Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 236 (1994)
L’intervento predisposto dal fondatore e direttore del CEI, il Centre Européen d’Information, Pierre Faillant de Villemarest, per il convegno internazionale 1989-1994: alla ricerca del nemico perduto. Dall’impero socialcomunista all’egemonia progressista, organizzato da Alleanza Cattolica e da Cristianità a Roma, il 10 e l’11 dicembre 1994. La traduzione dal francese è redazionale.
La ricostituzione dell’Internazionale Comunista dal 1990 al 1994
Se, nel 1987 e nel 1988, ho potuto annunciare che, nel quadro delle trattative riservate fra Oriente e Occidente, ci si doveva aspettare una strana e pericolosa trasformazione del comunismo, non si trattava di una profezia. Bastava procurarsi e analizzare attentamente quanto scritto e sostenuto in occasione degli incontri fra gli strateghi dell’Internazionale Comunista e quelli dei club e delle società di pensiero che nei paesi occidentali auspicavano un Nuovo Ordine Mondiale, cioè una riconciliazione e un’intesa fra un comunismo considerato placato e un liberal-socialismo che si presentava come l’avvenire del mondo.
Un esempio caratteristico è costituito da un articolo comparso sul n. 10 di Les Nouvelles de Moscou, nel 1988, firmato da un accademico sovietico protagonista, dagli anni 1960, qualunque fosse la congiuntura internazionale, degli incontri sovietico-americani organizzati quasi tutti gli anni, all’insaputa dell’opinione pubblica. Dirigente del KGB e del gruppo incaricato di pensare la politica di Michail Sergeevic Gorbaciov, egli affermava: «L’idea di un governo mondiale, come ha fatto la sua comparsa negli anni 1950 e 1960, poteva solamente portare alla dominazione mondiale del capitalismo americano. Ma, dopo più di vent’anni, la situazione è mutata, con una ridistribuzione sensibile fra la potenza degli Stati Uniti da una parte e l’Europa Occidentale e il Giappone dall’altra, al punto che è sopravvenuta la parità militare strategica fra gli Stati Uniti e l’URSS… Adesso si tratta di costituire un ordine politico nuovo… Il mondo socialista è assolutamente preparato ad affrontare questo problema…».
Nello stesso periodo, a ogni osservatore serio bastava prestare attenzione ai movimenti che scuotevano gli apparati di tutti i partiti comunisti dell’impero sovietico per constatare che i quadri alti criticavano apertamente le équipe allora al potere in tutte le capitali e che, con i loro amici all’interno delle polizie segrete, davano via libera ai contestatori del potere vigente, anzitutto agli intellettuali e agli artisti, presto alla piazza. Ma soprattutto un fatto doveva attirare l’attenzione e permettere di annunciare che si stava preparando una vasta operazione, che non aveva niente di spontaneo: dal 1987, nel 1988 e soprattutto dal 1989 al 1991, ai moti di contestazione all’interno dei diversi partiti comunisti si accompagnavano incredibili trasferimenti in Occidente di denaro, di divise straniere e d’oro. Si trattava semplicemente del panico dei topi intenzionati a lasciare la nave che sta per affondare, oppure di uno scenario messo a punto perfettamente?
Se è pure evidente che — nonostante tutti gli sforzi — gli apparati comunisti non riescono più ad avere sulle rispettive opinioni pubbliche la presa di prima del 1989, essi tentano ugualmente, superato il disorientamento, di ricostituire una Internazionale. E ne hanno i mezzi finanziari. Hanno mantenuto i loro agenti d’influenza nei mass media dell’Occidente e i loro complici negli ambienti bancari, industriali, finanziari e nei club che il CEI, il Centre Europeén d’Information, continua a segnalare, sulla base di fatti.
Da cinque anni a questa parte non assistiamo alla fine del comunismo, ma alla fine di un certo comunismo, in gran parte grazie ai governi occidentali che, a questo proposito, non hanno minimamente modificato l’atteggiamento compiacente di ieri o di ieri l’altro. Infatti, per capire la condizione del neo-comunismo attuale bisogna fare riferimento a Jurij Vladimirovic Andropov.
