« Voi infatti non vi siete avvicinati a qualcosa di tangibile né a un fuoco ardente né a oscurità, tenebra e tempesta, né a squillo di tromba e a suono di parole, mentre quelli che lo udivano scongiuravano Dio di non rivolgere più a loro la parola. […]. Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova » (Eb 12,18-19.22-24a).
Erik Peterson ci ha donato uno studio profondo, con la ricchezza e ampiezza di documentazione che contraddistinguono la sua teologia, dove gli angeli sono considerati come i modelli della lode e i nostri co-liturghi nel culto eucaristico. Egli attira soprattutto l’attenzione su un passo della Lettera agli Ebrei: Eb 12,18-24 e commenta: “[…] quando ci vien detto […] che noi ci siamo avvicinati all’adunanza festiva a cui partecipano le miriadi di angeli, cittadini della città celeste, e le anime dei giusti arrivati alla perfezione, dovremmo rappresentarci questo “avvicinamento” cultuale alla festività celeste, considerando la liturgia che l’ekklesia celebra sulla terra come partecipazione al culto che nella città celeste è celebrato dagli angeli.
Considerate sotto questo aspetto, le parole della lettera agli ebrei assumerebbero un significato particolarmente pregnante”. Non è dunque un caso che il Sanctus o Trisághion sia sempre preceduto da un riferimento agli angeli: “È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre e in ogni luogo a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. […] per Cristo nostro Signore. Per mezzo di lui gli Angeli lodano la tua gloria, le Dominazioni ti adorano, le Potenze ti venerano con tremore. A te inneggiano i Cieli, gli Spiriti celesti e i Serafini uniti in eterna esultanza. Al loro canto concedi, o Signore, che si uniscano le nostre umili voci nell’inno di lode: Santo, Santo, Santo il Signore Dio dell’universo”. D’altronde sant’Ignazio di Loyola nel Principio e Fondamento, che è come l’ouverture dei suoi Esercizi Spirituali, pone lo scopo della vita dell’uomo nel “lodare, adorare e servire Dio nostro Signore”. È quello che fanno da sempre gli angeli. Cfr. Pietro Cantoni, L’Oscuro Signore, Sugarco, Milano 2013, pp. 48-51.
Gli angeli con la loro vita ci aiutano allora a capire quanto sia importante la contemplazione e la preghiera. Soprattutto la preghiera di adorazione e di lode. Ma a che cosa serve adorare e contemplare? Non “serve a nulla”, perché tutto serve a lei. È atto di sovrana libertà e di supremo significato, che riempie il cuore e la vita più di ogni fare e produrre. Molte cose servono ad altre, molte azioni servono per compiere altre azioni… Questo serve a quest’altro, che serve a quest’altro ancora, il quale a sua volta serve a, serve a, serve a… Non si può andare all’infinito, perché altrimenti tutto il nostro fare sarebbe senza senso, letteralmente insensato, un acchiappare il nulla e un inseguire il vento. C’è un fare che è ultimo, perché tocca l’origine di ogni cosa, il principio di tutto, la Bellezza suprema, « l’amor che move il sole e l’altre stelle » (Paradiso, canto XXXIII, 145: l’ultimo verso della Divina Commedia…). Quando preghiamo, adoriamo, lodiamo ci immergiamo nell’eternità e quindi la anticipiamo…
Il Santo del giorno: Sant’Egidio, abate