Michele Vietti, Cristianità n. 151 (1987)
Lo scontro fra il mondo cattolico — sempre più «scollato» dalla Democrazia Cristiana — e le forze laiciste e comuniste a proposito dell’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche, mentre l’on. Bettino Craxi «tende la mano».
Nella prospettiva dell’abolizione del Concordato
La guerra contro «l’ora di religione»
1. «Ora di religione», ora della discordia: in questi ultimi mesi il problema dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali è stato oggetto di roventi polemiche, che hanno visto la contrapposizione di forze politiche e sociali, fino a minacciare la stabilità del governo in carica.
2. È anzitutto opportuno erigere uno status quaestionis.
Com’è noto, nell’articolo 9 dell’Accordo con la Santa Sede, stipulato il 18 febbraio 1984, la Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa e, tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, si impegna ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado, fermo «il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento» (1).
La successiva intesa fra il ministero della Pubblica Istruzione e la CEI, la Conferenza Episcopale Italiana (2), prevede, in ottemperanza a quanto disposto dall’articolo 5 del Protocollo Addizionale dell’Accordo, che «il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica assicurato dallo stato non deve determinare alcuna forma di discriminazione, neppure in relazione ai criteri per la formazione delle classi, alla durata dell’orario scolastico giornaliero e alla collocazione di detto insegnamento nel quadro orario delle lezioni», che dovrà avvenire secondo un criterio di «equilibrata distribuzione delle diverse discipline nella giornata e nella settimana».
L’Intesa è immediatamente fatta oggetto di attacchi durissimi da parte delle forze laiciste e comuniste, che lamentano attentati all’autonomia dello Stato, ma in realtà non vogliono che alle norme dell’Accordo sia data pratica attuazione.
La Camera dei Deputati approva, il 16 gennaio 1986, la risoluzione n. 6-00074, che impegna il governo a fissare natura e modalità di svolgimento e di valutazione delle attività culturali e formative offerte dalla scuola a chi intenda non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.
Il 29 ottobre I986 il ministro della Pubblica Istruzione, sen. Franca Falcucci, emana una circolare in cui si ribadisce l’obbligatorietà della frequenza alle attività alternative.
Frattanto, oltre il 90% dei genitori e degli studenti decide di avvalersi dell’insegnamento religioso.
Obbiettivi ma superabili ritardi e difficoltà nell’organizzazione delle attività alternative consentono alle forze laiciste e comuniste di inscenare una campagna di stampa che, esasperando in modo strumentale il problema, mira di fatto a impedire l’avvio dell’insegnamento della religione.
Il 19 dicembre 1986 la Tavola Valdese, le Assemblee di Dio in Italia, l’Unione delle Chiese Cristiane Avventiste, la Chiesa Apostolica in Italia, la Chiesa del Nazareno, l’Unione delle Chiese Cristiane Libere, la Chiesa Evangelica Internazionale, ricorrono al TAR, il Tribunale Amministrativo Regionale, del Lazio chiedendo l’annullamento della circolare n. 302 del ministero della Pubblica Istruzione, lamentando la violazione della legge 11 agosto 1984 n. 449 — che regola i rapporti fra Stato e Chiese Valdese e Metodista — secondo la quale le attività alternative avrebbero carattere facoltativo per cui i non avvalentisi potrebbero non partecipare alle attività scolastiche durante le lezioni di religione.
Con la sentenza n. 1274 del 17 luglio 1987 il TAR del Lazio annulla la circolare ministeriale n. 302 «nella parte in cui sancisce, per chi abbia scelto di non avvalersi dell’insegnamento religioso cattolico, l’obbligatorietà degli insegnamenti integrativi, o della presenza nelle libere attività di studio, offerti in opzione, rispetto ad esso» (3).
Il Tribunale argomenta dalla «facoltà di scelta» dell’insegnamento religioso la «natura aggiuntiva» dello stesso rispetto agli insegnamenti curricolari, pur negando l’ulteriore conseguenza della sua collocazione in orari particolari e aggiuntivi.