L’iniziativa «ungherese» dell’ottobre del 1989 annunciava la «ri-comunistizzazione»
All’inizio di ottobre del 1989, un congresso straordinario dei comunisti ungheresi decideva improvvisamente di affondare il partito comunista e di sostituirlo con un Partito Socialista Ungherese. La decisione era stata respinta solamente da 159 delegati su 1250 partecipanti. Un oratore — evidentemente a ciò officiato — aveva osato dichiarare alla tribuna: «L’etichetta comunista non è più credibile. In caso di elezioni libere, saremmo nettamente battuti!». Il cambio di denominazione era stato «suggerito» dall’équipe di Jurij V. Andropov — ex direttore del KGB, il Comitato di Sicurezza dello Stato sovietico — appena prima della sua morte, avvenuta nel 1983. Infatti, Jurij V. Andropov, all’inizio dello stesso 1983, aveva detto al suo discepolo Michail S. Gorbaciov — allora direttore degli Organi Amministrativi, cioè del dipartimento incaricato, presso l’ex Ufficio Politico del PCUS, il Partito Comunista dell’Unione Sovietica, della supervisione della polizia e dei servizi segreti civili e militari —, che era giunto il momento, per salvare il comunismo, di dargli un altro volto, e di disporre affinché venisse detto agli occidentali quanto desideravano sentirsi dire…
Si trattava di una decisione avveduta. A partire dalla risoluzione del partito comunista ungherese Pietre Guidoni — della direzione del partito socialista francese e dell’Internazionale Socialista — e il suo amico Hubert Vedrine — collaboratore di Francois Mitterrand all’Eliseo — hanno pensato che, a Budapest, «vengono ormai condivisi gli obiettivi socialisti e socialdemocratici. Ci si pone all’interno di un sistema democratico e pluralista» (1). Roland Dumas, allora agli Affari Esteri in Francia, e Hans Dietrich Genscher, suo omologo nella Repubblica Federale di Germania, e altri, ne hanno dedotto che l’evoluzione ungherese era meravigliosa, e che veniva sanata la vecchia frattura, risalente all’inizio del secolo XX, fra la corrente rivoluzionaria del comunismo di massa e la corrente socialdemocratica contraria all’estremismo di sinistra.
Il Piano Andropov e le confidenze di Gordon MacLennan
Allora il CEI ha affermato — sulla base di un’indiscrezione proveniente da Mosca — che si trattava di una manovra (2), di un Piano Andropov.
Dopo due ore di colloquio con Aleksandr Nicolaevic Jakovlev, allora «la mente» di Michail S. Gorbaciov, il numero uno del partito comunista britannico, Gordon MacLennan, rispondeva a un suo amico, che gli chiedeva un chiarimento sulle direttive provenienti da Mosca, che «l’Internazionale Comunista deve trasformarsi in un’associazione di partiti che condividono gli stessi princìpi di base: partiti comunisti, socialisti, Verdi e anche i socialdemocratici disposti ad accoglierci nell’Internazionale Socialista!».
Il crollo del Muro di Berlino, dopo le manifestazioni anticomuniste in continua crescita negli Stati baltici, in Polonia e nella Repubblica Democratica Tedesca, ha sepolto questa informazione e, quindi, la sua portata. Per altro, a questo punto, gli apparati comunisti sono stati sopraffatti sia dai delusi della sinistra che dai movimenti anticomunisti. Comunque, il piano di un cambiamento di maschera dei partiti comunisti era stato abbozzato, e non solo dal punto di vista politico.
Nel 1994 Pietre Verluise, de Le Quotidien de Paris, ha confermato le mie analisi del 1989, chiedendo agli specialisti di sinistra Georges Mink e Jean-Charles Szurek se una parte della nomenklatura ha potuto anticipare le evoluzioni degli ultimi cinque anni. La risposta è stata questa: «Tanto in Polonia quanto in Ungheria è stata realizzata una serie di atti di appropriazione legale dei beni pubblici a opera di una parte della nomenklatura, grazie a leggi emanate nel 1988 e nel 1989… Nel novembre del 1991 la stampa sovietica ha rivelato l’esistenza di documenti che accreditano l’ipotesi di una concertazione internazionale delle strategie di conversione economica in cui avrebbe avuto una funzione direttiva il PCUS di prima dell’agosto del 1991 [quindi, quando era ancora al potere Michail S. Gorbaciov]. Così, nel marzo del 1991 è stato convocato un seminario per dare la priorità alla creazione di strutture senza legami formali con il partito, come le società per azioni, le fondazioni, le società a responsabilità limitata. La conversione politica verso la formula socialdemocratica è stata spinta dal triangolo dei riformatori di Mosca, Varsavia e Budapest, prima del 1989» (3).
E tutto chiaro, chiarissimo. Dopo gli ondeggiamenti del 1989 e del 1990, la realizzazione del Piano Andropov è ripresa. Non solo nei paesi dell’ex impero sovietico, ma anche su scala mondiale. Di nuovo i governi danno credito, senza frapporre ostacoli, a questa sceneggiata comunista. Gli altri si piegano, per ignoranza oppure per opportunismo, davanti a un dato di fatto pericoloso, a un iceberg di cui mi limito a indicare la punta.
