Di Michele Brambilla
Papa Francesco inizia il discorso alla recita dell’Angelus del 7 luglio, XIV domenica del Tempo ordinario, ricordando che «l’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli». Infatti, nella numerologia biblica «il numero settantadueindica probabilmente tutte le nazioni», perché «[…] nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr Gn 10,1-32). Così questo invio prefigura la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le genti»
Un compito non certo facile da svolgere. Del resto, lo stesso Gesù avverte immediatamente l’inadeguatezza (sia nel numero sia nella preparazione oratoria) di chi è chiamato alla missione ad gentes:«A quei discepoli Gesù dice: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!” (cfr Lc 10,2). Questa richiesta di Gesù è sempre valida. Sempre dobbiamo pregare il “padrone della messe”, cioè Dio Padre, perché mandi operai a lavorare nel suo campo che è il mondo».
Non occorre peraltro pregare solo perché gli operai siano numerosi e preparati, ma, sottolinea il Pontefice, «nell’inviare i settantadue discepoli, Gesù dà loro istruzioni precise, che esprimono le caratteristiche della missione. La prima – abbiamo già visto –: pregate; la seconda: andate; e poi: non portate borsa né sacca…; dite: “Pace a questa casa”… restate in quella casa…Non passate da una casa all’altra; guarite i malati e dite loro: “è vicino a voi il Regno di Dio”; e, se non vi accolgono, uscite sulle piazze e congedatevi (cfr Lc 10,2-10)».
Indicazioni, le precedenti, che vanno nel dettaglio e che sono state spesso fraintese come un invito a una povertà di mezzi fine a sestessa (pauperismo): per questo Francesco precisa che «questi imperativi mostrano che la missione si basa sulla preghiera». È la centralità del Signore pregato e adorato che rende possibile tutto il resto, come si può facilmente constatare nelle case delle Missionarie della Carità di santa Teresa di Calcutta (1910-97), dove non c’è giornata che non cominci ai piedi del tabernacolo.
Come dice il Santo Padre, «se vissuta in questi termini, la missione della Chiesa sarà caratterizzata dalla gioia. E come finisce questo passo? “I settantadue tornarono pieni di gioia” (cfrLc 10,17). Non si tratta di una gioia effimera, che scaturisce dal successo della missione; al contrario, è una gioia radicata nella promessa che – dice Gesù – “i vostri nomi sono scritti nei cieli”(cfr Lc 10,20)». È questo il vero fondamento della spiritualità del “servo inutile” (cfr Lc 17,10): non importano i risultati immediati, il Signore è comunque fiero di noi e ci attende in Paradiso.
Martedì, 9 luglio 2019