di Marco Invernizzi
Ahmad Massoūd jr., figlio del «Leone del Panshir», Ahmad Shāh Massoūd (1953-2001), assassinato due giorni prima dell’attentato dell’Undici Settembre, ritorna in Afghanistan per continuare l’opera del padre. Ne dà notizia il Corriere della Sera, spiegando come il leader abbia già cominciato a incontrare gli anziani dei villaggi del Nord del Paese e fondato un movimento nel nome del padre (che differisce dal suo solo per il secondo nome Shah). Ha trent’anni, ha studiato a Londra ed è tornato per sfidare i talebani.
Ma perché questa “buona notizia” è così importante, certamente per l’Afghanistan, ma pure per il resto del mondo? Chi era e che cosa ha rappresentato il padre di questo giovane che si prepara a riprenderne l’opera?
Ahmad Shah Massoūd, musulmano, afghano di etnia tagika, è una delle figure principali della resistenza afghana dopo l’invasione sovietica nel 1979, diventato ministro della Difesa dopo la guerra di liberazione del Paese, il ritiro dell’esercito comunista e la proclamazione della Repubblica islamica d’Afghanistan (1992). Liberato il Paese dai sovietici, Massoūd dovette affrontare una sanguinosa guerra civile (1992-1996) contro il fondamentalista Gulbuddin Hekmatyar, ma, sebbene vittorioso, nulla poté contro la conquista della capitale Kabul da parte dei talebani, nel 1996, che instaurarono il regime islamista diventato famoso in tutto il mondo per la sua violenza fondamentalista. Massoūd si ritirò così nella propria terra nativa, la Valle del Panshir, dove diede vita all’Alleanza del Nord contro il dominio talebano. Qui, nella propria roccaforte, venne ucciso da due terroristi tunisini di Al Qaeda con passaporto belga, che si erano finti giornalisti di una televisione marocchina, inviati per intervistarlo, nascondendo una bomba nella propria telecamera. Era il 9 settembre 2001 e Massoūd morì dopo una settimana di agonia in seguito alle ferite riportate. Al suo funerale erano presenti 100mila persone, fra cui il figlio, allora undicenne, che oggi cerca di riprenderne l’opera.
Con lui moriva il principale esponente di una duplice resistenza, anticomunista ma anche ostile all’islamismo dei talebani, una resistenza che Alleanza Cattolica aveva imparato ad apprezzare e ad aiutare, dando ai suoi esponenti la possibilità di farsi conoscere in tante iniziative organizzate in Italia appunto da Alleanza Cattolica in collaborazione con la CIRPO, la Conferenza internazionale delle resistenze nei Paesi occupati, prima negli anni 1980 e poi di fronte al dilagare del fondamentalismo talebano che Massoūd aveva precocemente denunciato.
Per molti il «Leone del Panshir» ha rappresentato una speranza: certamente per tanti afghani, ma anche per tutti coloro che capiscono come quanto avviene in quella lontana terra non riguardi solo le diverse tribù che la abitano e gli equilibri difficili di uno Stato importante come il Pakistan, bensì tutti a causa della lotta esplosa tra il terrorismo islamista e l’Occidente dopo la fine del dominio sovietico. Massoūd aveva capito che si poteva e che si doveva essere musulmani e afghani senza cadere nell’ideologia fondamentalista, che si doveva difendere la libertà religiosa dei diversi popoli senza rinunciare alla propria identità. La sua vita e il suo sacrificio hanno dimostrato che la lotta contro il male è veramente universale, e che bisogna accogliere e valorizzare ogni presenza dei segni della Verità e del bene in chiunque li lasci manifestare. Così forse un giorno la Verità verrà conosciuta e amata da tutti i popoli, ciascuno con la propria cultura e la propria storia. Se il figlio del «Leone del Panshir» saprà condurre gli afghani sulla strada della giustizia dopo tante sofferenze, si dovrà ringraziare il padre e il suo sacrificio eroico.
Lunedì, 19 agosto 2019