Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 115 (1984)
Nella enorme Unione Indiana una piccola comunità difende con accanimento la propria identità e la propria autonomia contro la pressione uniformizzante del governo centrale di Nuova Delhi e contro l’aggressione strisciante dell’imperialismo socialcomunistico.
Contro la tirannide socialistica
La logica dei sikh
Già ministro delle Finanze del Punjab, e oggi residente a Londra dove siede il consiglio supremo dei sikh del Regno Unito, il dr. Jagjit Singh Chohan avvertiva, il 23 ottobre 1984 a Parigi, di fronte alla Conferenza Internazionale delle Resistenze nei Paesi Occupati, la CIRPO: «La profanazione del tempio sacro di Amritsar equivale per noi a ciò che sarebbe per gli ebrei la profanazione della sinagoga di Gerusalemme da parte di eserciti arabi, o per i cattolici la profanazione del Vaticano per mano di un gruppo di assassini. Si avrebbe torto se si credesse che la situazione si stia calmando. Ormai parecchi elementi sfuggono alla nostra direzione e non nascondono che Indira Gandhi sarà il loro bersaglio …».
Sei giorni dopo, alcuni sikh hanno colpito … L’India entra in convulsioni, mentre già da settimane alla sua periferia – dal Kashmir a Ceylon, dal Bangladesh al Nepal – popolazioni intere ed etnie disprezzate da lungo tempo dalla casta dei bramini – che continua a proclamarsi superiore in un paese vantato da alcuni come «democratico» – si agitavano apertamente contro il potere di Indira Gandhi.
Il figlio le è succeduto nel giro di ventiquattro ore, sulla base della opinione del piccolo circolo degli iniziati, mentre elezioni generali erano previste per il gennaio del 1985, cioè al massimo entro due mesi e mezzo.
Conseguenze strategiche incalcolabili potrebbero derivare da una destabilizzazione generale del sub-continente dove vivono 750 milioni di persone. Dal Belucistan iraniano fino a Karachi, passando per il Belucistan pakistano, la sovversione di ispirazione sovietica lavora in modo discreto ma efficace, da quando – e sono ormai quattro anni – l’Afghanistan ha cominciato a servire da piattaforma per la strategia centro-asiatica dell’URSS.
Tra 1’Afghanistan e il Nepal, ovunque si operano le stesse infiltrazioni sovietiche, con il pretesto di appoggio disinteressato agli autonomismi regionali. Ma anche al centro dell’India due o tre Stati della federazione sono totalmente controllati dai comunisti.
La comunità sikh si è affermata nella sua identità attraverso cinque secoli, dopo che il guru Nanak fondò il sikhismo – che combina principi dell’islam e dell’induismo -, rifiutando superstizioni e tabù che, insieme al sistema delle caste, mantenevano un regime politico-religioso assolutamente intollerante.
Per quattrocento anni i sikh hanno vissuto in completa armonia con gli indiani e le altre etnie. Attaccati alla loro religione, rigorosi nel rispetto dei suoi principi, chiedevano soltanto che li si lasciasse vivere in pace la loro fede.
Nel secolo XVII hanno protetto i rifugiati di tutte le religioni che fuggivano l’invasione mongola. Soltanto tra il 1800 e il 1947 questa armonia è stata progressivamente distrutta, giacché l’avvento dell’impero britannico implicava una politica di divide et impera che incitava alle rivalità di carriera, soprattutto tra indiani e sikh.
Ma i sikh sono anche guerrieri eccellenti. È risaputo. E non ammettono, benché siano tolleranti verso gli altri, che non si sia tolleranti nei loro confronti. Da quando, trentasette anni fa, la spartizione dell’India ha dato vita al Pakistan – con un costo di 500 mila morti durante lo spostamento delle popolazioni -, la maggioranza dei sikh – da 14 a 16 milioni di persone – si è stabilita nel Punjab, nell’Haryana e nell’Himachal Pradesh. Ma, nel frattempo, la casta della signora Gandhi ha voluto imporre loro l’hindi come lingua unica.
