Louis Salleron, Cristianità n. 75-76 (1981)
Pubblichiamo, in una nostra traduzione, l’articolo di Louis Salleron Quand il faudra payer la note, apparso in Itinéraires, n. 252, aprile 1981. In esso l’autore analizza la disastrosa situazione in cui versa l’economia mondiale, dalla quale si potrà uscire soltanto proclamando e attuando una dottrina sociale conforme al diritto naturale e cristiano.
Di fronte all’acuirsi della crisi economica
Verso la bancarotta mondiale
Per quanto grande, il rischio della guerra mondiale rimane un semplice rischio. La bancarotta è invece, fin da ora, cosa fatta. Ci si accontenta di rimandare giorno dopo giorno la dichiarazione pubblica del suo accertamento, perché se ne temono le conseguenze, che nessun precedente permette di calcolare.
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Individuali o collettive, private o pubbliche, le bancarotte costellano la storia dell’umanità, ma, per importanti che fossero, non hanno mai costituito niente di più di un incidente particolare nell’ambito di un insieme, che non ne era gravemente interessato e che permetteva il ritorno all’equilibrio. La situazione è, oggi, completamente diversa. È l’universo intero a essere colpito, al punto che ci troviamo di fronte a un male nuovo. Lo chiamiamo bancarotta, perché è in termini di bancarotta che ogni paese lo sente e può analizzarlo per sé stesso. Ma, così come la generalità del male esclude le soluzioni tradizionali, una riflessione più approfondita scaccia le immagini alle quali siamo abituati e ci lascia disarmati davanti a un avvenire che il passato non chiarisce in nulla.
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Che cosa ci autorizza, dunque, a parlare di bancarotta mondiale? Questo fatto semplice ed evidente: il volume dei crediti e dei debiti tra paesi e continenti è tale e legato a un tale disordine monetario, che non vediamo né come questa situazione potrebbe continuare, né come potrebbe cessare. Il ritorno alla normalità ci sfugge, perché non sappiamo più qual è la normalità. Non ci sembra che possa né debba essere quella di una volta. A male nuovo rimedio nuovo. Qual è la natura di questo male?
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Essendo un male finanziario, i sintomi si devono tradurre in cifre. Ma quali sono le cifre da prendere in considerazione? Una volta un paese faceva bancarotta quando non poteva più far fronte alle sue mese interne ed esterne. Dopo qualche espediente provvisorio e qualche scossa dolorosa, si tirava d’impiccio con la definizione di una nuova moneta, che consacrava l’annullamento o la riduzione dei suoi debiti interni o esterni e permetteva a esso di ripartire col piede giusto. A volte, quando il paese era forte, ricorreva alla guerra per andare a prendere il denaro dove ce n’era e creare un diversivo ai suoi cittadini mobilitandoli al servizio della patria in pericolo. La Rivoluzione francese e Napoleone hanno saccheggiato l’Europa per stabilizzare il franco di Germinale. La guerra nutriva la guerra esterna e la pace interna.
Ma oggi? Prendiamo l’esempio della Polonia! che è sulle prime pagine di tutti i giornali. È in stato dl fallimento interno ed esterno. Se ci fosse solo questo, tutto andrebbe bene. I paesi ricchi le presterebbero ciò di cui ha bisogno, con i mezzi per servirsene e l’obbligo di utilizzarli. Con il denaro ricevuto e gli obblighi imposti si ristabilirebbe presto. Ora non è più possibile, a causa della rivalità delle potenze in grado di fare prestiti e della ideologia sovrana dell’indipendenza nazionale. D’altra parte il caso della Polonia, lungi dall’essere isolato, è quello di ogni paese sottosviluppato o «in via di sviluppo». In un libro appena pubblicato (1) Philippe Simonnot traccia le due curve dell’andamento del debito pubblico e del costo del debito nei paesi del Terzo Mondo tra il 1950 e il 1980. Dal 1950 al 1970 la curva del debito passa da 10 miliardi di dollari a qualcosa come 75 miliardi, per crescere poi, quasi verticalmente, fino a più di 400 miliardi nel 1980. Il costo del debito sale lentamente da 0 a 10 miliardi di dollari tra il 1950 e il 1970, poi tende alla verticale, toccando qualcosa come 75 miliardi nel 1980. La bancarotta non è più alle porte, è già entrata. Tra paesi creditori e paesi debitori da una parte, ma anche nella concorrenza tra paesi creditori e nella concorrenza tra paesi debitori, si stabilisce una sorta di gioco, che ci permette di affermare che il fenomeno che si chiamava bancarotta quando si trattava di un fatto limitato, cambia di natura quando si tratta dl un fatto generale, ed è quindi solo per analogia che si può chiamarlo ancora bancarotta.
Il disordine monetario perfeziona questa anarchia. La moneta è un buon strumento di scambio e di riserva solo quando è uno strumento di misura, cioè l’unità immutabile che permette di contare. Ora non c’è più unità monetaria. L’oro non è stato sostituito. Il dollaro non ha valore fisso né in rapporto al metallo. né in rapporto all’insieme delle altre monete. Tra lui, il petrolio, le materie prime e la massa monetaria mondiale, è un balletto continuo. I tassi d’interesse, che dovrebbero definire il valore del capitale, non sono meno variabili e toccano livelli astronomici, senza alcun rapporto con le possibilità della produzione. Traducono soltanto una inflazione, la cui dose tende a diventare sempre più forte per produrre il suo effetto.
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L’inflazione – ecco, ancora una volta, la parola chiave che incontriamo per designare il male universale da cui non si guarirà che mediante una cura di disintossicazione a base di misure rigorose. Quali? L’immaginazione vi si perde. Perché il male universale esige delle misure universali. L’accordo è impossibile. Ogni paese dovrà, dunque, curare la sua «bancarotta» personale. Come farà?
Qualunque ipotesi si faccia, la salvezza verrà da una autorità politica inflessibile. Ora, al punto in cui siamo giunti, questa autorità si esprimerà innanzi tutto attraverso un rafforzamento dei poteri dello Stato, cioè mediante un socialismo di fatto che ha tutte le carte in regola per diventare un socialismo di diritto, a causa della ideologia dominante e della rassegnazione delle popolazioni. Il trionfo dell’informatica registrerà la totalità degli individui e delle loro attività e annienterà le resistenze.
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Che fare? Ora come ora non si vedono che due vie possibili. La prima è quella di esigere un habeas corpus preciso nella enumerazione di tutte le libertà individuali e sociali che possono opporsi allo Stato. La seconda è la proclamazione di una dottrina politica conforme al diritto naturale e cristiano, sola garanzia della sopravvivenza delle patrie e dei loro abitanti. Per quanto i francesi siano rosi dal mito ugualitario e dalla rovina dei loro patrimoni, il loro senso della giustizia e della libertà non rende assolutamente illusorio un tentativo di questo tipo. Ma, prima di tutto, devono prendere coscienza dei fatti: l’inflazione lascia loro da pagare un conto gigantesco – quello della bancarotta -. Davanti a loro sta questo domani. Essi devono preparare il dopodomani.
Louis Salleron
Note:
(1) Cfr. PHILIPPE SIMONNOT, Mémoire adressé à Monsieur le Ministre sur la guerre, l’économie et les autres passions humaines qu’il s’agit de gouverner, Seuil, Parigi 1981. Questo piccolo libro di 200 pagine, scritto con verve, si raccomanda per una sostanziosa documentazione animata da una allegra immaginazione, che viene temperata da un robusto buon senso e da solide conoscenze economiche.