Alle forze laiciste e comuniste non pare vero di disporre di una nuova arma nella battaglia mai sopita contro l’insegnamento della religione e perciò ridanno fiato alle trombe della polemica giornalistica.
Il neo ministro della Pubblica Istruzione, on. Giovanni Galloni, pur senza soverchio entusiasmo, interpone appello contro la sentenza al Consiglio di Stato, che la sospende nella parte in cui si autorizzano i non avvalentisi a lasciare la scuola, ma non in quella che stabilisce la non obbligatorietà delle attività alternative.
Il 5 settembre 1987 la presidenza della CEI esprime sorpresa e perplessità per il riacutizzarsi della polemica sull’insegnamento religioso cattolico, nonostante l’ampio consenso rinnovato da parte di studenti e di famiglie, e conferma la disponibilità a verificare l’applicazione dell’intesa con «spirito di collaborazione», ma con «serena fermezza» (4).
Laicisti e comunisti ritengono sia giunto il momento propizio per tentare una «spallata» e alzano il tono della polemica premendo sulla maggioranza di governo perché intervenga sulla materia nel senso da essi auspicato.
E infatti, pronubo il ministro Giovanni Galloni, la maggioranza mette a punto una risoluzione da sottoporre martedì 29 settembre 1987 al voto della Commissione Cultura della Camera. Vi si afferma che l’insegnamento della religione cattolica è «facoltativo e non curricolare»; si impegna il governo a «suggerire agli organi scolastici competenti per la predisposizione degli orari delle lezioni che […] tengano conto delle esigenze di coloro che non si avvalgono dell’insegnamento religioso cattolico»; si prospetta l’opportunità di «rendere ogni anno concretamente possibile l’esercizio del diritto di scelta anche nei casi di iscrizione scolastica d’ufficio», per i quali l’Intesa prevedeva valesse la scelta operata il primo anno salvo diversa determinazione; si lamenta la difficoltà di configurare nelle scuole materne «un vero e proprio “insegnamento”» della religione; si chiede alla CE1 una discussione dell’Intesa e si stabilisce che i docenti di religione partecipino agli scrutini limitatamente ai casi degli alunni che si siano avvalsi del loro insegnamento (5).
Oltre a tutto ciò, lo stesso ministro Giovanni Galloni si sarebbe impegnato con i partiti di maggioranza a diramare una circolare invitando gli istituti scolastici a collocare l’ora di religione all’inizio o alla fine delle lezioni (6).
Un’accorta operazione di disinformazione accredita frattanto il tacito consenso dei vescovi italiani al testo della risoluzione. Viceversa, il 25 settembre la CEI, in un comunicato, manifesta «gravissima preoccupazione» per «le notizie che vengono diffuse» e smentisce «categoricamente le presunte informazioni su una […] disponibilità a consentire ad alcuni indirizzi che sembrano emergere» (7).
Il quotidiano Avvenire lamenta che nel «pateracchio» a cui si è giunti in sede politica siano «caduti anche alcuni settori della Dc» (8).
Le associazioni cattoliche solidarizzano con i vescovi (9).
Il 26 settembre la presidenza della CE1 diffonde una dichiarazione in cui si ribadiscono alcuni «punti essenziali»: non si possono modificare ulteriormente i patti; ogni eventuale revisione non può contraddire l’Accordo; non si può accettare la qualifica di «facoltativo» dell’insegnamento religioso né le «indebite conseguenze che dalla “facoltatività” taluni vorrebbero dedurre, in termini di svilimento della pari dignità formativa e culturale dell’IRC [Insegnamento della Religione Cattolica] rispetto alle altre discipline»; sono inaccettabili i tentativi di emarginare gli insegnanti di religione (10).
Durante l’omelia nella messa celebrata per l’Azione Cattolica il 27 settembre, il Santo Padre Giovanni Paolo II esprime la sua partecipazione e la sua solidarietà con le preoccupazioni manifestate dalla CEI (11).
