Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 116 (1984)
Un vasto e ricco panorama di fatti consuetamente occultati dalla cultura e dalla informazione rivoluzionarie e quindi, per la grande parte, ignorati, alla base della decisione di aiutare tematicamente e organicamente quanti si battono contro il socialcomunismo, in tutti i paesi del mondo occupati direttamente o indirettamente dalla Unione Sovietica, e intendono lottare fino alla vittoria e non sostituire socialismo a socialismo, comunismo a comunismo. La crescente sfiducia – e la sua fondatezza storica – nell’Occidente «legale». Un appello esplicito e ultimativo all’occidente «reale» cioè a quanti, accettandone la eredità spirituale e politica, ne assumono anche le responsabilità per il presente e per il futuro del mondo intero. Il testo integrale dell’intervento al convegno di Pierre Faillant de Villemarest.
Esposte dal presidente della CIRPO – Francia
Le ragioni della Conférence Internationale des Résistances en Pays Occupés
Il 1º giugno 1984 è caduto il 35º anniversario della nascita, all’ombra della Alleanza Atlantica, di un Comitato per una Europa Libera, portatore di speranza e teso a cristallizzare il rifiuto occidentale di arrendersi alla espansione sovietico-marxistica. In meno di quattro anni i paesi dell’Europa Orientale erano caduti nelle mani di minoranze installate al potere dall’esercito sovietico: in Asia, la Cina continentale cadeva sotto la stessa obbedienza dottrinale; nel Sud-Est asiatico diversi osservatori si rendevano finalmente conto che Ho Chi Minh non era assolutamente il «nazionalista» descritto dai suoi protettori liberal americani, ma l’agente di zona della sovversione socialistica, di cui Mosca voleva essere la centrale unica. L’anno seguente, l’URSS lanciava la Corea del Nord e la Cina contro la Corea del Sud, distraendo in questo modo l’attenzione della opinione pubblica mondiale dallo scacco che aveva appena subìto a Berlino, dove il suo blocco aveva avuto l’obiettivo di controllare totalmente l’ex capitale, nonostante gli accordi Est-Ovest firmati quattro anni prima.
A che cosa serviva il Comitato per una Europa Libera? Chi ha salvato o liberato? Dieci anni dopo, venti anni dopo, trentacinque anni dopo la sua fondazione, non solo una trentina di altri paesi sono di volta in volta caduti nella rete socialcomunistica, dal Sud-Est asiatico a Cuba, dal Nicaragua all’Africa nera, dall’Angola all’Afghanistan e allo Yemen del Sud, senza parlare di numerose isole di grande importanza strategica nell’Oceano Indiano, ma nessuno Stato soggiogato dai marxisti è stato liberato grazie all’aiuto dei paesi del mondo detto libero!
Si tratta di un problema tenuto nascosto, che bisogna impostare adeguatamente e che bisogna risolvere. Quale la causa di questa impotenza, in Europa come dovunque altrove nel mondo? Si tratta solamente della conseguenza degli accordi di Teheran e di Yalta? È vero che non vi è altra soluzione se non in un nuovo conflitto mondiale, oppure in nuovi compromessi con l’Est totalitario? Oppure alle visioni mondialistiche di un Ordine Nuovo, che venivano già abbozzate durante la seconda guerra mondiale, si sono aggiunti non soltanto i tradimenti di alcuni e le vigliaccherie di altri, ma anche la irreversibilità del declino dell’Occidente?
Di fatto, una civiltà muore solamente quando rinnega sé stessa; quando vi si preferisce l’interesse all’onore; quando i profitti commerciali vi prendono il posto della morale; quando non vi si vive più delle convinzioni, delle tradizioni e della fede che fanno una comunità, un paese, una patria, ma in termini di produzione, di statistiche e di individualismo, all’interno di società disintegrate.
Infatti, che cosa distingue oggi il mondo marxistico e il mondo occidentale e americano, quando ci viene ripetuto quotidianamente che il nostro livello di vita è di gran lunga superiore all’altro, ma che l’altro «evolverà» se lo aiutiamo a raggiungere la nostra agiatezza? Poiché vengono deliberatamente ignorati lo spirito e la fede, per ragionare solamente in termini di successo economico, si riduce il mondo al terreno di competizione tra due materialismi. Ne risulta che essi sono rivali e complici nello stesso tempo, perché dal 1917 l’uno sostiene l’altro, in occasione di ognuna delle sue crisi cicliche, anche se finge di deplorare i suoi eccessi.
