Nato in Francia nel 1750, ordinato sacerdote nel 1774, l’anno successivo partì per la Cina dove venne inviato in una regione remota, già ricca di cristiani, ma priva di missionari. Qui svolse un apostolato fervido e ricco di frutti; ma nel 1784 l’imperatore dette il via ad una persecuzione anticristiana. Il Dufresse fu arrestato una prima volta, riuscì a fuggire, si costituì sia per non compromettere la famiglia cristiana presso la quale si era nascosto sia per obbedire agli ordini dei superiori, i quali speravano che così la persecuzione si attenuasse. Passò sei mesi in prigione e fu rimesso in libertà; si stabilì allora a Macao, ma da lì riuscì avventurosamente a raggiungere di nuovo la sua missione, ove riprese il suo fruttuoso lavoro apostolico. Nel 1800 venne nominato vescovo coadiutore. Rimasto solo ad amministrare la diocesi, convocò un importante sinodo le cui costituzioni furono dalla Congregazione di Propaganda Fide adottate come modello per l’intera Cina. Ma le persecuzioni ripresero ed il Dufresse dovette prima spostare continuamente la sua sede, poi nuovamente nascondersi. Arrestato per una delazione, fu condannato a morte e decapitato il 14 settembre 1815. Venne beatificato nel 1900 [e canonizzato nel 2000]. La vita ed il martirio del Dufresse ci spingono oggi, oltre che a rivolgere il pensiero a tutti i cattolici cinesi, a ricordare l’importanza nella storia della Chiesa dei missionari. Ma, bisogna aggiungere, non solo nella storia, quasi fosse un aspetto rispettabile ma superato della Chiesa stessa: al contrario la Chiesa non può non essere missionaria. Si ricordi come nelle parole di Gesù siano posti accanto l’esortazione missionaria e la promessa di assistenza divina: «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io ho comandato a voi. Ed ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» [Mt 28,19].
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, p. 36