I democristiani segnano il passo: l’on. Francesco Casati, capogruppo in Commissione Cultura della Camera, primo firmatario della risoluzione, dichiara di aver voluto solo esporre problemi «senza prefigurare soluzioni di sorta» e che la risoluzione non ha valore operativo, tanto che «neppure il ministro della Pubblica istruzione sarebbe nella condizione di anticipare con circolari disposizioni che devono essere prima vagliate nelle sedi competenti» (12).
A difendere la risoluzione restano laicisti, comunisti e il ministro della Pubblica Istruzione (13).
Alle 17.30 di martedì 29 settembre il ministro Giovanni Galloni interviene alla settima commissione della Camera ma, anziché aprire il dibattito sulla contestata bozza che porta il suo nome, chiede per conto della presidenza del Consiglio la sospensione della discussione in seguito a passi diplomatici della Santa Sede.
Poche ore prima, infatti, la Santa Sede ha fatto recapitare al governo, tramite l’ambasciatore italiano, una nota, di cui è incerta la qualifica formale (14), con la quale si chiede di valutare, a livello di firmatari dell’Accordo, le questioni di interpretazione e di applicazione dello stesso (15).
La maggioranza, con ventisette voti a favore e diciassette contrari, concede il rinvio (16), nonostante i mugugni dei partiti laicisti (17).
Il 2 ottobre l’on. Bettino Craxi prende posizione a favore del collocamento dell’ora di religione nei quadro delle lezioni e contro la sua marginalizzazione e discriminazione, ma insiste perché l’intervento dei docenti di religione alle riunioni collegiali sia limitato al loro insegnamento (18).
Dopo l’incontro ufficiale fra il presidente del Consiglio e il cardinale segretario di Stato — avvenuto il 7 ottobre presso l’ambasciata italiana nella Città del Vaticano — un protocollo contenuto in dodici cartelle conferma l’obbligo dello Stato di garantire l’insegnamento religioso e la facoltà degli studenti di avvalersene, e ribadisce l’inserimento dell’ora di religione nell’ambito degli orari scolastici sullo stesso piano delle altre materie (19).
Dopo una vigilia incertissima (20), la maggioranza di governo — esclusi i liberali — approva sia alla Camera che al Senato i contenuti della comunicazione del presidente del Consiglio, che qualifica come curricolare l’insegnamento religioso, prospetta in alternativa o un altro insegnamento o lo studio individuale, rimette ai capi di istituto la decisione sulla collocazione dell’ora, e rinvia a una revisione dell’Intesa la definizione dello status giuridico degli insegnanti di religione e dei loro poteri di valutazione.
Subito dopo il voto la polemica fra i partiti riesplode e ciascuno rivendica la vittoria della propria tesi, pretendendo di leggere il compromesso faticosamente raggiunto nel senso a sé più favorevole: mentre per i democristiani e per i socialisti è stata confermata l’Intesa, per i repubblicani si è trattato di «un passo avanti verso il riconoscimento della facoltatività dell’ora alternativa e del fatto che l’insegnamento religioso va inteso come materia aggiuntiva e non curricolare» (21).
3. Così riassunta la vicenda, vengo ad alcune considerazioni.
a. Sul merito del problema non vi è dubbio che, secondo l’Accordo, l’insegnamento religioso è «assicurato» nel quadro delle finalità della scuola, cioè riconosciuto come facente parte a pieno titolo della funzione pubblica in materia di istruzione e come concorrente, al pari degli altri insegnamenti, alla formazione della personalità degli alunni (22).
Facoltativa è soltanto la fruizione di detto insegnamento, rimessa alla libera scelta di genitori e di alunni.
Dunque, non può dedursi dalla «facoltatività» l’«extracurricolarità» della materia senza «travalicare spirito e lettera del Concordato» (23).
La collocazione oraria dell’ora di religione rientra fra le materie riservate dai patti sottoscritti all’Intesa fra le parti — come prevede il n. 5 b del Protocollo Addizionale all’Accordo — e non può essere surrettiziamente modificata con circolari ministeriali unilaterali.
