di Michele Brambilla
Con l’udienza del 16 ottobre Papa Francesco giunge al capitolo 10 degli Atti degli Apostoli, nel quale il “nodo” dell’accoglienza dei pagani nella stirpe di Abramo viene in qualche modo al pettine grazie alla conversione di Cornelio, «[…] “centurione della coorte detta Italica, […] religioso e timorato di Dio” (cfr At 10,1-2), che fa molte elemosine al popolo e prega sempre Dio», come ricorda lo stesso Francesco.
«Il viaggio del Vangelo nel mondo, che San Luca racconta negli Atti degli Apostoli, è accompagnato», infatti, «dalla somma creatività di Dio che si manifesta in maniera sorprendente. Dio vuole che i suoi figli superino ogni particolarismo per aprirsi all’universalità della salvezza». Il Pontefice lo ripete: «Questo è lo scopo: superare i particolarismi ed aprirsi all’universalità della salvezza, perché Dio vuole salvare tutti».
L’antico Israele, dal quale provenivano gli Apostoli, pensava però diversamente. «Testimone di questo processo di “fraternizzazione” che lo Spirito vuole innescare nella storia è Pietro», prosegue il Santo Padre, «protagonista negli Atti degli Apostoli insieme a Paolo». Continua il Papa: «Pietro vive un evento che segna una svolta decisiva per la sua esistenza. Mentre sta pregando, riceve una visione che funge da “provocazione” divina, per suscitare in lui un cambiamento di mentalità». «Vede», non a caso, «una grande tovaglia che scende dall’alto, contenente vari animali:, rettili e uccelli, e sente una voce che lo invita a cibarsi di quelle carni», nonostante non siano tutte kosher. L’apostolo fa quindi notare l’impedimento, per un giudeo osservante come lui; tuttavia la voce di Dio gli risponde: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano» (At 10, 15).
Era chiaramente un modo metaforico per spiegare a Pietro che il Signore non solo non rigettava più i pagani, ma che in realtà non aveva mai rinnegato nessuna delle proprie creature. Simone allora non esita più: entra nella casa di Cornelio, vi predica Cristo, e, sotto i suoi occhi, lo Spirito Santo viene infuso per la prima volta sui romani, che vengono così accolti nella Chiesa con il battesimo (cfr. At 10, 48). «Questo fatto straordinario – è la prima volta che succede una cosa del genere – viene risaputo a Gerusalemme, dove i fratelli, scandalizzati dal comportamento di Pietro, lo rimproverano aspramente (cfr At 11,1-3)», ma ad avere ragione è il primo Papa, che fa valere la propria posizione pure nel successivo Concilio di Gerusalemme (48 d.C.), durante il quale giudeo-cristiani e pagani battezzati compresero di appartenere ad un’unica, nuova famiglia universale.
Conclude allora il Successore di Pietro: «Cari fratelli, dal principe degli Apostoli impariamo che un evangelizzatore non può essere un impedimento all’opera creativa di Dio, il quale “vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4), ma uno che favorisce l’incontro dei cuori con il Signore» anzitutto tramite il proprio atteggiamento personale verso i fratelli in umanità. L’evangelizzazione è anche (certamente non solo) una questione di empatia.
Giovedì, 17 ottobre 2019