Per esempio, nell’ex Unione Sovietica e nelle ex colonie, i quadri sovietico-comunisti si sono mantenuti al potere oppure vi sono tornati in dodici delle quindici repubbliche dell’URSS.
Fa eccezione l’Armenia guidata da Levon Ter-Petrosyan, che non ha mai fatto parte del partito comunista, ma che è stato costretto a firmare un patto di collaborazione con la Federazione Russa a causa del confitto fra azeri e armeni. In Russia, il parlamento nazionale è dominato da uomini usciti dal vecchio apparato, che frenano o sabotano Boris Nicolaevic Eltsin, tanto più facilmente per il fatto che si appoggiano — nei parlamenti regionali e provinciali — su 2.756 agenti del KGB, che vi si sono infiltrati approfittando delle elezioni locali del 1990 e del 1991, grazie a Michail S. Gorbaciov (5).
Queste cifre sono state date in occasione di una conferenza — naturalmente taciuta dalla stampa occidentale —, svoltasi a Mosca alla fine di maggio del 1994, sul tema Il KGB ieri, oggi, domani.
La maggior parte di questi uomini è legata ai nostalgici del vecchio regime come pure alle figure di spicco da questi fabbricate durante il periodo gorbacioviano, come Vladimir Volfovic Zirinovski, il cui cognome originario è Eidelstein, o Aleksandr Barkashov, presidente del Partito Nazionale Russo, e così via. Essi suonano nello stesso tempo sul registro ultra-nazionalista e sul ritorno al potere, nelle ex repubbliche e nelle ex colonie dell’URSS, dei vecchi quadri comunisti. Hanno amici o complici nel cuore del vecchio complesso militare-industriale, nel cuore dello stato maggiore generale e del suo braccio internazionale permanente, il GRU; e, ovviamente, nei servizi segreti che hanno sostituito il KGB, cioè l’FSK, il contro-spionaggio, l’SVR, lo spionaggio all’estero, e l’MVD, o ministero dell’Interno.
Non bisogna né sopravvalutare né sottovalutare questo apparato, ma lo si deve inquadrare, identificare, denunciare, per aiutare quanti, in Russia e nel suo ex impero, aspirano semplicemente a vivere, dopo essere soltanto esistiti.
Sul Wall Street Journal del 29 novembre 1994 si è potuto leggere un articolo intitolato L’Europa è stata liberata dal KGB, a firma di Anne Applebaum, condirettrice in Inghilterra della rivista The Spectator. Si tratta di una verità di base, ma questo non significa assolutamente che tutto sia perduto per i russi, per i loro vicini e per gli occidentali.
Lo scenario immaginato da Jurij V. Andropov nel 1982, sviluppato da Michail S. Gorbaciov, bloccato temporaneamente da Boris N. Eltsin nel 1991 e nel 1992, è incoraggiato e rafforzato dal silenzio su questi fatti, dal silenzio dei governi, degli uomini d’affari e dei mezzi di comunicazione sociale.
Quale reazione possono avere i popoli della Russia e delle sue ex colonie quando vedono i governi occidentali prosternarsi davanti ai comunisti sia tornati al potere sia nelle banche, nelle aziende e nelle società commerciali, comunisti notoriamente provenienti dal KGB e della nomenklatura di ieri, e non come subordinati, ma come quadri?
Stranamente gli intellettuali di sinistra, sempre pronti a dare lezioni di democrazia e che hanno generalmente costruita la loro reputazione sui cadaveri altrui, tacciono davanti a questi fatti inconfutabili! Con il pretesto che attualmente i comunisti accettano l’economia di mercato e che sembrano ritornare al socialcomunismo precedente il 1903, cioè prima della scissione fra menscevichi e bolscevichi, devono ormai essere riabilitati?
Ho citato la dichiarazione di Gordon MacLennan: circa sei anni dopo siamo a questo punto. E, nei paesi occidentali, vi sono dei buoni democristiani pronti a prestarsi alla manovra, una manovra realizzata da uomini che per dieci, venti o trent’anni hanno imparato e messo in opera, su tutti i fronti, nell’Unione Sovietica e nel mondo intero, i metodi della cospirazione.
