Di Andrea Morigi da Libero del 12/07/2019. Foto redazionale.
Il prezzo del sangue è il sangue, secondo la legge del taglione. Nei Paesi scandinavi è stata abolita sin dal tempo dei Vichinghi, con l’ avvento del cristianesimo, ma in Marocco il diritto coranico vige ancora. Quindi, perché non lo si dovrebbe applicare agli assassini della danese Louisa Vesterager Jespersen e della norvegese Maren Ueland, le due turiste di 24 e 28 anni decapitate da un gruppo di terroristi dell’Isis sulle montagne dell’Alto Atlante, in Marocco, nel dicembre scorso? La madre di Louise ci spera: «Spero che siano condannati alla pena massima, la pena di morte», ha scritto Helle Jespersen, in francese, al tribunale di Salè, vicino a Rabat, dove è quasi giunto a conclusione il processo aperto il 2 maggio scorso contro tre giovani marocchini, il 27enne Younes Ouaziyad e il 33enne Rachid Affati, capeggiati dal venditore ambulante 25enne Abdessamad Ejoud, ritenuti responsabili dell’uccisione delle due escursioniste.
L’APPELLO
Il testo, letto dall’avvocato ingaggiato dalla famiglia, Khalil al Fataoui, è un appello emotivo, più che giuridico: «Come madre, non so nemmeno quanto mia figlia abbia sofferto per la sua morte, ma so che mi ha chiamata e che non avrei potuto aiutarla. Quanto tempo le restava da vivere? E pensate se qualcuno avesse fatto lo stesso ai vostri figli! Non sareste così gentili da dare a quelle bestie la pena di morte che meritano, per le ragazze e per il mio amore? Assicuratevi che essi non ottengano soltanto la pena di morte, un atto crudele, ma che renderebbe il mondo migliore senza quelle persone».
La donna, pur riconoscendo che nel suo Paese la pena di morte è stata abolita, chiede che in questo caso, benché dal 1993 vi sia una moratoria «de facto» sulla sua attuazione, si faccia un’eccezione.
Dello stesso parere è il procuratore, che ha chiesto la punizione capitale per i tre imputati, qualificandoli come «mostri sanguinari», ritenuti appartenenti a gruppi jihadisti e che registrarono in un video il loro sacro macello, facendone poi circolare le riprese filmate su Internet.
Lo stesso avvocato Fataoui, come parte civile, che ha annunciato una richiesta di risarcimento di dieci milioni di dirham (corrispondenti a circa un milione di euro), si era pronunciato a favore della pena di morte in un’intervista al quotidiano norvegese Dagbladet, lo scorso maggio: «I quattro principali accusati non sono esseri umani, sono criminali che si comportano peggio che gli animali: meritano la pena di morte e sono sicuro che l’avranno. La maggioranza dei marocchini ritiene che i responsabili dell’ assassinio delle due turiste saranno puniti con la morte».
A differenza degli Jespersen, la famiglia di Maren Ueland, la 28enne norvegese, non ha espresso la volontà di partecipare al processo.
LA CELLULA
In totale sono 24 gli imputati, appartenenti alla cellula terroristica. Oltre ai tre presunti autori materiali del crimine, vi è un quarto, l’ispano-svizzero Kevin Zoller Guervos per il quale la procura ha chiesto l’ergastolo poiché ritenuto al corrente dei fatti, prima e dopo, e responsabile di avere addestrato gli assassini al tiro con le armi da fuoco e all’utilizzo di sistemi criptati di messaggeria.
Gli altri sono ritenuti complici a vario grado e per loro sono state chieste condanne a partire dai 15 anni.
Il loro difensore d’ ufficio, l’avvocatessa Hafida Mekessaoui, invece, ha sostenuto che i tre uomini in realtà sono essi stessi vittime, perché sono vissuti in povertà e hanno subito il lavaggio del cervello. Perciò ha chiesto che si decida per loro un trattamento psichiatrico al posto della pena di morte. Il processo è in corso dal 2 maggio e la sua conclusione era attesa a breve. Il corrispondente dal Medio Oriente del sito web danese dr.dk, Michael S. Lund, non è così ottimista e ritiene che la sentenza non arriverà prima del 18 luglio.