Di Michele Brambilla
All’udienza del 27 marzo Papa Francesco prosegue la spiegazione del Padre nostro passando a quella che chiama “seconda parte” della preghiera, «[…] quella in cui presentiamo a Dio le nostre necessità. Questa seconda parte comincia con una parola che profuma di quotidiano: il pane», inteso come «[…] frutto della terra e del lavoro dell’uomo», come recitano le preghiere dell’offertorio della Messa.
Il Pontefice sottolinea che «la preghiera di Gesù parte da una domanda impellente, che molto somiglia all’implorazione di un mendicante: “Dacci il pane quotidiano!”. Questa preghiera proviene da un’evidenza che spesso dimentichiamo, vale a dire che non siamo creature autosufficienti, e che tutti i giorni abbiamo bisogno di nutrirci». Tuttavia oggi non sono pochi gli uomini privati di questo diritto fondamentale: l’assunto spiega sia perché il Santo Padre abbia utilizzato la similitudine del mendicante, sia il tenore di molte domande che vengono rivolte a Gesù nei Vangeli.
«Le Scritture», infatti, «ci mostrano che per tanta gente l’incontro con Gesù si è realizzato a partire da una domanda. Gesù non chiede invocazioni raffinate, anzi, tutta l’esistenza umana, con i suoi problemi più concreti e quotidiani, può diventare preghiera. Nei Vangeli troviamo una moltitudine di mendicanti che supplicano liberazione e salvezza», sia terrena sia ultraterrena. «Gesù non passa mai indifferente accanto a queste richieste e a questi dolori».
«Dunque», osserva il Papa, «Gesù ci insegna a chiedere al Padre il pane quotidiano. E ci insegna a farlo uniti a tanti uomini e donne per i quali questa preghiera è un grido – spesso tenuto dentro – che accompagna l’ansia di ogni giorno». Se ne deduce che «il pane che il cristiano chiede nella preghiera non è il “mio” ma è il “nostro” pane. Così vuole Gesù. Ci insegna a chiederlo non solo per sé stessi, ma per l’intera fraternità del mondo. Se non si prega in questo modo», Francesco giunge a dire che «il “Padre nostro” cessa di essere una orazione cristiana. Se Dio è nostro Padre, come possiamo presentarci a Lui senza prenderci per mano? Tutti noi. E se il pane che Lui ci dà ce lo rubiamo tra di noi, come possiamo dirci suoi figli?».
Si arriva quindi a una seconda deduzione: «questa preghiera contiene un atteggiamento di empatia, un atteggiamento di solidarietà. Nella mia fame sento la fame delle moltitudini, e allora pregherò Dio finché la loro richiesta non sarà esaudita. Così Gesù educa la sua comunità, la sua Chiesa, a portare a Dio le necessità di tutti». Se si viene meno al precetto della carità «il pane che chiediamo al Signore nella preghiera è quello stesso che un giorno ci accuserà. Ci rimprovererà la poca abitudine a spezzarlo con chi ci è vicino, la poca abitudine a condividerlo. Era un pane regalato per l’umanità, e invece è stato mangiato solo da qualcuno: l’amore non può sopportare questo». Per redimere ogni ingiustizia Cristo per primo si è fatto pane, il Pane eucaristico, che dell’umanità sazia anche la domanda di senso. «Infatti, solo l’Eucaristia è in grado di saziare la fame di infinito e il desiderio di Dio che anima ogni uomo», insita «anche nella ricerca del pane quotidiano».
Giovedì, 28 marzo 2019