di Michele Brambilla
Nel Mercoledì dell’Ottava di Pasqua, una Pasqua drammaticamente segnata dal sangue dell’attentato nello Sri Lanka, Papa Francesco prosegue il 24 aprile (anniversario di un altro eccidio di cristiani, il genocidio armeno del 1915) la riflessione, iniziata settimane fa, sulla richiesta del Padre nostro che riguarda proprio uno degli atti più difficili da compiere all’interno di avvenimenti così dolorosi: il perdono. «Oggi completiamo la catechesi sulla quinta domanda del “Padre nostro”, soffermandoci sull’espressione “come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12)».
«Abbiamo visto» in precedenza «che è proprio dell’uomo essere debitore davanti a Dio: da Lui abbiamo ricevuto tutto, in termini di natura e di grazia. La nostra vita non solo è stata voluta, ma è stata amata da Dio», pertanto, sostiene il Papa, «non esistono nella Chiesa “self made man”, uomini che si sono fatti da soli. Siamo tutti debitori verso Dio e verso tante persone che ci hanno regalato condizioni di vita favorevoli. La nostra identità si costruisce a partire dal bene ricevuto. Il primo», dice rivolto anche ai 6mila ragazzini ambrosiani presenti in Piazza San Pietro con i propri educatori, «è la vita», un dono immenso per il quale raramente ringraziamo il Signore.
«A pensarci bene, l’invocazione poteva anche limitarsi a questa prima parte; sarebbe stata bella. Invece Gesù la salda con una seconda espressione che fa tutt’uno con la prima. La relazione di benevolenza verticale da parte di Dio si rifrange ed è chiamata a tradursi in una relazione nuova che viviamo con i nostri fratelli». L’asse verticale del rapporto con Dio interseca quello orizzontale delle relazioni che intercorrono tra gli uomini. «Le due parti dell’invocazione si legano insieme con una congiunzione impietosa: chiediamo al Signore di rimettere i nostri debiti, i nostri peccati, “come” noi perdoniamo i nostri amici, la gente che vive con noi, i nostri vicini, la gente che ci ha fatto qualcosa di non bello».
Per il credente è naturale sperare nella misericordia di Dio per i propri peccati, «ma la grazia di Dio, così abbondante, è sempre impegnativa. Chi ha ricevuto tanto deve imparare a dare tanto e non trattenere solo per sé quello che ha ricevuto». Che senso avrebbe, infatti, non concedere agli altri quel perdono che si è sperimentato su di sé? «Non è un caso che il Vangelo di Matteo, subito dopo aver regalato il testo del “Padre nostro”, tra le sette espressioni usate si soffermi a sottolineare proprio quella del perdono fraterno: “Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-15)».
Tramite il precetto del perdono fraterno, sottolinea il Papa, «alla legge del taglione – quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te, Gesù sostituisce la legge dell’amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te», tracciando in questo modo nello spazio e nel tempo “storie di bene” che rincuorano un’umanità disgustata dall’apparente trionfo del rancore e della violenza.
Giovedì, 25 aprile 2019