di Leonardo Gallotta
L’estetica è tradizionalmente definita come lo studio del bello. Essendo però la nozione di “bello” troppo indeterminata per prestarsi a una indagine filosofica accurata, alcuni si sono dedicati soprattutto allo studio dell’arte, mentre altri hanno preferito trattare sia il bello sia l’arte, separando i due campi, ma analizzandoli entrambi.
Nel Dizionario di filosofia (UTET, Torino 1971) il filosofo italiano Nicola Abbagnano definisce l’estetica la «scienza filosofica dell’arte e del bello» (p. 350). Occorre dire comunque che il bello non è riferibile solo all’arte e che l’arte non è esclusivamente ricerca del bello. Alcuni estetologi sono giunti ad affermare che probabilmente non esiste nulla che non sia stato considerato bello da qualcuno e nulla la cui bellezza non sia stata negata da qualcun altro, motivo per cui tutto dipende dall’atteggiamento che si assume di fronte all’oggetto artistico e non solo.
Se così è, perché allora arrovellarsi attorno alla nozione di “bello”?
L’estetica come disciplina filosofica a sé stante ha una data di nascita, il 1750, anno in cui il filosofo tedesco Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762) pubblica Aesthetica. Tuttavia, se dovesse essere limitata a ciò che da allora in poi è apparso sotto tale nome, la storia dell’estetica coprirebbe poco più di due secoli e mezzo. Ma le cose non stanno così. Si sa da fonti indirette, per esempio, volendo andare molto a ritroso nel tempo, che il filosofo greco Platone (428/427 a.C.-348/347 a.C.) scrisse un trattato sul bello, ma che le idee più importanti sull’argomento furono da lui esposte in altre opere. Il filosofo greco Aristotele (384/383 a.C.- 322 a.C) non scrisse invece alcun trattato sul bello. Il filosofo cristiano sant’Agostino (354-430) ne scrisse uno che però è andato perduto e san Tommaso d’Aquino (1225-1274), il grande maestro della filosofia cristiana medioevale, non soltanto non scrisse trattati sul bello, ma non vi dedicò un solo capitolo delle sue opere e tuttavia, in osservazioni sparse, ne disse più di altri che vi dedicarono interi libri.
Il termine “estetica” deriva dal greco àisthesis che significa «sensazione», «percezione». Con esso si indica dunque l’esperienza che capita di fare quando si giudica “bello” qualcosa e non solo un’opera d’arte, ma anche un oggetto di uso quotidiano, una persona o un paesaggio naturale. “Qualcosa” attrae l’uomo, lo cattura e produce in esso, in modo inspiegabile, emozioni e stati d’animo molteplici. Questa è l’esperienza estetica. Di fatto è come se quel determinato oggetto giudicato bello manifestasse un “di più”, qualcosa che non si riesce a definire in modo completo e che tuttavia coinvolge, stimolando il pensiero ed elevando lo spirito.
Ora, nell’ambito dei saperi esistono alcuni campi e settori disciplinari rigorosamente delimitati (si pensi alla fisica, alla chimica, alla biologia) che consentono di determinare con esattezza l’oggetto dello studio che si affronta. Questo non vale però per l’estetica, dal momento che essa appare caratterizzata da una indeterminatezza di fondo. Se ne ricava dunque l’idea di come sia evidente l’impossibilità di definire l’esperienza estetica in modo univoco, sulla base cioè di criteri oggettivi, validi in modo universale e necessario.
Conviene allora soffermarsi sul “di più” manifestato da un oggetto che viene definito bello e convincersi che quando l’uomo giudica tale un oggetto, un’opera d’arte o un paesaggio naturale, intuisce qualcosa di non tangibile, di non classificabile, di non misurabile, insomma di immateriale, che costituisce tuttavia l’essenza profonda di ciò che si guarda e che in qualche modo si trasfonde nell’osservatore. Ecco allora che il bello (da bellus, termine latino diminutivo di bonus) nella musica e nella poesia, nella natura e nell’arte, può divenire un eccellente ponte tra questo mondo finito e le infinite regioni dello spirito.
Sabato, 24 agosto 2019