Iser Harel, il creatore del Mossad, nel 1990, a proposito di Michail S. Gorbaciov, diceva: «O lui dominerà il KGB, oppure il KGB lo dominerà!». È quanto sta accadendo a Mosca, in queste ore, con Boris N. Eltsin. Il decreto del 23 novembre 1994 restituisce all’FSK — il KGB dell’interno — tutte le prerogative dell’ex KGB, che ha di nuovo i propri giudici istruttori, il diritto di disporre ovunque microfoni, il diritto di trarre in arresto per necessità derivanti dalle indagini, le proprie carceri, e così via. Boris N. Eltsin ha firmato questo decreto, sulla base, si dice, della necessità urgente di fronteggiare lo sviluppo della criminalità organizzata. Ma i quadri dell’FSK sono costituiti per il 75% da dirigenti dell’ex KGB, e la maggior parte di questi dirigenti è legata agli uomini del KGB che siedono in parlamento, nelle strutture economiche e finanziarie, negli apparati regionali, e tutti gli arresti a cui da allora si è proceduto non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata. E qualcuno si meraviglia del fatto che, nei rapporti fra Oriente e Occidente, Boris N. Eltsin abbia indurito i toni!
Quanti ieri hanno processato per oltre un decennio i nazisti e i loro delitti, e condotta fino a oggi la caccia ai sopravviventi, sono disposti a dimenticare settantacinque anni di crimini comunisti, e il fatto che i comunisti tornino al potere. Vogliono farla finita con la vocazione spirituale e morale della civiltà occidentale, con il pretesto che il tempo delle crociate è passato. È più che mai attuale, di fronte alla menzogna e alla sovversione.
La tesoreria per gli apparati vecchi e nuovi
Basterebbe che i russi desiderosi di libertà, schierati con Boris N. Eltsin, venissero allontanati da un governo già in difficoltà e che il potere ricadesse nelle mani di un partito comunista ricostituito e di un KGB diviso in due organismi, ma sempre inquadrato da veterani, perché il potere di un apparato in Russia già ricostituito coordinasse di nuovo gli apparati stranieri, su scala mondiale.
Il processo è in via di realizzazione, senza problemi economici. Come ho detto a suo tempo, nell’inverno del 1989 Michail S. Gorbaciov aveva versato 22 milioni di dollari ai partiti comunisti stranieri. Il corrispondente del CEI in Svezia mi ha anche precisato, nella primavera del 1994, che il partito comunista del suo paese — al sessantacinquesimo posto nella lista dei finanziati — aveva ricevuto, per l’anno 1990, 275.000 dollari.
Se, dopo il 1991, questi versamenti sono stati bloccati grazie all’allontanamento dei gorbacioviani, rimane il denaro del KGB e dei mafiosi, che si sono accordati per fornirsi un completo aiuto reciproco, sulla base delle necessità.
Faccio un esempio, quello di Cipro. Da più di dieci anni, fra quest’isola e l’Unione Sovietica si viaggia senza nessun bisogno di visto. Inoltre, vi sono voli regolari fra Mosca e Cipro. Nel decennio scorso vi si sono installate centodieci società sovietiche.
Secondo un collega greco-americano, A. Craig Copestas, fra l’inizio del 1991 e l’aprile del 1992 sono stati trasferiti da Mosca a Cipro, versati su conti di «privati» russi, 2.600.000.000 di dollari. Il 10 aprile 1993 un uomo d’affari russo è sbarcato a Cipro e ha estratto dalla borsa tre milioni di dollari, e così via.
Questo denaro segreto si aggiunge ai circa 50 miliardi di dollari suddivisi, dal 1987 al 1991 — quando era al potere Michail S. Gorbaciov — su 7.000 conti segreti nell’Europa Occidentale, in America Latina e nei paesi arabi del Mediterraneo.
Come collegare questi personaggi diversi, mafiosi, uomini della finanza e protagonisti della vita politica?
Sono parzialmente debitore del punto di partenza della mia analisi a Lev Timofeev. Nato a Leningrado nel 1936, diplomato in Economia Internazionale, dal 1987 al 1991 egli ha denunciato incessantemente l’apparato comunista. Nell’estate del 1991, il KGB lo aveva messo in testa nella lista delle persone da eliminare il primo giorno del golpe, poi felicemente fallito (6). Nel 1992 ha pubblicato, negli Stati Uniti d’America, presso l’editore Alfred A. Knopf, un volume dal titolo Russia’s secret rulers, «I dirigenti segreti della Russia»; come era prevedibile, l’opera non è stata tradotta né in francese né in altre lingue occidentali. Vi si trova il testo di una circolare segreta, datata 23 agosto 1990 e nata da consultazioni fra una decina di discepoli di Jurij V. Andropov, provenienti dagli Organi Amministrativi, e quadri superiori dell’apparato comunista. Del circolo facevano parte Egor K. Ligaciov, nel 1992 numero due del partito comunista dietro Michail S. Gorbaciov, e Anatolij Ivanovic Lukianov, alter ego dello stesso Michail S. Gorbaciov dal tempo dell’università, quando era al potere Josif Visarionovic Stalin. L’uno e l’altro sono stati i due ultimi direttori degli Organi Amministrativi. Inoltre, Anatolij I. Lukianov è stato uno dei golpisti, almeno la mente del montaggio nell’estate del 1991.
