di Daniele Fazio
Una tematica che mantiene ancora un certo fascino, anche per i giovani che si cimentino con questo tipo di studi, riguarda la nascita della filosofia. Spetta tanto alla Grecia quanto alle sue fiorenti colonie dell’Asia Minore e del sud della Penisola italica l’onore di aver donato al mondo questa scienza. E nel tempo la filosofia è diventata non solo uno dei pilastri della cultura europea, ma più ampliamente del pensiero occidentale.
Ma come nasce la filosofia? Il filosofo greco Aristotele (384/383-322 a.C.), nella Metafisica, vede nella capacità umana di stupirsi la molla che ha fatto scattare l’indagine razionale. La meraviglia, dunque, ha consentito di intraprendere il cammino di dissipazione dell’ignoranza. In tempi più recenti, e di fronte alla crisi conclamata della cultura europea, il padre della fenomenologia, l’austriaco naturalizzato tedesco Edmund Husserl (1859-1938) ha ribadito il grande merito di «un paio di greci stravaganti» (La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it., il Saggiatore, Milano 2015, p. 326) che, tra il secolo VII e il secolo VI a. C., intuirono e poi elaborarono, grazie a questa nuova attitudine teoretica, uno dei princìpi più importanti per la nascita dello spirito europeo.
Ma come riuscirono quei Greci a fare questa esperienza della meraviglia? La geomorfologia dei luoghi in cui vissero ne è sicuramente uno dei motivi fondamentali. La Grecia, e ancor di più la Magna Grecia (le colonie, cioè, dell’Italia meridionale) sono un’appendice dell’Europa incastonata al centro del Mediterraneo, laddove soprattutto sulle incantevoli coste viene a rifrangersi il Sole, illuminando in modo suggestivo gli enti. Le albe e i tramonti, per esempio, offrono colori e visioni che si imprimono dell’animo umano, il quale intesse con essi un rapporto intrinseco e misterioso. L’uomo diventa così uno spettatore disinteressato del mondo, un osservatore non semplicemente della sua modalità espressiva, ma un ricercatore della sua essenza, giungendo, altresì a porsi il quesito fondamentale: perché l’essere e non il nulla?
Una tale bellezza del creato non ha certo potuto lasciare indifferenti gli occhi dei Greci, che non hanno dunque gettato uno sguardo fugace, ma hanno tradotto – estasiati da tale bellezza – lo sguardo in contemplazione e la vista – semplice organo sensitivo – in theorein, ovvero in visione intellettiva. È proprio questo il nuovo atteggiamento inaugurato dai filosofi, che ha come organo fondamentale gli occhi. Ma cosa sarebbero gli occhi senza la luce, ovvero il Sole? Non potrebbero contemplare, e quindi non potrebbero vedere la bellezza del creato, facendosene rapire.
La bellezza è allora la pre-causa della meraviglia, che, a propria volta, come afferma Aristotele, è causa della filosofia.
Bellezza e filosofia stanno pertanto in una virtuosa circolarità, tanto che da un lato la filosofia può salvare da sentieri irrazionali il bello, riconoscendolo come un’espressione dell’essere, e dall’altro la bellezza del creato può costituire quell’ambito a-razionale, che deve rimanere sempre la base realistica di ogni buon pensiero filosofico, pena la sua ideologizzazione.
Continuano a non servire, per riprendere famosi termini marxiani e marxisti, filosofi che trasformino il mondo, bensì filosofi che tornino a contemplare la bellezza del mondo.
Sabato, 12 ottobre 2019