In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Due tematiche si intrecciano nel discorso o, meglio, nei discorsi, di Nostro Signore Gesù Cristo, riportati, apparentemente senza un ordine logico, dal terzo evangelista. Il primo tema riguardo il discepolato. Per due volte, all’inizio e alla fine del brano, il Signore ricorda, attraverso la severa espressione “non può essere mio discepolo”, due requisiti per essere suoi allievi diligenti, suoi servi fedeli, suoi militanti coraggiosi. Il primo requisito consiste nel primato dell’amore per Dio e per Suo Figlio. Sant’Agostino parlava di “ordo amoris”: prima si ama Dio, poi il prossimo, successivamente le altre creature, infine se stessi. Rispettando questo ordine, la carità, amore di e per Dio effuso nel nostro cuore dallo Spirito Santo, si effonde sulle altre relazioni, liberandole da quanto le può rendere improprie e viziate. Persino nella famiglia non basta l’affezione naturale per essere messi al riparo da egoismo e violenza. Il secondo requisito è la rinuncia agli averi, ossia ai beni materiali e immateriali nei quali confidiamo a tal punto da ricercare in essi fallacemente le nostre sicurezze psicologiche. La seconda tematica, sviluppata nella doppia parabola del costruttore e del re in guerra, ci rammenta l’esigenza di pensare e agire con prudenza, una virtù frutto della nostra natura e della nostra ragione. Essa consiste nel commisurare i mezzi ai fini buoni che intendiamo perseguire, dopo aver stabilito una retta gerarchia degli uni e degli altri, con la disponibilità a rinunciare, spesso solo provvisoriamente, a un progetto per quanto buono, perché non sufficientemente dotati dei mezzi, quali la salute, il tempo, le risorse economiche e organizzative. E non ci sarà bisogno di rimpianti: tutto affidiamo a Dio che porta a compimento il bene che noi non possiamo fare. E quanta pace ci dà questo pensiero!