La circolare è intitolata Sulle misure d’urgenza da prendere per organizzare le attività commerciali del partito all’interno e all’estero, traduzione non letterale ma fedele, per evitare al lettore i giri di frase della cosiddetta «lingua di legno», il gergo ufficiale sovietico.
Essa concretizza il rodaggio di un’operazione iniziata nel 1987 e che prevedeva l’esistenza di un Segretariato atto ad assicurare la continuità di un lavoro consistente «nel creare strutture economiche a partire da fondazioni, associazioni, ditte, e così via, per arrivare a un’economia invisibile del partito».
«Bisogna immediatamente creare organizzazioni anonime e camuffare i loro legami con il partito nelle attività commerciali, qui e all’estero, tenendo conto in modo particolare delle possibilità offerte dalle joint venture, dai consorzi internazionali, e così via».
Essa chiede di «creare, con urgenza, una banca controllata dal Comitato Centrale, con diritto per questo di svolgere operazioni sulle divise straniere e di investire in divise forti nelle ditte internazionali controllate dagli amici del partito comunista». Viene sottolineato che si tratta di una operazione assolutamente segreta. Per altro, un modulo in appendice, n. 18/6220/91, riporta la formula d’impegno diretta a ogni iniziato: «Io sottoscritto…, membro del Partito Comunista dal…, tessera n. …, ho deciso, dopo riflessione, volontariamente, di diventare agente del Partito, di realizzare i compiti che il Partito mi affiderà, di svolgere qualunque funzione, in qualunque circostanza, senza rivelare la mia appartenenza a questo servizio. Giuro di proteggere e di utilizzare con precauzione, nell’interesse del Partito Comunista, i mezzi finanziari e materiali che mi saranno dati, e di restituirli arichiesta…». Quando si è conosciuta questa circolare, si comprende facilmente cosa è accaduto prima, durante e dopo l’estate del 1991.
La Komsomolskaia Pravda del 7 dicembre 1991 ha confermato l’esistenza di questa circolare e degli impegni segreti a essa relativi. La stampa internazionale non ne ha detto nulla. Nel settembre e nell’ottobre del 1991 parlavo di «un’operazione “ricostituzione del Komintern”» e della «creazione di un’economia invisibile» con conoscenza di causa (7).
Due magistrati inquirenti del Tribunale di Mosca, Sergeij Aristov e Vladimir Dmitrev, hanno tentato invano di attirare sul fatto l’attenzione degli occidentali. Un anno dopo esistevano già 12 banche controllate da tale apparato segreto, fra cui la Tokobank, l’Autobank…, impegnate in numerosi giri d’affari con potenti banche e ditte degli Stati Uniti d’America, di Francia, d’Inghilterra, e così via. Nel 1994 queste banche sono diventate 500, sulle 2000 circa esistenti in Russia. Significativo è il caso della Most, nella quale la metà degli analisti, dei direttori commerciali e dei capiservizio — circa settanta — sono veterani del KGB. Li guida Filip Bobkov, fino al 1991 uno dei vicedirettori del KGB stesso, nel quale, per circa quindici anni, si è dedicato alla caccia ai contestatori e ha diretto l’équipe che ha arrestato Aleksandr Isaevic Solzenicyn e Andrej Dmitrievic Sacharov.
Secondo il consigliere federale elvetico Jean Ziegler, poco sospetto di antisovietismo, nel 1991 la banca dell’Uzbekistan ha trasferito le riserve auree in Svizzera, attraverso la Bulgaria e su ordine della banca di Stato dell’Unione Sovietica. Il CEI ha svolto un’indagine sul trasferimento, avvenuto con un aereo della ditta Seabeco, nel 1992, di 1.6 tonnellate d’oro dal Kirghizistan aZurigo, dove la società Metalor si è incaricata di «trattarlo». Nel 1994, il procuratore generale della Federazione Russa ha comunicato alle autorità svizzere una lista di conti sospetti.