Al tempo della spartizione del 1947, ci si era accordati perché il Punjab beneficiasse dell’autonomia interna. Ma da quando Indira Gandhi è pervenuta al potere, e dagli anni Sessanta al 1984, ella ha – al contrario – soppresso ogni possibilità in questo senso, mentre crescevano le pressioni sikh, e si è sforzata di dividerli cercando tra essi dei collaboratori. Si dimentica, a questo proposito, che è stata lei, insieme al figlio Rajiv, a fare di tutto perché il religioso morto nel giugno del 1984 a Amritsar, Bhindrawale, acquistasse la fama di un santo, per opporlo all’Akali Dal, una delle due correnti sikh. Bhindrawale – di cui alcuni sikh assicuravano, il 30 ottobre 1984, che è sopravvissuto – ha finto di lasciarsi manovrare, ma poi si è rivoltato contro la signora Gandhi.
Si sono misconosciute le ragioni simboliche che hanno condotto i sikh a rinchiudersi nel Tempio d’Oro nella estate del 1984. Bhindrawale voleva ricordare che già nel 1919 gli inglesi avevano osato circondare il tempio e avevano ucciso 379 sikh in quindici minuti, senza tuttavia riuscire a spezzare la loro fede e il loro desiderio di autonomia. I sikh, infatti, avevano avuto già uno Stato indipendente per centocinquanta anni.
Il gesto del 1984 è venuto soltanto dopo venti mesi di manifestazioni non violente, per reclamare:
– l’autonomia amministrativa del Punjab, promessa nel 1947;
– il riconoscimento di Amritsar come capitale del Punjab, mentre la signora Gandhi ha fatto costruire da Le Corbusier una città artificiale a Chandigarg;
– la cessazione di ogni discriminazione religiosa e razziale nell’amministrazione centrale dello Stato indiano.
La non violenza del 1982 e del 1983 ha avuto come conseguenza che circa 26 mila sikh sono stati gettati in prigione. Parecchi manifestanti passivi sono stati picchiati e alcuni hanno avuto gli occhi cavati, in pubblico, dalla polizia di Indira Gandhi. Si è realizzata così, progressivamente, una totale unione di obiettivi e di metodi fra le quattro correnti che originariamente dividevano i sikh. Dopo i massacri dell’estate del 1984, che hanno visto più di diecimila assassinati a Amritsar e nel resto dell’India, vi è una sola differenza: una corrente mantiene la richiesta dell’autonomia interna al quadro della unione indiana; l’altra ritiene questo obiettivo superato e chiede la secessione con la creazione dello Stato del Khalistan.
I dirigenti sikh hanno già fatto causa comune con la resistenza afghana, e vanno avvicinandosi anche al Pakistan, geograficamente prossimo. Non mancano legami con Maneka Gandhi, nuora di Indira, una delle figure più significative della opposizione al «sistema tirannico del clan Gandhi».
Ma un altro elemento di importanza strategica unisce tutte le correnti sikh e alcuni vicini del Punjab: la opposizione totale alla penetrazione sovietica in India. Questa opposizione è aumentata dopo che, nell’estate del 1984, da Ambala, a duecento chilometri da Amritsar, una équipe del KGB e di consiglieri militari sovietici ha completamente organizzato ed esercitato la supervisione sulla occupazione e sulla successiva repressione nel Punjab.
Tre ufficiali sovietici, debitamente identificati dalla opposizione sikh, hanno accompagnato le forza indiane nel tempio sacro. I sikh hanno rilevato, nel 1984, più di dodicimila esperti sovietici nelle regioni industriali dell’India e nei posti chiave del Raw, l’equivalente indiano del KGB; i sovietici hanno, inoltre, la supervisione di tutti i settori scientifici vitali.
Numerosi ingegneri, ufficiali e scienziati sikh, esasperati dalla politica della signora Gandhi, lo sono ancora di più per l’arroganza e il potere assoluto dei sovietici in questa manovra di inquadramento dove l’URSS usa, come agenti principali non soltanto i comunisti indiani, ma anche circa. il 60% dei 120 mila tecnici indiani che ha formato nelle sue scuole negli ultimi venti anni.
1 sikh contano anche sull’appoggio di una comunità di 500 mila loro confratelli in Gran Bretagna e più di 250 mila tra l’Europa Occidentale, gli Stati Uniti e il Canada. Si avrebbe perciò torto se si dimenticasse il peso dei sikh nella partita che si sta ora giocando.
Pierre Faillant de Villemarest