Di Michele Brambilla
«“La tua fede ti ha salvato” (Lc 17,19). È il punto di arrivo del Vangelo odierno», 13 ottobre, XXVIII domenica del Tempo ordinario, liturgia durante la quale Papa Francesco compie i riti di canonizzazione di John Henry Newman (1801-79), Giuseppina Vannini (1859-1911), Maria Teresa Chiramel Mankidiyan (1876-1926), Dulce Lopes Pontes (1914-92) e Margarita Bays (1815-79). Di questo santi il più noto è certamente il primo, il più grande teologo dell’Ottocento, autore di pagine indimenticabili sullo sviluppo della dottrina cattolica e sul valore della coscienza.
Le tappe dell’omelia del Pontefice sono tre e prendono tutte spunto dal Vangelo secondo san Luca (cfr. Lc 17,11-19). «Anzitutto, invocare. I lebbrosi» dell’episodio evangelico «si trovavano in una condizione terribile, non solo per la malattia che, diffusa ancora oggi, va combattuta con tutti gli sforzi, ma per l’esclusione sociale». Il Pontefice osserva che «come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro». Lo comprese Newman nel periodo di malattia che lo colse nel 1832 mentre era in viaggio in Sicilia: dal cuore dell’allora ancora pastore anglicano (si sarebbe convertito al cattolicesimo nel 1845) si alzò la poesia (divenuto poi un inno liturgico della stessa Chiesa d’Inghilterra) «Guidami, Luce gentile, nell’oscurità che mi circonda». L’umanità peccatrice ha un solo Nome che può chiamare “Salvatore”. Francesco esorta: «chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie».
Solo così, assicura il Santo Padre, si può camminare dietro a Lui: «È la seconda tappa. Nel breve Vangelo di oggi compaiono una decina di verbi di movimento. Ma a colpire è soprattutto il fatto che i lebbrosi non vengono guariti quando stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, mentre camminano» verso la Gerusalemme del Tempio in cui dovevano certificare l’avvenuta guarigione secondo la Legge. «La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio», parola ostica all’uomo post-moderno, che vorrebbe avere tutto sotto controllo. «Invocare, camminare e ringraziare: è l’ultima tappa. Solo a quello che ringrazia Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato” (Lc 17,19)» perché ha saputo riconoscere il primato di Dio.
Riconoscere l’opera di Dio dà gioia profonda, di cui tutti si accorgono: «È la santità del quotidiano, di cui parla il santo Cardinale Newman, che disse: “Il cristiano possiede una pace profonda, silenziosa, nascosta, che il mondo non vede. […] Il cristiano è gioioso, tranquillo, buono, amabile, cortese, ingenuo, modesto; non accampa pretese, […] il suo comportamento è talmente lontano dall’ostentazione e dalla ricercatezza che a prima vista si può facilmente prenderlo per una persona ordinaria” (Parochial and Plain Sermons, V,5)», testimone gentile di una Luce gentile tanto potente da averci resi davvero liberi.
Lunedì, 14 ottobre 2019