Secondo le stime degli specialisti, nell’estate del 1993 il capitale ex sovietico trasferito illegalmente in Occidente in sei anni ammontava a circa 70 milioni di dollari. Nello stesso tempo, fra il 1989 e il 1992, nell’ex URSS sono nate 600 aziende «private» sfruttando il crollo finanziario e le privatizzazioni. Così, nel 1994, sempre in Russia, delle 110 mila imprese privatizzate 40 mila costituiscono questa valanga, sia perché nate grazie al denaro illegale ricordato, sia perché controllate da due categorie di persone: gli uomini del partito e del KGB, iniziati alla prospettiva abbozzata nel 1987 e in via di continua realizzazione, e i «baroni» di una mafia d’alto bordo, che non ha nulla a che vedere con quella di Chicago negli anni Venti, dal momento che poco meno di 300 di questi «baroni» sono personaggi generalmente usciti dagli Istituti di Studi Superiori e dalle Università, oppure dal vecchio apparato comunista, che hanno progressivamente infiltrato a partire dagli anni 1960, cioè dal momento in cui la nomenklatura stessa ricorreva, sotto Leonid Il’ic Breznev e dopo, al mercato nero, alla corruzione e al ricatto per vivere in condizioni migliori del resto della popolazione.
La partecipazione della mafia
Per esempio, non bisogna dimenticare che la famiglia di Leonid I. Breznev, suo genero, allora ministro dell’Interno, e così via, vi sono stati compromessi. Jurij V. Andropov, da direttore del KGB, esibiva questi dossier per ripulire il partito comunista e i suoi organi non dai mafiosi, ma dai mafiosi brezneviani; prova ne è il fatto che la corruzione si è sviluppata ancora di più negli anni 1980…
In ultima analisi, l’apparato dello scenario avviato a realizzazione nel 1987, e concretizzato nella circolare dell’agosto del 1990, ha mescolato strettamente gli iniziati del partito e quelli dell’alta mafia russa e delle repubbliche e territori periferici. Il che spiega perché oggi, ogni settimana, si verificano regolamenti di conti, scandali e attentati. La storia dà continuamente esempi di complici divenuti a un certo punto rivali, e di uomini che, dal potere acquisito, vengono trascinati a dimenticare il programma al quale erano stati iniziati.
Le organizzazioni mafiose russe hanno preso parte alle operazioni di trasferimento di cui si è detto; il generale Anatolij Olenikov, incaricato della lotta contro la criminalità organizzata al MVD, cioè al ministero dell’Interno, assicurava, nella primavera del 1994, che questa «dispone di 2.5 miliardi di dollari nelle banche occidentali, di cui un miliardo rubato nelle banche russe».
A partire dal 1992 Praga e Varsavia sono diventate i luoghi di collegamento per i mafiosi dell’Europa Orientale con l’Europa Occidentale e con gli Stati Uniti d’America. Il direttore dell’FBI, il Federal Bureau of Investigation, ha dichiarato di aver raccolto le prove di un collegamento permanente fra le organizzazioni mafiose russe, Cosa Nostra di New York e i loro «corrispondenti» in Inghilterra (8).
Anche Berlino è un luogo di collegamento non solo nella direzione da oriente a occidente, ma anche da occidente a oriente. La mafia ucraina si è riservata basi in Pomerania e nel Maklemburgo, nell’ex Repubblica Democratica Tedesca; e nel Maklemburgo si sono istallati anche i cechi. Nel 1991, la polizia e la magistratura inquirente russe hanno smascherato 90 filière verso l’Europa Occidentale e verso l’America; nel 1992, altre 74, di cui 40 specializzate in icone e in opere d’arte, che finivano in 29 Stati occidentali.
Ma l’elemento veramente interessante è costituito dalla foresta che si nasconde dietro l’albero mafioso. Credere che, per scongiurare il pericolo mafioso, basti solamente la collaborazione stretta fra i servizi di polizia e di dogana occidentali e i loro omologhi russi significa dimenticare lo scopo della circolare del 13 agosto 1990, cioè la creazione di un’economia invisibile al servizio di un apparato ancor più invisibile.
Per questo il CEI ripete che il comunismo è morto, ma che il suo apparato rimane, più che mai protetto perché in dodici su quindici delle ex repubbliche dell’Unione Sovietica i quadri comunisti di prima del 1989 sono ritornati al potere. Inoltre, in numerose società miste, legate al commercio internazionale, si può cogliere la presenza, nello stesso tempo, dello spionaggio russo e dell’ex apparato del partito comunista. Quindi, che affari legali possono nascondere un’attività sovversiva.
