di Michele Brambilla
Si è soliti abbinare l’epoca della Riforma cattolica (impropriamente definita «Controriforma») ai roghi delle streghe e al trionfo del “maschilismo”. Questo sarebbe avvenuto specialmente nei territori italiani sottoposti alla dominazione spagnola e nello Stato della Chiesa. Niente di più falso: il Barocco produsse, invece, una serie di straordinarie pittrici, quotate alla pari dei colleghi maschi. Emblematico il caso di Artemisia Gentileschi (1593-1654), nata proprio a Roma e morta a Napoli, che incarnò alla perfezione l’eredità delle più grandi scuole dell’epoca.
Di Artemisia è molto famosa L’Adorazione dei Magi, pala dipinta tra il 1635 e il 1637 per il Duomo di Pozzuoli. L’opera è stata scelta per la mostra Un capolavoro a Milano, iniziata il 29 ottobre e che si protrarrà fino al 26 gennaio 2020 nei chiostri della basilica di sant’Eustorgio.
Un primo sguardo all’opera permette di scovare almeno due modelli: il Riposo durante la fuga in Egitto di Michelangelo Merisi detto “Caravaggio” (1571-1610), “citato” negli squarci di luce e nell’ambientazione campestre (dietro la Sacra Famiglia non vi è una vera e propria grotta, ma un filare di alberi) e le tele della scuola emiliana (secc. XVI-XVII), il cui portato è visibile nella resa dell’incarnato e nella scelta accurata delle vesti.
L’occhio scende poi sulle figure centrali dell’opera: la Madonna, il Bambino e il primo magio. Il corpo della Vergine è quello ancora un po’ “rotondetto” di una donna che ha appena partorito. Gesù, cinto alla vita da una delle fasce in cui è stato avvolto alla nascita, pare scendere dalle mani della Madre a quelle del visitatore, emblema delle genti verso cui si protende già la Sua missione. Il re magio è inginocchiato, senza corona: gli abiti seicenteschi sono ricoperti da una grande toga dorata. Dietro di lui si protende subito, il secondo magio, questi sì incoronato, ritratto nel momento in cui anch’egli si sta mettendo in ginocchio: «Per me reges regnant» (Prov 8, 15), come dice la Scrittura.
Rimangono sullo sfondo san Giuseppe (sulla sinistra, con volto calmo e riflessivo) e il magio nero, di cui si intravede appena il turbante, fissato sul capo da un nastro rosso. Accanto al re africano si scorge un servitore europide vestito di azzurro: le loro mani quasi s’intrecciano mentre reggono assieme un prezioso scrigno dorato, tanto che non si riesce a comprendere se siano dell’uno o dell’altro. Artemisia traspone in questo modo su tela un celebre passo di san Paolo: «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).
Sabato, 4 gennaio 2020