di Michele Brambilla
Nel corso dei secoli, lo straordinario evento della Risurrezione di Cristo è stato narrato nell’arte in molti modi. Una delle apparizioni del Risorto più celebri, che viene abitualmente letta durante le Messe vespertine del giorno di Pasqua, è quella ai due discepoli che, delusi, si stavano incamminando verso il villaggio di Emmaus e riconobbero il Signore solo quando Gesù spezzò il pane come nell’Ultima Cena (cfr. Lc 24, 13-35). Sono molte le motivazioni per le quali questo brano è caro alla devozione popolare, ma la principale è che nel gesto di Gesù di spezzare il pane e scomparire subito dopo alla vista è implicata la perfetta continuità tra la presenza fisica di Gesù e quella altrettanto reale sotto le specie eucaristiche. Risulta quindi particolarmente interessante osservare come ha rappresentato questo episodio evangelico il massimo pittore dei paesi Bassi calvinisti del Seicento, Rembrandt Harmenszoon Van Rijn (1606-1669).
Giovanni Calvino (1509-1564), nell’Institutio Christianae religionis (1536-1548), aveva radicalizzato le posizioni di Martin Lutero (1483-1546) sulla Chiesa, sulla predestinazione e sui sacramenti. Nei Paesi calvinisti come i Paesi Bassi il culto veniva ridotto al solo commento della Scrittura all’interno di chiese spoglie di ogni ornamento, mentre l’Eucarestia diveniva un semplice rito commemorativo perché, per il teologo di Noyon, la transustanziazione cattolica era un attentato all’assoluta trascendenza di Dio. Rembrandt crebbe seguendo questa particolare visione religiosa, ma da adulto cominciò a bramare una maggiore intimità con il Signore, come appare evidente nelle sue tele a soggetto sacro, destinate non alle chiese, ma ad arredare gli interni delle case borghesi.
Della cena di Emmaus Rembrandt dipinse due versioni. La più
Nel buio si intravede uno dei discepoli, prostrato ai piedi del Signore. L’altro è, invece, inondato in pieno volto dalla luce e ha gli occhi dilatati per lo stupore. Il primo rappresenta la fede fiduciale nel suo massimo grado, il secondo la conversione, che esce dal buio del dubbio e del peccato per lasciarsi penetrare dalla Grazia. Cristo, come detto, non pare tenere in mano il pane: a convertire basta la Sua parola, che per il protestante parla immediatamente a ogni discepolo in maniera auto-evidente all’anima.
Tuttavia per Rembrandt questo non è sufficiente: lo si comprende dalla piccola scena di genere che ritrae nella stanza retrostante a quella in cui Gesù sta cenando con i discepoli. Sulla sinistra si intravede, infatti, un inserviente della locanda che sta attizzando il fuoco, simbolo della fede che va continuamente alimentata. Il singolo può, però, essere aiutato nel cammino interiore solo da una comunità o da qualcosa di più sensibile della sola parola proclamata. Calvino, alacre distruttore di altari e di icone, non è riuscito a estirpare la necessità della Chiesa e dei Sacramenti dall’interiorità dei suoi discepoli: Rembrandt, con la sua religiosità tormentata, ne è la lampante dimostrazione.
Sabato, 27 aprile 2019