L’apparato parallelo manovra un nazionalcomunismo, talora un social-liberalismo che continua a considerare l’Occidente come un avversario. Ha ripreso in mano, con prudenza e con abilità, agenti d’influenza infiltrati nelle strutture occidentali, soprattutto nella stampa e nell’editoria, e — in modo particolare in Francia — in diversi quotidiani e settimanali di grande tiratura. Non si tratta di spionaggio, ma di disinformazione su ogni caso che potrebbe mettere in allarme l’opinione pubblica; si tratta di partecipare alla disgregazione delle nostre società, di mettere in ridicolo quanti credono possa ancora esistere una sovversione di tipo marxista, di fare dell’ironia quando qualcuno pretende vi siano ancora, in Occidente, numerosi «miliardari rossi» del genere di Armand Hammer o Robert Maxwell.
Alla ricerca di un nuovo coordinamento
Era inevitabile che i comunisti, dopo essersi ripresi, tentassero di creare un nuovo «centro». E vergognoso che gli occidentali — compresa la NATO, la North Atlantic Treaty Organization — pensino di dover collaborare con i neo-comunisti. Pretendere di combattere per il progresso sociale e per la giustizia tendendo la mano non alle vittime dei poliziotti sovietico-comunisti, ma a questi ultimi, significa essere cinici oppure stupidi.
Una parte dei fondi illegali serve a finanziare i trasferimenti degli uomini dei partiti comunisti per realizzare conferenze comuni, per coordinare la loro lotta contro le società occidentali, con la copertura dell’integrazione democratica in esse.
Per esempio, dal 5 al 7 maggio 1994, a Calcutta, in India, con il patrocinio del partito comunista locale, si è svolto un seminario al quale hanno partecipato esponenti di circa venti partiti comunisti venuti da tutti i continenti. Solamente fra gennaio e la fine di giugno del 1993, con il pretesto di aiutare Cuba a uscire dal suo isolamento, quarantasette delegazioni di altrettanti partiti comunisti sono andate a L’Avana: per abbronzarsi?
Fra gli itineranti incaricati di tessere la nuova tela hanno un ruolo di primaria importanza quelli del Partito Comunista Francese. Così, mentre Jacques Denis e Daniel Cicera operano in Estremo Oriente e nell’Asia musulmana ex sovietica, Francis Wurtz si interessa dei paesi ex satelliti. Inoltre, Parigi costituisce un punto d’incontro permanente per poco meno di una quarantina di partiti comunisti latino-americani, arabo-palestinesi e del Continente Nero.
All’inizio di giugno del 1994 una delegazione guidata da Francis Wurtz — con Jacques Denis, Sylviane Ainardi e Michel Peyret — ha avuto un incontro — della durata di diversi giorni — ad Alma Ata e poi a Mosca con Aleksandr Rutskoi, vicepre- sidente della Federazione Russa e avversario di Boris N. Eltsin, con Nikolaj Ryzkov, ex primo ministro di Michail S. Gorbaciov, con Arkadij I. Volskij, presidente dell’Unione degli Industriali Russi, e con una dozzina di dirigenti regionali del nuovo partito comunista russo.
Dal 20 al 22 settembre 1994, una ventina di ex ministri e alti funzionari dell’ex Unione Sovietica — compresi gli Stati baltici e quelli dell’Asia Centrale — erano riuniti in una conferenza a Bucarest, coadiuvati dai due ai sette collaboratori ciascuno, a seconda delle delegazioni. La Cina aveva inviato tre osservatori. Devo al giornalista Radu Portocala, già collaboratore del settimanale Le Point e autore di un’opera notevole sulla Romania (9), importanti informazioni su questa riunione, completamente taciuta dalla stampa francese. Infatti, per i suoi organizzatori si trattava niente di meno — con il pretesto di una concertazione fra imprenditori e industriali dell’ex impero sovietico e dei suoi satelliti — che di mettere a punto la ricostituzione del COMECON, il mercato comune orientale noto con la sigla dall’inglese di Council for Mutual Economie Aid, servendosi di quanti, sia alla direzione di ditte «privatizzate» (10) — ma riacquistate con il denaro comunista —, sia all’interno dei diversi governi, vivono con la volontà di far rinascere il grande complesso comunista di ieri. Dal campo economico sarà facile, un certo giorno, passare alla reintegrazione di quello politico.
Basta studiare la lista di un centinaio di nomi, che mi ha trasmesso Radu Portocala, per identificare, senza fantasie, una cospirazione. Anzitutto perché una conferenza preparatoria era stata tenuta nell’aprile del 1994 attorno a una decina di personalità, fra cui cito Arkadij I.Volskij, l’uomo del complesso militare-industriale della Federazione Russa, ieri membro titolare del Comitato Centrale del PCUS e capo — per nomina di Michail S. Gorbaciov — del Dipartimento della Costruzione delle macchine
dell’URSS, cioè dell’industria bellica sovietica. E costui era accompagnato da Evgenij Primakov, capo dell’SVR, il servizio di spionaggio della Federazione Russa.
