Successe (VIII secolo) venticinquenne al padre Acaz sul trono del regno di Giuda, il più meridionale dei due regni in cui, dopo Salomone, si divise l’antico regno di Israele. Contro la politica di soggezione all’Assiria, che era stata del padre, Ezechia – come ci narra il II libro dei Re – appoggiò il profeta Isaia, combatté l’idolatria, volle il ritorno del popolo ebreo al monoteismo e alla fedeltà a Jahwè, governò bene anche economicamente lo stato, promosse la cultura e la conservazione delle antiche tradizioni, svolse un’attiva politica internazionale, resistette vittoriosamente alla conseguente aggressione assira (anche, dice la Bibbia, grazie alla mortalità voluta da Dio nell’esercito assediante); conferme ad alcune vicende storiche sono date da documenti assiri e pure da un passo del famoso storico greco Erodoto [484-430 ca. a.C.]. Insomma, Ezechia fu un grande sovrano, politicamente perché fu capace di fare del suo piccolo regno uno degli stati più brillanti di tutta l’Asia occidentale, religiosamente perché restaurò la fede del popolo eletto. Dice la Bibbia: «Fece ciò che è giusto agli occhi del Signore, conformandosi in tutto alla condotta di David suo antenato… Confidò nel Signore, Dio d’Israele… Attaccato al Signore, non se ne allontanò; osservò i precetti che Dio aveva dato a Mosè. E il Signore fu con Ezechia». Due rapidissime riflessioni. I popoli possono trovare la loro felicità storica nella fedeltà a Dio. Ma il racconto biblico vale anche per ciascuno di noi, individualmente: nella nostra fedeltà, nella nostra «restaurazione» religiosa, sta la nostra salvezza, la garanzia che il Signore sarà con noi.
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, p. 24
Mercoledì, 28 agosto 2019