Peraltro, l’ipotesi di collocazione alla prima e all’ultima ora di lezione, oltre che di difficile attuazione pratica, sarebbe di grave danno per gli insegnanti di religione i quali, avendo diritto a lavorare diciotto ore settimanali, potrebbero farne solo dodici restando bloccati per trenta, e non lavorando almeno sedici ore settimanali non avrebbero diritto a progressioni di carriera e resterebbero sempre al grado iniziale (24).
L‘esclusione dei docenti di religione dalle valutazioni periodiche e finali se non limitatamente al proprio insegnamento contrasta non solo con quanto convenuto nell’Intesa — secondo cui essi fanno parte della componente docente con gli stessi diritti e doveri degli altri insegnanti — ma anche con la legge n. 824 del 1930, secondo la quale gli insegnanti di religione partecipano a pieno titolo agli scrutini.
Le preoccupazioni di evitare ogni discriminazione per i non avvalentisi non può tradursi in discriminazione per chi si avvale dell’insegnamento cattolico, come di fatto non raramente è avvenuto (25).
Non è ammissibile la pratica di operare interpretazioni e conseguenti modifiche unilaterali agli accordi in materia, frutto di convenzioni pattizie.
b. La vicenda ha evidenziato un vistoso scollamento fra mondo cattolico e Democrazia Cristiana.
In primo luogo, il ministro democristiano della Pubblica Istruzione, dopo aver avallato la risoluzione di maggioranza gravemente lesiva dei diritti dei cattolici, ha continuato a difenderla con pertinacia (26).
Il sottosegretario on. Beniamino Brocca non ha fatto mistero che «meglio sarebbe stato per i cattolici veri se la religione fosse insegnata in parrocchia» (27).
Il segretario democristiano Ciriaco De Mita, mentre non si spiega gli attacchi di parte cattolica a Giovanni Galloni, non perde occasione per dichiarare che non condivide la posizione degli «integristi», definiti come coloro che, avendo dentro di sé una profonda convinzione e facendo discendere da questa precisi comportamenti, cercano di utilizzare le istituzioni per imporre analoghi comportamenti, anche a chi quella convinzione non ha; inoltre assicura che l’esperienza dei cattolici democratici e della Democrazia Cristiana non è su questa linea e che «questo è un punto fermo che non si può mettere in discussione senza mettere in gioco un patrimonio di idee e di esperienze che ha i suoi punti di riferimento in Sturzo, De Gasperi e Moro» (28). L’intera Democrazia Cristiana è parsa «la prima vittima» della vicenda: il partito che «ha sempre sostenuto di rappresentare in Italia le istanze politiche, sociali, culturali, morali dei cattolici: ma di rappresentarle in quanto partito politico, come tale autonomo dalla Chiesa», il partito di Aldo Moro — che «persino ostentò di non firmare il referendum contro il divorzio» — sembra giunto alla «resa dei conti» con «il papa polacco» (29).
Il mondo cattolico, dal canto suo, ha risposto con corale solidarietà all’appello dei vescovi italiani e del Papa mostrando, sul tema, assoluta sintonia di intenti (30).
c. La questione dell’ora di religione si è rivelata un’interessante cartina di tornasole del più generale problema circa il modo di concepire i rapporti fra Stato e Chiesa, fra società civile e religione.
Se non si può non cogliere — come ha fatto l’arcivescovo di Milano — «uno squilibrio tra il rilievo assegnato alle questioni di natura ideologica, giuridica, politica e la considerazione dell’oggetto in sé» (31), è indubbio però che le questioni ideologiche, giuridiche e politiche sono apparse chiaramente determinanti nell’azione degli avversari dell’insegnamento religioso. Il direttore di la Repubblica, Eugenio Scalfari, ha lucidamente riassunto i termini della questione: «Il tema dell’ora di religione, certamente importante, rappresenta tuttavia solo I’occasione, il detonatore d’un processo molto più vasto che approda alla fine ad una domanda di fondo: può sussistere un regime concordatario tra l’autorità religiosa e l’autorità temporale quando quest’ultima riposi su principi e regole democratiche?» (32).
