« Gli Israeliti si mossero dal monte Or per la via del Mar Rosso, per aggirare il territorio di Edom. Ma il popolo non sopportò il viaggio. Il popolo disse contro Dio e contro Mosè: “Perché ci avete fatto salire dall’Egitto per farci morire in questo deserto? Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero”. Allora il Signore mandò fra il popolo serpenti brucianti i quali mordevano la gente, e un gran numero d’Israeliti morì. Il popolo venne da Mosè e disse: “Abbiamo peccato, perché abbiamo parlato contro il Signore e contro di te; supplica il Signore che allontani da noi questi serpenti”. Mosè pregò per il popolo. Il Signore disse a Mosè: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita”. Mosè allora fece un serpente di bronzo e lo mise sopra l’asta; quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di bronzo, restava in vita » (Nm 21,4-9).
Ci troviamo davanti all’ennesimo peccato di incredulità del popolo nei confronti di Dio e del suo inviato Mosè; esso è punito con serpenti velenosi che mordono e uccidono. Il rimedio che Dio, impietosito, comunica a Mosè, è quello di fare un serpente di bronzo posto sopra un’asta: chiunque guarderà al serpente verrà guarito. L’allusione alla passione di Gesù è evidente: lui è il vero serpente che verrà innalzato sulla croce e chiunque guarderà a Lui con fede verrà guarito. Giovanni userà proprio questa espressione, riportando un passo del profeta Zaccaria: « E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto » (Gv 19,37).
È utile rileggere qui la profezia di Zaccaria, perché è molto significativa: « Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: guarderanno a me, colui che hanno trafitto. Ne faranno il lutto come si fa il lutto per un figlio unico, lo piangeranno come si piange il primogenito » (Zc 12,10). Quello che nella traduzione greca dei Settanta, citata da Giovanni diventa « colui che hanno trafitto », nel testo ebraico è « a me, che hanno trafitto – אֵלַי אֵת אֲשֶׁר-דָּקָרוּ». Qui viene svelato un mistero inaudito: il Figlio stesso di Dio si identifica con il peccato degli uomini (rappresentato dal serpente) in modo tale che chi guarda a Lui, chi ha fede viva in lui, cioè chi lo guarda con amore, viene da Lui guarito e salvato.
Qui viene svelato fino a che punto è arrivato l’amore misericordioso infinito di Dio: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio » (2Cor 5,21; cfr. Gal 3,13; 1Pt 2,24). Gesù (evidentemente!) non ha commesso peccato (cfr. 1Gv 3,5; Eb 4,15) ma ha preso su di sé tutte le orribili conseguenze del peccato, si potrebbe dire “l’essenza del peccato” in quanto separazione da Dio, vincendolo e distruggendolo con la forza del suo amore innocente.
Questo è il motivo profondo del suo dolore, ultimamente incomprensibile e irraggiungibile (cfr. Mt 26,38; 27,46; Gv 7,34.36; 8,21-22; 13,33). Ecco perché il cristiano si sforza di non distogliere mai gli occhi da Gesù crocifisso e ama avere sempre la Croce “a portata di sguardo”.