L’operazione era ben programmata: i sette russi che hanno accompagnato Arkadij I. Volskij a Bucarest sono, come lui, tutti quadri alti dello stesso apparato, in carica da dieci o dodici anni. Le delegazioni dei ventiquattro Stati ed ex Repubbliche dell’Unione Sovietica erano composte in modo identico con, fra i loro membri, ex ufficiali del GRU oppure del KGB posti nei gangli militari-industriali e politici dell’impero in apparenza defunto. Si può notare la presenza di Kazimiera Prunskiene, che è stata primo ministro della Lituania da quando questo paese è diventato indipendente ed è rimasta in carica finché dei dossier hanno svelato che lavorava per il KGB. Fra i rumeni presenti Costantin Paunescu, veterano dell’apparato comunista, della stessa provenienza.
Naturalmente, i mass media non hanno mostrato nessun interesse per queste informazioni, le quali però significano che, se a Mosca il timone dovesse passare di nuovo a sinistra, a livello dei satelliti dell’ex impero sovietico è pronta la struttura per seguirne le orme.
L’agenzia di investigazione privata Kroll, che — per conto di Boris Eltsin — ha cercato di identificare le fughe di capitali dalla Russia verificatesi negli ultimi anni, ha scoperto in Occidente numerosi investimenti immobiliari, alberghieri, edilizi, in gallerie d’arte e nella cantieristica navale. Si tratta di capitali provenienti dall’Unione Sovietica, poi dalla Federazione Russa, nel corso degli ultimi sei o sette anni, ma soprattutto fra il 1990 e il 1993.
L’origine «politica» si mescola alle filière e agli interessi mafiosi, per tacere dell’utilizzo di questo terreno minato — qua e là — da parte dei nuovi servizi segreti della Federazione Russa. Circa un miliardo di dollari passa mensilmente, in modo illegale, dalla Russia all’Occidente. Secondo il Financial Times diciannove miliardi di dollari «dormono» nei conti in banche straniere invece di essere reinvestiti in Russia.
Non si può evitare di porsi delle domande perché, in dodici delle quindici ex Repubbliche dell’Unione Sovietica come in numerosi Stati ex satelliti i comunisti sono rimasti o sono ritornati al potere. Sono forse la copertura dell’apparato e dell’economia invisibile, prevista nel 1990, i cui veri padroni sono destinati a uscire dall’ombra progressivamente? Un giornalista americano scriveva di recente che il comunismo italiano non è più pericoloso perché i suoi grandi capi si vestono da Armani e viaggiano in Alfa Romeo.
Il ragionamento è un poco grossolano. Il comunismo moderno, di cui parlava Jurij V. Andropov nel 1982, era proprio questo. Se Adolf Hitler tornasse al potere fumando grossi sigari, vestendosi da Armani e frequentando Gucci, si penserebbe che è ormai «dei nostri»?
Pierre Faillant de Villemarest
Note:
(1) Libération, 10-10-1989.
(2) Cfr. il mio Le «nouveau» parti hongrois, in Monde et Vie, nuova serie, anno 18, n. 487, 26-10-1980/15-11-1989, p. 8.
(3) Le Quotidien de Paris, 28-6-1994.
(5) Cfr. i miei Neocomunisti nell’ex Unione Sovietica: i nemici interni di Boris N. Eltsin, in Cristianità, anno XX, n. 203, marzo 1992, pp. 3-4; La Russia «umiliata e offesa»: popoli alla ricerca di sé stessi, ibid., anno XXI, n. 224, dicembre 1993, pp. 3-4; e Russia: comunisti e soci nella nuova Duma di Stato, ibid., anno XXII, n. 225-226, gennaio-febbraio 1994, pp. 3-4.
(6) Cfr. il mio URSS, agosto 1991: il fallimento di un colpo di Stato, ibid., anno XIX, n. 197-198, settembre-ottobre 1991, pp. 6-8.
(7) Cfr. iI mio Un’«economia invisibile» per la sopravvivenza dell’Internazionale Comunista, ibid., anno XIX, n. 199, novembre 1991, pp. 3-5.
(8) Cfr. Washington Post, 21-12-993.
(9) Cfr. RADU PORTOCALA, Autopsie du coup d’État roumain. Au pays du mensonge triomphant, Calmann-Lévy, Parigi 1990.
(10) Cfr. il mio Ungheria e Polonia: false privatizzazioni e falsa libertà, in Cristianità, annoXVII, n.175-176, novembre-dicembre 1989, pp. 5-6.