Si tratta, in fin dei conti, di «un invito a seguire il suo esempio e il suo insegnamento per essere guide sicure e sagge. E tale insegnamento è racchiuso soprattutto nel discorso della montagna, che da tre domeniche la liturgia ci propone nel Vangelo, indicando l’atteggiamento della mitezza e della misericordia per essere persone sincere, umili e giuste».
Il rischio, infatti, è di confrontarsi con l’interrogativo che Gesù pone alle folle: «Può forse un cieco guidare un altro cieco?» (Lc 6,39). A un pastore, ma anche a una pecora del gregge cristiano, basta poco per diventare cieco: è sufficiente perdersi a soppesare le colpe proprie e altrui. Spesso anche nella Chiesa si corre a rinfacciarsi i torti anziché a sottolineare i pregi; sta persino prendendo piede tra i fedeli un vizio tipico della politica moderna, che è l’utilizzo strumentale delle colpe altrui per danneggiare la buona fama non solo del singolo, ma dell’intera fazione. Il Papa sottolinea allora con forza un’altra celebre frase estraibile dalla pagina evangelica di questa domenica: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,41).
I cristiani non possono diventare in blocco “coriandoli rancorosi”, smarrendo nelle polemiche la propria identità. Francesco rispiega pertanto quello che dovrebbe essere l’atteggiamento del cristiano: «La tentazione è quella di essere indulgenti con se stessi – manica larga con se stessi – e duri con gli altri. È sempre utile aiutare il prossimo con saggi consigli, ma mentre osserviamo e correggiamo i difetti del nostro prossimo, dobbiamo essere consapevoli anche noi di avere dei difetti. Se io credo di non averne, non posso condannare o correggere gli altri. Tutti abbiamo difetti: tutti. Dobbiamo esserne consapevoli e, prima di condannare gli altri, dobbiamo guardare noi stessi dentro». L’imminente Quaresima serve anche ad un confronto diretto tra il nostro agire e quello di un Dio misericordioso che non ha avuto ripulsa neppure di Giuda e ci chiama ad essere sempre costruttori di comunione tra i fratelli.
Domanda il Pontefice: «Come possiamo capire se il nostro occhio è libero o se è impedito da una trave?». La risposta «È ancora Gesù che ce lo dice: “Non vi è albero buono che produca frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto” (vv.43-44). Il frutto», infatti, «sono le azioni, ma anche le parole. Anche dalle parole si conosce la qualità dell’albero. Infatti, chi è buono trae fuori dal suo cuore e dalla sua bocca il bene e chi è cattivo trae fuori il male, praticando l’esercizio più deleterio fra noi, che è la mormorazione, il chiacchiericcio, parlare male degli altri». Un possibile fioretto quaresimale potrebbe quindi essere sorvegliare la nostra lingua. Scopriremo il giorno di Pasqua di aver purificato in questo modo non solo il nostro parlare, ma tutta la nostra visione della realtà.
Lunedì, 04 marzo 2019