di Maurizio Brunetti
«Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio»: è il celebre versetto del Salmo 42 (41) destinato a riecheggiare nel cuore di ogni cattolico che parteciperà alla Veglia Pasquale del Sabato Santo. Infatti, lo si ritrova inserito tanto nel rito ambrosiano quanto nelle due forme del rito romano.
Come è avvenuto per molti secoli, nelle celebrazioni secondo il rito romano antico tale versetto sarà intonato – naturalmente in latino – accompagnando la processione dei ministri al fonte battesimale: «Sicut cervus desiderat ad fontes aquarum, ita desiderat anima mea ad te Deus». È il momento il cui l’intera Chiesa militante si unisce all’aspirazione dei catecumeni che – ove presenti – in altri tempi avrebbero ricevuto di lì a poco il Battesimo con l’acqua benedetta versata nel sacro fonte.
Si era tra il 1570 e il 1580 quando, quasi sicuramente a Roma, il Sicut Cervus fu cantato per la prima volta a quattro voci, sulle note di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 ca.-1594).
In quegli ultimi decenni del secolo XVI, la Chiesa cattolica in Italia tesaurizzava i primi frutti del Concilio di Trento (1545-1563). L’opera «tridentina» di chiarificazione dogmatica e di rilancio pastorale, insieme alle decisioni disciplinari assunte per fronteggiare una certa rilassatezza generalizzata nei costumi del clero, costituì – sono parole di Papa san Giovanni Paolo II (1978-2005) – «la grande risposta della fede cattolica alle sfide della cultura moderna ed agli interrogativi posti dai Riformatori [protestanti]». Secondo il santo pontefice, infatti, il Concilio di Trento «[…] tracciò le grandi vie della Chiesa per i secoli successivi, favorendo così quell’autentico umanesimo cristiano, che avrebbe portato non pochi frutti nella cultura, nell’arte, nella vita religiosa e sociale».
Uno di tali frutti è senz’altro il lascito artistico di Giovanni Pierluigi da Palestrina (1525 ca.-1594), il quale riuscì a elaborare uno stile compositivo preso poi a modello dagli altri compositori della cosiddetta Scuola romana, in quanto ritenuto in perfetto accordo con le direttive tridentine in campo musicale: espunzione dal canto liturgico di qualsivoglia inflessione profana e salvaguardia della chiarezza testuale, a costo di limitare drasticamente gli accompagnamenti strumentali e rinunciare a virtuosismi vocali.
Inviategli tre messe di sua composizione, tra le quali quella dedicata a suo tempo a Papa Marcello II (1555-1555), Palestrina riuscì a convincere Papa Pio IV (1559-1565) che il significato delle parole sacre poteva risaltare chiaro ed evidente pur nel rigoroso intrecciarsi delle varie linee melodiche.
Palestrina è stato un compositore molto prolifico: la sua opera omnia consta di 49 volumi e include 104 messe, 68 offertori, almeno 72 inni, 35 partiture del Magnificat, 11 litanie, quattro o cinque serie di Lamentazioni, come anche 140 madrigali su testi sacri e profani.
Dei 300 mottetti da lui composti, Sicut Cervus è considerato esemplare per il modo mirabile in cui si fondono complessità formale, ispirazione melodica, e una completa aderenza delle forme musicali al testo cantato. Poiché non mancano online valide analisi musicali sia strutturali che ermeneutico-narrative, qui ci si limiterà a sottolineare come, per esempio, la melodia proceda più concitata sulla parola desiderat, giacché si tratta di descrivere un moto spirituale in atto, non a caso ascendente come la successione delle note cantate. Al contrario, le note lunghe caratterizzano i momenti di introspezione intellettuale (sicut e ita), i soggetti da contemplare (cervus e anima) oppure ciò che ne placherà la sete (fontes e Deus).
L’esito sonoro del sovrapporsi delle voci con la tecnica dell’imitazione produce effetti di magnificenza e un’atmosfera di pace quasi soprannaturale. Lo si potrà verificare ascoltando l’esecuzione del Coro Internazionale degli Araldi del Vangelo, avvenuta qualche anno fa nella Chiesa di Nossa Senhora do Rosário a Caieiras, in Brasile.
Chi legge la musica nota un’incongruità. La prima nota della partitura originale è un fa e non è quella cantata dall’ensemble, ma il compositore con ogni probabilità non si sarebbe scandalizzato: nel secolo XVI non era l’altezza delle singole note a essere rigorosamente codificata, ma solo i rapporti reciproci fra la prima e le successive. Con la scelta di quella determinata tonalità Palestrina veicolava un messaggio ben preciso: il suo pezzo andava eseguito nel modo musicale – il tritus – che i medioevali avevano trovato particolarmente appropriato per esprimere devozione, speranza mistica e gioia. E non sono esattamente questi i sentimenti di un’anima che, corroborata dalle virtù teologali, ha nostalgia di Dio?
Sabato, 20 aprile 2019