La risposta è ovviamente negativa e l’obbiettivo diventa allora il ricupero dell’«antica cornice cavourriana della libera Chiesa in libero Stato» (33).
Allo scopo sono chiamati a raccolta il Partito Comunista, che, «ormai più sciolto nelle sue mosse, sta recidendo gli ultimi legami che ancora lo legavano al filone dell’articolo 7», il Partito Repubblicano, che «ha riacquistato sotto la guida di Giorgio La Malfa un’aggressività che non gli si conosceva da un pezzo e non sarà un ostacolo da poco», e i liberali, che «si vedono finalmente in vasta compagnia a presidiare un terreno dov’erano meritoriamente rimasti pressoché soli» (34).
Anche i democristiani sono invitati a non vanificare «l’esperienza dei cattolici democratici da Sturzo a Moro e a De Mita passando per De Gasperi, disperdendo un patrimonio prezioso per la democrazia italiana e per gli stessi interessi cattolici nel nostro paese» (35).
Solo Bettino Craxi pare irrecuperabile alla prospettiva scalfariana dal momento che i socialisti si presentano ormai «con abiti più papisti di quelli del papa» (36) , pur individuandosi esattamente la ragione di questo atteggiamento in un tatticismo che mira a consolidare la pretesa a guidare il governo nazionale.
I nemici del disegno prospettato da Eugenio Scalfari sono «il papato polacco» e l’integrismo cattolico: il primo si è saldato «con le robuste spinte» del secondo, «lanciato verso un recupero globale di posizioni di potere anziché dedicato all’attività pastorale ed evangelica» (37).
Tanta sollecitudine per la purezza dell’azione dei cattolici è commovente, ma Dio voglia che ciò che Eugenio Scalfari paventa divenga presto realtà.
Michele Vietti
Note:
(1) Cfr. il mio «L’ora di religione»: l’Intesa della discordia, in Cristianità, anno XIV, n. 129-130. gennaio-febbraio 1986.
(2) Resa esecutiva con D.P.R. 16 dicembre 1985 n. 751.
(3) La sentenza e riportata per estratti da GIUSEPPE DE ROSA, L’insegnamento della religione nella scuola. Rinegoziare l’Intesa?, in La Civiltà Cattolica, anno 138, n. 3295, 3-10-1987, pp. 60.61.
(4) Il documento della CE1 è riportato per estratti ibid., pp. 63-65.
(5) Corriere della Sera, 29-9-1987.
(6) Cfr. La Stampa, 26-9-1987.
(7) Avvenire, 26-9-1987.
(8) Ibidem.
(9) cfr. ibidem.
(10) L’Osservatore Romano, 27-9-1987.
(11) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Omelia nella messa celebrata per l’Azione Cattolica Italiana, del 27-9-1987, ibid., 28/29-9-1987.
(12) Avvenire, 27-9-1987.
(13) L‘on. Giovanni Galloni rilascia un’intervista al TG 2 per confermare la validità del proprio documento di compromesso: cfr. il Giornale, 29-9-1987. Dal canto suo, il quotidiano democristiano avanza perplessità circa la definizione di «non curricolare» dell’insegnamento religioso: cfr. Il Popolo, 29-9-1987.
(14) Parrebbe trattarsi di un «appunto scritto» firmato dal segretario di Stato vaticano, cardinale Agostino Casaroli: cfr. Avvenire, 1-10-1987. Parla di «nota» la Repubblica (2-10-1987), che ne dà il testo integrale.
(15) Cfr. Avvenire, 30-9-1987.
(16) Cfr. ibidem.
(17) la Repubblica (30-9-1987) riferisce le preoccupazioni del Partito Repubblicano: «I vescovi si sono costituiti in un altro Parlamento, deciso a condizionare il Parlamento e il governo costituzionali»; l’Unità (30-9-1987) riporta le irose reazioni del liberale on. Alfredo Biondi, secondo cui non bisogna consentire «antistoriche intrusioni, l’Italia non è uno Stato a sovranità limitata».
(18) Cfr. la Repubblica, 3-10-1987.
