di Stefano Chiappalone
Chi sostiene che la pittura cosiddetta “di genere” e la natura morta siano nate soltanto in età moderna ha ragione, ma fino a un certo punto. Certamente la celebre Canestra di frutta dipinta da Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610) segna un passo decisivo verso una pittura puramente naturalistica, compiendo un significativo balzo in avanti rispetto al canone lombardo, che pullulava di ortaggi in bella mostra, ben rappresentato dal pittore cremonese Vincenzo Campi (1539-1591).
Eppure nel pieno Medioevo si va diffondendo un fecondo filone di miniature raffiguranti non soltanto Madonne e santi, ma anche mandragore, cipolle, ciliegi e melograni, spezie ed erbe officinali, attività e cicli dell’agricoltura, scene di vita sociale, familiare, insieme a preziosi consigli medici e alimentari. Si sta parlando, naturalmente, dei tacuina sanitatis, derivanti dal trattato del medico arabo di fede cristiana nestoriana, Abū al-Hasan Mukhtar Ibn Buṭlān, attivo a Baghdad nel secolo XI, e intitolato Taqwīm al ṣiḥḥa, vale a dire «Trattato della salute». Tradotto in latino tra i secoli XII e XIII, dà origine a una serie di altri trattati autonomi che conservano il nome originario traslitterato in tacuinum, taccuino, una delle tante parole latine che, inconsapevolmente, utilizziamo ancora oggi.
Ciascuno di essi apre uno spaccato sulla vita quotidiana medioevale, che si rivela insieme faticosa e festosa, in cui – ed è qui la grande differenza con la pittura moderna di genere – il frutto, l’ortaggio, l’agricoltore, il lavoro e la festa, la fatica e la danza, la guerra e l’amore appaiono inseriti in un insieme unitario più che uniforme: un cosmo in cui si incontrano il cielo e la terra, e il Cielo e la Terra, così come su queste pagine si intrecciano il colore e il sapere, la conoscenza scientifica e la tradizione popolare, l’arte della medicina e quella della calligrafia. Finestre colorate dalle quali traspare, ancora una volta, l’inaspettata luce dei “secoli bui”.
Sabato, 22 giugno 2019