Puntualizzazioni in margine alla polemica suscitata dall’intervento dell’on. Irene Pivetti al Meeting di Rimini (cfr. La riconquista oltre l’esilio e la regalità dolorosa di Cristo, in Cristianità, anno XXII n. 232-233, agosto-settembre 1994), trascritte da L’Italia settimanale, anno III, n. 39, del 5 ottobre 1994, dove sono comparse con questo titolo, a cura di Aldo Di Lello, alle pp. 42-43. Ad alcuni riferimenti l’intervistato ha apposto una prima annotazione.
Intervista con Giovanni Cantoni
«Integralisti? Sarete voi»
D. Come giudica il discorso del presidente della Camera, on. Irene Pivetti, al Meeting di CL?
R. L’intervento dell’on. Irene Pivetti mi sembra preciso dal punto di vista dottrinale e opportuno da quello congiunturale. Dottrinalmente ha ripreso il tema dell’autorità che viene da Dio, enunciato da san Paolo e da san Pietro e che costituisce una costante bimillenaria nell’insegnamento di morale sociale del Magistero della Chiesa cattolica. Esclusi i commentatori in malafede, quanti si sono scandalizzati per tale ripresa o non sono cattolici – gli inquisitori «laici», cioè laicisti, sono di gran lunga più numerosi e più potenti di quelli «clericali», cioè cattolici – o sono ignoranti, di un’ignoranza colpevole perché, per trovare la reiterazione della dottrina richiamata non è necessario decifrare oscuri testi medioevali in latino, basta leggere il Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 1992 anche in italiano, che – per esempio al numero 1899 – recita: «L’autorità, esigita dall’ordine morale, viene da Dio», quindi cita san Paolo ai romani e rimanda alla prima lettera di sanPietro. Dal punto di vista dell’opportunità, poi, dopo la «liberazione» dei cattolici dalla Democrazia Cristiana – ciascuno ha il suo 25 aprile, quello dei cattolici è il 27 marzo 1994 – s’impone un esame della situazione alla luce della dottrina. Perciò ogni richiamo dottrinale costituisce contributo oggettivo e puntuale. Lo sarebbe anche se l’on. Irene Pivetti fosse solamente una fedele – titolo sufficiente per dire la verità cattolica in pubblico – e una cittadina della Repubblica Italiana; lo è a maggior ragione visto che si tratta non solo di un deputato al parlamento, ma del presidente di un ramo del parlamento stesso.
D. Da qualche settimana si parla sulla stampa di un ritorno dell’integralismo cattolico. Ma un cattolico può essere «integralista»? Che senso ha insomma questa definizione?
R. Trascuro per brevità i significati storici di integralismo e mi limito all’etimologia e all’uso peggiorativo del suffisso «ismo». In quest’ottica, integralismo sta per abuso di un atteggiamento indicabile come «inte- gralità», cioè professione integrale – per esempio – di una visione del mondo, di una dottrina, e così via. Quanto all’integralismo o integrismo cattolico, distinguo la definizione dall’uso. In tesi, integralismo è un modo di professare la fede dimentico del fatto che – secondo Papa Pio XII – «[…] la comprensione universale della Chiesa non ha nulla a che vedere con la strettezza di una setta, né con la esclusività di un imperialismo prigioniero della sua tradizione» (1); oppure – nella descrizione di Papa Giovanni Paolo II – una tendenza per cui alcuni «[…] s’irrigidiscono fissandosi a un dato periodo della storia della Chiesa, a un dato stadio della formulazione teologica o dell’espressione liturgica di cui essi fanno un assoluto, […] senza considerare la totalità della storia e il suo sviluppo legittimo» (2). Quindi, integralismo è sinonimo di «conservatorismo». Ma il senso corrente di integralismo è lontano dalla definizione: infatti, nell’uso polemico del termine si pratica l’amalgama fra integralismo e integralità e s’intende colpire non tanto l’integralismo quanto l’integralità, cioè la professione integra della fede, soprattutto le sue conseguenze sociali. Dunque, un cattolico può, purtroppo, essere integralista, ma deve, di principio e possibilmente di fatto, essere un cattolico integrale, cioè cattolico tout court, memore che – secondo una felice espressione del card. Joseph Ratzinger – a «conservatore» non si oppone «progressista», ma «missionario» (3). E – aggiungo io – «missionario» coincide per molti versi con «tradizionalista», non solo custode e difensore della tradizione, ma anche trasmettitore di essa.
D. Che valore può essere assegnato alla memoria della Vandea? Perché se ne riparla?
R. Con il riferimento geografico «Vandea» si indicano l’eroica sollevazione di una popolazione cattolica contro le vessazioni dei rivoluzionari francesi e la corrispondente terribile repressione – una «pulizia» etnico-ideologica con oltre centomila vittime di tutte le età – da parte di questi ultimi. Se ne riparla perché nel 1989 è caduto il bicentenario della Rivoluzione detta francese e nell’occasione, poiché il diavolo, che ha fatto le pentole, non è riuscito a coprirle con coperchi durevoli, qualche studioso – nel caso, soprattutto Reynald Secher (4) – ha riesaminato i fatti. E i fatti contraddicono vistosamente utopia e mitologia rivoluzionarie: la Rivoluzione non fa la felicità non solo di qualche soggetto «che ostacola il progresso» o «che è fuori della realtà», ma di tutto un popolo; e per chi rifiuta la «felicità rivoluzionaria» non vi è perdono, vi è anzi punizione brutale, quasi vigesse la norma di «uccidere qualcuno per insegnargli a stare al mondo».
Note:
(1) PIO XII, Discorso dopo l’imposizione della Berretta Cardinalizia ai nuovi Eminentissimi Signori Cardinali, del 20-2-1946, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. VII, p. 391.
(2) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Vescovi di Francia, a Issy-les- Moulineaux, del 10-6-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 1596; a commento cfr. il mio «Progressismo», «integrismo» e cattolicesimo integrale, in Cristianità, anno VII, n. 66, ottobre 1980.
(3) Cfr. VITTORIO MESSORI a colloquio con il CARDINALE JOSEPH RATZINGER, Rapporto sulla fede, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1985, p. 9.
(4) Cfr. REYNALD SECHER, Il genocidio vandeano, trad. it., Effedieffe, Milano 1991; e IDEM, Dal genocidio vandeano al memoricidio, intervista a cura di Marco Respinti, in Cristianità, anno XXI, n. 224, dicembre 1993; nonché GRACCHUS BABEUF, La guerra della Vandea e il Sistema di Spopolamento, con introduzione, presentazione, cronologia, bibliografia e note di R. Secher e Jean-Joe1 Brégeon, trad. it., Effedieffe, Milano 1991.