(19) Cfr. Corriere della Sera, 8-10-1987.
(20) Fino all’ultimo i repubblicani e i liberali cercano di far naufragare l’accordo raggiunto con il Vaticano: cfr. La Stampa, 9-10-1987. Anche l’on. Bettino Craxi invia una lettera al vicepresidente del Consiglio, on. Giuliano Amato, interpretata dai commentatori come un irrigidimento della posizione socialista: cfr. Avvenire, 10-10-1987.
(21) Avvenire, 11-10-1987.
(22) In questo senso, cfr. le dichiarazioni di Lorenzo Spinelli, ordinario di Diritto Canonico presso l’università La Sapienza di Roma, in il Giornale, 1-10-1987.
(23) Così Sergio Cotta, ibidem.
(24) Così Vincenzo Rienzi, presidente dell’Associazione scuola secondaria, ibidem.
(25) Si vedano, per esempio, i casi delle scuole Casati e Luxemburg di Torino, dove il Consiglio di Circolo nel primo caso e la preside nel secondo hanno impedito che si desse avvio all’insegnamento della religione cattolica adducendo difficoltà di organizzazione dell’ora alternativa.
(26) In un‘intervista l’on. Giovanni Galloni fra l’altro dichiara che «facoltativo vuol dire che non è obbligatorio», che «una materia non viene discriminata se messa alla fine o all’inizio dell’orario», e che il suo «discorso non è né laico, né cattolico, è il discorso dello Stato» (Corriere della Sera, 29-9-1987).
E il liberale on. Paolo Battistuzzi gli fa eco dando atto al ministro di aver dimostrato «senso dello Stato», mentre il Papa «non ha capito la differenza che c’è tra la società italiana e quella polacca» (ibidem).
«E forse Galloni non aveva capito che ciò che andava bene ai repubblicani non poteva andar bene alla Chiesa», dice uno dei protagonisti degli incontri fra Stato italiano e Santa Sede (la Repubblica, 30-9- 1987).
(27) la Repubblica, 30-9-1987.
(28) Ibid., 2-10-1987.
(29) Ibid., 30-9-1987.
(30) «I cattolici contro la Dc», titola il Corriere della Sera del 29-9- 1987, dando conto dei pronunciamenti dell’Azione Cattolica e del Movimento Popolare; si vedano altre prese di posizione di movimenti e di associazioni cattoliche in Avvenire, 27-9-1987.
(31) CARD. CARLO MARIA MARTINI, Sia una scuola «laica» e rispettosa di tutti, in Corriere della Sera, 27-9-1987.
(32) EUGENIO SCALFARI, Quella mina lanciata nel Tevere, in la Repubblica, 1-10-1987.
Anche FABIO MUSSI, Lettera aperta al ministro della scuola, in l’Unità, 29-9-1987, ammonisce che, «insistere in modo intransigente per guadagnare la posta dell’ora di religione, […] riporta automaticamente sul tavolo la posta maggiore, quella del regime concordatario nei rapporti tra Stato e Chiesa».
Così CARLO MARIA LAMARTIRE, L’offensiva cattolica, la debolezza laica, in ItaliaOggi, 1-10-1987, sprona gli «anemici e malfermi tutori della laicità dello Stato» a rilevare l’errore di fondo che consiste «nel riconoscere alla Chiesa cattolica (e solo ad essa) il diritto di disporre dell’apparato scolastico dello Stato, seppure solo di un ’ora alla settimana».
Ancora GIUSEPPE GALASSO, La DC scavalcata, in Corriere della Sera, 5-10-1987, nota che «il problema vero è il rapporto fra Concordato italo-vaticano e Costituzione italiana. Ciò significa, politicamente, rapporto tra laici e cattolici, tra Dc e altri partiti».
(33) E. SCALFARI, Quella mina lanciata nel Tevere, cit.
(34) Ibidem.
(35) Ibidem.
(36) IDEM, Più papisti di Wojtila, in la Repubblica, 46-10-1987.
(37) IDEM, Quella mina lanciata nel Tevere, cit.