di Valter Maccantelli
La decisione con la quale, lo scorso 2 ottobre, la WTO/OMC (World Trade Organization/Organizzazione Mondiale del commercio) ha autorizzato gli Stati Uniti ad imporre dazi per 7.5 miliardi di dollari su merci provenienti da paesi UE a compensazione dei danni derivanti alla Boeing dagli aiuti di stato erogati dalla stessa UE alla concorrente Airbus, ha scatenato quello che possiamo oramai considerare, per frequenza ed intensità, un fenomeno naturale: lo sciocchezzaio cinguettante dei leader politici della sinistra italiana.
Ha cominciato il Presidente del Consiglio Conte, guarda caso nelle more del varo di una manovra finanziaria decisamente problematica, esprimendo la sua preoccupazione per le conseguenze “drammatiche” di tale decisione. Alzata la palla sono arrivati gli schiacciatori – Matteo Renzi, Nicola Zingaretti e Laura Boldrini, per citare i più noti – che si sono affrettati ad “informare” gli italiani che i danni che deriveranno alla nostra economia sono da imputarsi al “sovranismo” di Donald Trump, versione speculare d’oltreoceano di quello nostrano, foriero di liti e rovine.
In questa vicenda il sovranismo non c’entra nulla e, a onor del vero, anche il presidente americano in carica c’entra poco. L’operazione mediatica sfrutta la comprensibile preoccupazione di alcuni settori dell’economia nazionale, specialmente nel perimetro dell’agroalimentare, come alibi per coprire la propria incapacità di cogliere, e, a maggior ragione, di gestire sia il quadro generale che gli aspetti specifici del complesso panorama internazionale.
La WTO ha impiegato 15 anni a pronunciarsi su una questione che è nata con un esposto americano del 2004 (Presidente George W. Bush), è proseguita sotto l’amministrazione Obama (fino al 2017), per arrivare a sentenza nel mandato di Donald J. Trump, al quale torna senza dubbio utile ma che non può essergli imputata.
Nel corso di questo lasso di tempo, straordinariamente lungo per gli assetti del comparto, entrambi i protagonisti della disputa – Boeing e Airbus – hanno subito profonde trasformazioni tali da renderli attori di primaria importanza in una serie di sfide che superano l’ambito industriale per entrare in quello geopolitico.
Airbus è una realtà complessa che ha assunto varie forme ma non ha mai perso la sua vocazione originale: un’unione delle industrie aerospaziali francesi e tedesche con lo scopo di fare concorrenza ai prodotti americani. Dal primo protocollo d’intesa, firmato al Salone Aeronautico di Parigi nel 1969 tra il ministro francese dei trasporti, Jean Chamant, e quello tedesco dell’economia, Karl Schiller, fino all’attuale Airbus Group SE, i cui azionisti di riferimento – tramite specifiche società di gestione – sono lo stato francese (11 %), tedesco (11%) e spagnolo (4.10%), Airbus non è mai stato un consorzio “europeo” ma sostanzialmente franco-tedesco, con l’occasionale e sporadica partecipazione di Regno Unito e Spagna.
L’Italia non ha mai aderito a questa unione. Negli anni ’60 e ’70 l’industria aerospaziale italiana era un protagonista di peso del panorama europeo e decise di perseguire l’alleanza privilegiata con i colossi americani. L’ultimo rifiuto, esecrato dagli europeisti, fu quello del governo Berlusconi di partecipare al consorzio a guida francese per lo sviluppo del trasporto militare A400M nel 2001. Fu una decisione giusta ? Probabilmente si, anche perché era la migliore fra le (poche) scelte possibili. Si sono così salvati dalle logiche aggregazioniste alcuni campioni nazionali: si pensi al settore degli elicotteri in cui oggi Leonardo Elicotteri (ex Agusta) primeggia a livello mondiale e che se fosse stata data in pasto ad Airbus, che possiede Eurocopter (oggi Airbus Helicopters) – a sua volta nata dalla fusione fra Aérospatiale e Deutsche Aerospace – probabilmente non esisterebbe più. La collaborazione privilegiata con l’industria aeronautica americana ha anche consentito la conservazione e perfino lo sviluppo di alcuni centri di eccellenza come la FACO di Cameri, in cogestione Leonardo-Lockeed Martin, per l’assemblaggio ( e la manutenzione nei prossimi decenni) degli F35 di stanza in Europa.
Boeing ha festeggiato da poco il suo centenario, essendo stata fondata il 15 luglio del 1916 da William Edward “Bill” Boeing (1881-1956), uno specialista di legnami che appena 13 anni dopo il primo volo dei fratelli Wright aprì un laboratorio per la costruzione di strutture per aeroplani. Nell’attuale configurazione, Boeing Company nasce nel 1996 con l’acquisizione, per 13 miliardi di dollari, del suo principale concorrente McDonnell Douglas, un’operazione che all’epoca fece scalpore. È il colosso aerospaziale americano per antonomasia con un azionariato privato molto diffuso e pienamente integrato nello sterminato complesso industrial-militare a stelle e strisce.
Questo sommario profilo dei contendenti ci riporta al merito della decisione della WTO. Ridotta al nocciolo la contesa sembra di lana caprina. Nella causa specifica Boeing ha ragione: l’Unione Europea (su pressione di Francia e Germania e non dei suoi oppositori interni o esterni) ha effettivamente sovvenzionato con fondi pubblici l’attività di Airbus. Per contro, il punteggio verrà probabilmente pareggiato nei prossimi mesi quando la WTO si dovrà pronunciare su una causa del tutto analoga, a parti invertite, nella quale Airbus accusa Boeing di aver usufruito di aiuti di stato, cosa altrettanto vera.
La realtà è che entrambi i gruppi costruiscono ogni tipo di oggetto volante l’uomo abbia concepito: aerei, elicotteri, missili, droni, satelliti e astronavi, sia in campo civile che militare e stanno in piedi esattamente per questo. Nessuno stato può permettersi di perderli e quando qualche settore è in crisi lo aiuta: la UE lo fa “all’europea”, cioè in forma assistenziale, gli USA lo fanno “all’americana” e in maniera più astuta e più utile, finanziando attraverso il budget della difesa progetti, stabilimenti e tecnologie dual use. Prima o poi qualcuno si accorgerà che è l’applicazione di certe regole a settori così specifici e strategici ad essere assurda, ben più della loro inesorabile violazione.
Anche se i dazi, cosi come prospettati, si concentreranno su prodotti franco-tedeschi, sfiorando appena l’agroalimentare di qualità italiano – ben più danneggiato, nel silenzio generale, dagli accordi di libero scambio con Canada (CETA) e Mercosur, siglati dalla stessa Unione Europea a vantaggio della grande industria alimentare mitteleuropea – il nostro paese è comunque l’unico che ha il diritto di lamentarsi. Non perché vittima del “sovranismo trumpiano” ma perché, grazie alla UE, paga tre volte: la prima finanziando la UE che ha sovvenzionato Airbus, la seconda perché questi finanziamenti sono andati in danno dell’industria aerospaziale nazionale non omologata al cartello franco-tedesco, la terza perché ora dovrà pagare i dazi, tanti o pochi che siano, in quanto membro della UE. Un bell’affare!
Martedì, 07 ottobre 2019