Di Domenico Airoma da Il Poliedro di Dicembre 2019
Possiamo ancora augurarci buon Natale Oppure è un augurio politicamente scorretto, una formula augurale che urta la sensibilità dei non credenti o dei fedeli di altre religioni? E se le cose stanno così, chi ha deciso che questo augurio debba essere messo da parte e ostracizzato, per lasciare spazio a locuzioni più neutrali e meno divisive? Che so, un generico “buone feste”, adatto per tutte le stagioni e per tutti gli ambienti?
Provo a rispondere partendo da un’esperienza personale. Mi trovavo in un prestigioso consesso internazionale proprio in prossimità del 25 dicembre; ricordo che fui piacevolmente colpito dai luminosi e variopinti addobbi che abbellivano la sala destinata al meeting. Fu istintivo lasciarmi andare ad un’esclamazione: “Che bello! C’è aria di Natale!”. “Natale?” Fui subito ripreso dalla zelante funzionaria che mi accompagnava; “E’ la festa dell’inverno! Qui di Natale non si parla. Questo non è un luogo religioso!”. Il gelo di quelle parole mi paralizzò. Tutte quelle luminarie mi sembravano all’improvviso senza senso; quasi fuori posto. Mi avviai verso l’uscita quando incrociai con lo sguardo un artigiano dai tratti orientali, intento a sistemare festoni e palline colorate; gli feci un cenno di saluto con la mano. “Merry Christmas!”, mi rispose allegro. E lo fui anch’io, di nuovo. E fu così che incominciai a violare quel rigido protocollo, augurando “a very, very holy Christmas!” a chiunque incontrassi; quasi eccitato -lo confesso- dal fatto di compiere un gesto che veniva percepito dalle paludate autorità, che incominciavano ad affollare quel luogo di festa, come sfacciatamente «rivoluzionario».
Violai quella censura che non era stata posta da nessuna norma. Lo feci perché sentii quel divieto profondamente insensato, palesemente ingiusto. Un divieto posto da laici disincantati e cristiani insipidi; un’auto-censura infl itta da un Occidente falsamente tollerante, prigioniero dell’odio di sé stesso.
La realtà è che non vi è, non vi può essere, offesa alcuna nell’augurarsi buon Natale. Cosa è, infatti, il Natale se non la festa di un Dio che si fa uomo? E cosa può esserci di più straordinario per un uomo sapere che c’è un Dio che ci ama a tal punto da assumere il nostro stesso corpo e condividere la nostra umanità?
Cosa c’è di più rivoluzionario del sapere che d’ora in poi la nostra vita non finisce qui ma che siamo chiamati a quell’eternità che avvertiamo pulsare dentro il nostro cuore? E come può tutto ciò offendere qualcuno? E rappresentare un’offesa talmente grande dall’essere annoverata tra le cose impronunziabili in società, quasi si trattasse di una bestemmia? Ecco, una bestemmia! Di questo si tratta agli occhi dei nostri maitre a penser! Come è possibile che un Dio si faccia uomo? E che razza di Dio è questo? Non c’è bisogno di un Dio così nel nostro mondo, nella nostra modernità, fondata sull’idea esattamente antitetica: quella di un Uomo che è chiamato a farsi Dio. Un mondo in cui è l’uomo che riscrive, assieme ai codici, le leggi della natura; stabilendo cosa è famiglia, cosa è matrimonio, cosa è sessualità, cosa è corpo, cosa è vita, cosa è morte. Un mondo in cui è l’uomo che pretende di salvare sé stesso, di realizzare il paradiso in terra, che non ha bisogno di altro né di un Altro; soprattutto di un Dio che è disposto a condividere la sua divinità, e solo per amore.
“Buon Natale!” svela la menzogna dell’Uomo-dio. “Buon Natale!” ha l’effetto di un salutare richiamo al reale. “Buon Natale!” riapre la porta verso il cielo e verso il vero Paradiso.
“Buon Natale!” dà la giusta direzione alla nostra libertà.
“Buon Natale!” richiama la nostra dignità trascendente. “Buon Natale!” è un potente raggio di luce in un mondo di tenebre disperanti e di uomini delusi e depressi.
Tutti, dunque, hanno bisogno di sentirsi augurare buon Natale; credenti e non credenti, cristiani e non cristiani; perché il Natale è la festa dell’uomo, è la festa della speranza, è la festa dell’Eterno che incrocia il tempo e gli dà senso e scopo.
“Buon Natale!”, dunque. Diciamolo senza timore. Con orgoglio. E con tanta gioia.
In foto Gentile da Fabriano, Predella con Natività di Gesù (1423), tempera su tavola