di Michele Brambilla
Quando si parla di san Paolo, il primo appellativo che viene in mente è sempre quello, un po’ altisonante, di «Apostolo delle genti». Tuttavia, ricorda Papa Francesco nell’udienza generale dell’11 dicembre, esiste un’altra definizione sintetica: «Paolo non è solo l’evangelizzatore pieno di ardore, il missionario intrepido tra i pagani che dà vita a nuove comunità cristiane, ma è anche il testimone sofferente del Risorto (cfr At 9,15-16)».
Dopo aver visitato mezzo mondo antico, infatti, san Paolo torna a Gerusalemme, da dove era partito molti anni prima con l’intenzione di dare la caccia ai cristiani, trovandovi purtroppo lo stesso clima di un tempo. La sua presenza attizza in particolare l’ostilità delle autorità giudaiche, che lo considerano un traditore: «Come fu per Gesù, anche per lui Gerusalemme è la città ostile. Recatosi nel Tempio, viene riconosciuto, condotto fuori per essere linciato e salvato in extremis dai soldati romani», che provano a riportare la contesa all’interno dell’alveo del diritto latino. «Accusato di insegnare contro la Legge e il Tempio, viene», pertanto, «arrestato e inizia la sua peregrinazione di carcerato, prima davanti al sinedrio, poi davanti al procuratore romano a Cesarea, e infine davanti al re Agrippa».
Si era infatti in una fase nella quale Roma stava provando ad allentare la morsa sulla riottosa Giudea ristabilendovi un regno cliente, affidato al nipote di Erode il Grande (38-4 a.C.), Erode Agrippa II (23-100 d.C.). L’Apostolo fu costretto a comparire davanti al re e ai membri del Sinedrio, raccontando loro la propria conversione ed esortandoli ad abbracciare la religione cristiana. Il discorso di Paolo fu così convincente da far esclamare ad Erode Agrippa: «Ancora un poco e mi convinci a farmi cristiano!» (At 26,28). «A partire da questo momento», sottolinea però Francesco, «il ritratto di Paolo è quello del prigioniero le cui catene sono il segno della sua fedeltà al Vangelo e della testimonianza resa al Risorto».
Una situazione nota ai cristiani di tutte le epoche, come rimarca lo stesso Pontefice pensando alle sevizie patite dalla Chiesa sotto i regimi comunisti: «Io vengo dalla basilica di San Pietro e lì ho avuto una prima udienza, questa mattina, con i pellegrini ucraini, di una diocesi ucraina. Come è stata perseguitata, questa gente; quanto hanno sofferto per il Vangelo! Ma non hanno negoziato la fede». Ed è proprio a questa fedeltà senza compromessi che il Papa vuole condurre i propri ascoltatori: «Oggi nel mondo, in Europa, tanti cristiani sono perseguitati e danno la vita per la propria fede, o sono perseguitati con i guanti bianchi, cioè lasciati da parte, emarginati». Il Pontefice rammenta quindi che «il martirio è l’aria della vita di un cristiano, di una comunità cristiana. Sempre ci saranno i martiri tra noi: è questo il segnale che andiamo sulla strada di Gesù», che non ci siamo adeguati alle falsità mondane. «Cari fratelli e sorelle», continua il Santo Padre, «Paolo ci insegna la perseveranza nella prova e la capacità di leggere tutto con gli occhi della fede. Chiediamo oggi al Signore, per intercessione dell’Apostolo, di ravvivare la nostra fede e di aiutarci ad essere fedeli fino in fondo alla nostra vocazione di cristiani, di discepoli del Signore, di missionari».
Giovedì, 12 dicembre novembre 2019