di Marco Invernizzi
Il 4 marzo Papa Francesco ha annunciato che dal 2 marzo del prossimo anno sarà possibile accedere agli archivi relativi al pontificato del Venerabile Papa Pio XII (1876-1958), dal 1939 al 1958. L’annuncio ha giustamente attirato l’attenzione per la drammaticità di quel periodo storico, ma soprattutto perché questo accesso potrebbe permettere di approfondire e forse chiarire alcuni “nodi”, in particolare il tema del “silenzio” del Papa a proposito del genocidio degli ebrei da parte del regime nazionalsocialista tedesco, che è certamente il punto sul quale si è scatenata la maggiore aggressione ideologica contro di lui.
Quello che ne pensa Papa Francesco è bene espresso nel discorso con cui ha annunciato l’apertura degli archivi: «Assumo questa decisione sentito il parere dei miei più stretti Collaboratori, con animo sereno e fiducioso, sicuro che la seria e obiettiva ricerca storica saprà valutare nella sua giusta luce, con appropriata critica, momenti di esaltazione di quel Pontefice e, senza dubbio anche momenti di gravi difficoltà, di tormentate decisioni, di umana e cristiana prudenza, che a taluni poterono apparire reticenza, e che invece furono tentativi, umanamente anche molto combattuti, per tenere accesa, nei periodi di più fitto buio e di crudeltà, la fiammella delle iniziative umanitarie, della nascosta ma attiva diplomazia, della speranza in possibili buone aperture dei cuori».
In sostanza, il Santo Padre riprende la motivazione di fondo che spinse Pio XII, ma anche tutte le potenze occidentali e le stesse associazioni ebraiche, a non condannare formalmente e pubblicamente il genocidio in atto da parte del regime di Adolf Hitler (1889-1945) proprio per potere continuare a salvare il maggior numero possibile di ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti. È una logica che la Chiesa Cattolica ha usato spesso e che continua a provare nella convinzione che il tiranno, mentre parla, non morde. Ma questo non significa approvare il tiranno, come molti ebrei riconobbero a Pio XII dopo la guerra, proclamandolo “giusto fra i gentili”, uno dei massimi riconoscimenti ebraici per un uomo che ‒ si valuta ‒ abbia salvato più di 750mila ebrei, offrendo loro protezione all’interno della Città del Vaticano ovunque fosse possibile.
La campagna di diffamazione contro Pio XII è nata all’interno del mondo cattolico, scatenata da chi al Pontefice non perdonava la posizione netta di condanna del comunismo, come ricorda un bel libro uscito proprio in questi giorni dello storico Alberto Torresani (Storia dei Papi del Novecento. Da Leone XIII a Papa Francesco, edito da Ares). La capacità propagandistica dell’internazionale comunista colse l’opportunità e, a partire dal 1964, quando comparve sulle scene tedesche il dramma Il Vicario di Rolf Hochhuth, che attribuiva al silenzio del Papa la maggiore responsabilità del genocidio, Pio XII è divenuto oggetto di una sistematica campagna di diffamazione che non è ancora finita. Papa san Paolo VI (1897-1978) capì il problema e pertanto incoraggiò la nascita di una commissione di storici affinché venissero pubblicati gli atti inerenti a Pio XII contenuti nell’Archivio segreto vaticano. Questi storici hanno quindi pubblicato dodici volumi di documenti che attestano il lavoro svolto dal Papa per impedire la guerra, per circoscriverla una volta scoppiata, per ridurne i danni una volta in atto e per salvare la vita dei perseguitati, compresi gli ebrei. Dal 2 marzo 2020 altri testi saranno consultabili al fine di ricercare la verità storica sul venerabile Pio XII, che continua a “non avere paura” dei documenti.
Giovedì, 07 marzo 2019