Di Giacomo Gambassi da Avvenire del 02/06/2019. Foto redazionale
È «realmente una testimonianza commovente» quella che giunge dai sette vescovi grecocattolici vittime del regime comunista in Romania che oggi papa Francesco beatificherà nel Campo della libertà a Blaj in Transilvania. Ne è convinto Marco Dalla Torre, docente e profondo conoscitore della Chiesa perseguitata nell’ex Paese satellite dell’Urss. Infatti lo studioso ha curato una serie di libri dedicati ai pastori nei gulag romeni fra cui quello con le memorie di Iuliu Hossu, uno dei setti nuovi beati (assieme a Vasile Aftenie, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Ioan Balan e Alexandru Rusu). «I vescovi – spiega Dalla Torre – furono invitati a tradire la fede con proposte allettanti. Nessuno venne meno: tutti – quelli in carica e quelli ordinati clandestinamente al loro posto – preferirono le cateneper amore di Cristo e del proprio popolo. Venivano tacciati dal regime come “traditori della patria”, ma erano davvero dei patrioti».
Lo testimonia la vicenda di Hossu, cardinale “in pectore” per volere di Paolo VI che lo creò mentre era prigionieropolitico.
Nel 1969 papa Montini desiderava imporre la porpora a Hossu. Il governo romeno lo avrebbe permesso a patto che Hossu lasciasse la Romania. Ma lui fece sapere a Paolo VI che non riteneva giusto abbandonare la sua gente in catene e preferiva rimanere in Romania fino alla morte, avvenuta nel 1970. Il Pontefice rispettò come sacra questa volontà. Ecco, il movente del martirio dei cattolici di rito bizantino fu la fedeltà al Papa. Che, come la storia insegna, è garanzia di libertà.
Lei ha curato il diario di Hossu, vescovo di Cluj Gherla, dal titolo La nostra fede è la nostra vita edito da Edb.
Il testo ha una storia singolare. Era l’autunno 1961. Hossu, incarcerato da 13 anni, si trovava in una condizione di totale isolamento; solo suo fratello Traian aveva il permesso di visitarlo. E lui gli portò tre quaderni e una boccetta di inchiostro. In tre settimane Hossu scrisse (anzi, stenografò) una lunga e appassionata “lettera” ai fedeli della sua diocesi e al suo successore, per quando Dio avrebbe deciso il ritorno della libertà. Traian custodirà questi preziosi quaderni fino a che la libertà tornerà davvero, con la caduta del regime di Ceausescu. I quaderni vennero pubblicati in Romanianel 2003.
Che cosa emerge dagli scritti del beato?
Colpisce, di queste pagine, l’amore ardente per Cristo e la sua Chiesa, la gratitudine per averlo ritenuto degno di soffrire per il Signore, la mancanza di risentimento per i suoi carcerieri, visti come strumenti inconsapevoli del Dio che pure combattevano. E l’amore per i fedeli a lui affidati, che amava e da cui si sapeva amato.
Come il “Vangelo in carcere” ha contribuito a tenere viva la fede oltre la cortina di ferro?
Nei periodi più bui il mondo non sprofonda nell’abisso grazie a coloro che custodiscono la compassione: pensiamo al dialogo tra Abramo e Dio prima della distruzione di Sodoma. E, se tra questi ci sono i vescovi, ciò conferisce grande forza ai cristiani. Sono convinto che il loro sacrificio, per le misteriose vie della comunione dei santi, abbia contribuito non poco a chela fede si sia conservata anche nel nostro Occidente. Per questo ho voluto promuovere l’edizione italiana di vari libri che narrano questa Via Crucis.
Non solo martiri. Ioan Ploscaru, ad esempio, è stato vescovo dentro le sbarre che ha visto cadere il regime.
Ploscaru fu il primo a essere ordinato vescovo clandestinamente dopo l’arresto in blocco dell’episcopato. Era giovane, in buona salute e armato di una fede profonda. Questo gli permise di sopravvivere: morirà nel 1998. Le sue memorie (Catene e terrore,Edb) sono un testo splendido che mostra la sofferenza della Chiesa romena. Era una persona profondamente ottimista perché era un’anima contemplativa: in carcere viveva in unione alla Croce di Cristo. E così era un uomo totalmente libero. Un atteggiamento che ho rivisto in diversi amici romeni che vissero quelle persecuzioni.