Già nel 1919, di ritorno da una visita nelle zone controllate dai bolscevichi, Edwin Gay, davanti alla Camera di Commercio americana, diceva: «Più si commercia con coloro che controllano questi territori, e più vi saranno possibilità che evolvano verso un sistema ragionevole e democratico …»
Sono passati sessantacinque anni e non si è potuta constatare nessuna evoluzione, ma la moltiplicazione dei genocidi. Nonostante questo, il 4 gennaio 1984, il presidente in carica di una delle maggiori multinazionali scriveva a un nostro amico, per giustificare le sue cessioni di tecnologia all’URSS, negli stessi termini usati da Edwin Gay nel 1919. Stando così le cose, ci si può meravigliare se, nel corso di questo autunno del 1984, rifugiati o esiliati dall’URSS, come la figlia di Stalin, oppure disertori di un esercito che massacrava gli afgani, abbiano deciso di riguadagnare il loro GULag, dopo anni o soltanto dopo qualche mese di soggiorno nei nostri paesi? Si dirà che si è trattato di ricatto, di pressioni morali, di sollecitazioni psicologiche. Ma, se l’Europa Occidentale, se gli Stati Uniti incarnassero la speranza nella giustizia, la fede in un mondo restituito alle sue libertà, basterebbero una fotografia di famiglia, qualche frase al telefono, pressioni dirette o indirette dei diplomatici e degli agenti dell’URSS nei nostri paesi, per fare deliberatamente tornare donne e uomini nella loro prigione?
In ultima analisi, che cosa vedono da noi? Non soltanto che è vano aspettarsi dall’Occidente che si metta a lavorare per liberarli, ma che ogni giorno trionfano sulle nostre tribune e sulle nostre cattedre, e perfino in seno ai nostri governi, coloro che disprezzano i nostri figli, le nostre bandiere, le nostre convinzioni, coloro che sabotano le nostre industrie, violano le nostre chiese e depravano le nostre società.
E vedono anche che fra noi, nelle nostre società, vi sono uomini che fanno a gara per distruggere quanto resta dei nostri legami con secoli di storia, per recidere le radici alle generazioni che crescono, in modo da instaurare un preteso Ordine Nuovo, a proposito del quale proclamano che deve essere organizzato nella distensione, nella intesa e nella collaborazione con l’«ordine» dell’Est totalitario.
Constatando questa situazione e sulla base dell’esame delle cause profonde che l’hanno generata, diciotto mesi fa, uomini da nulla, uomini qualsiasi, ma uomini che avevano vissuto ogni tappa di questo dramma, hanno pensato – in Francia e adesso in Italia – che bisognava farla finita con un gioco truccato, che consiste da un secolo nel venire a patti con l’avversario piuttosto che nell’intendersi con le sue vittime.
Infatti, il mondo sovietico-marxistico ha avuto successi, da un secolo a questa parte, solo tutte le volte che il nostro mondo lo ha voluto oppure lo ha tollerato. Ha vinto guerre soltanto perché ha combattuto le sue fino in fondo. Il mondo occidentale si opponeva a esso non per vincerlo, ma per costringerlo a venire a patti, che da parte sua proclamava, ogni volta, essere solamente tappe, e tappe verso altre vittorie.
In Corea, dopo il 1950, in Vietnam fino agli anni Settanta, nell’Oriente arabo e in Africa come in America latina, non si è mai permesso agli avversari del socialcomunismo di combattere veramente il marxismo, sia nella sua espressione armata che in quella sovversiva; si sono obbligati i militari a rispondere solamente a piccole dosi, mentre nei nostri parlamenti, nei nostri salotti, e anche nei nostri governi, alcuni si vantavano di aiutare i nostri avversari. Si diceva che, sulla distanza, si sarebbe sostituito un socialismo con un altro, un comunismo con un altro, perché – si assicurava – vi era democrazia soltanto nel socialismo. Uomini di affari, poliziotti, stavano all’erta, e chi non era «di sinistra» era pericoloso oppure, comunque, contrario al progresso …
Il progresso nel mondo non era forse cominciato solo dopo il 1789, e soprattutto dopo il 1917? Sulla base di simili ragionamenti ingannevoli, reiterati, martellati, ribaditi quotidianamente per decine di anni alle successive generazioni, si è scaduti in un mondo nel quale tutte le resistenze al materialismo, quindi al marxismo, quindi ai complici del marxismo, sono state non soltanto dimenticate, ma deliberatamente tradite.
Poco prima della sua morte, lo scrittore Georges Bernanos diceva: «Il mondo rigurgita di uomini di affari e di poliziotti! Ha bisogno di sentire voci liberatrici! Voci liberatrici non sono voci tranquillizzanti!»
Le nostre non sono voci tranquillizzanti! Non siamo neppure la retroguardia di un mondo in decomposizione! Siamo l’avanguardia di un mondo nel quale la morale e lo spirito riavranno il primato sulla ingiustizia e sulla degradazione degli uomini, in cui la economia non detterà più legge alla politica, e nel quale le libertà collettive si opporranno alla distruzione delle comunità naturali!
Per arrivare a questo risultato, non basta indicare senza posa l’avversario maggiormente visibile, lamentandosi della sua esistenza: si devono senza posa smascherare i suoi complici nelle nostre stesse case, cioè coloro che per raccogliere i voti in occasione delle elezioni fanno ciò che viene chiamato «dell’anticomunismo», e che, dal momento in cui sono stati eletti, si precipitano all’Est con il pretesto della pace, della diplomazia o degli affari!
Per arrivare a questo risultato, bisogna anche ritorcere contro l’avversario le sue stesse armi, e quindi aiutare concretamente, con tutti i mezzi, quei nostri alleati naturali che sono i nostri fratelli dimenticati, perseguitati, imbavagliati: essi sono la nostra coscienza e noi dobbiamo essere le loro voci.
I tradimenti e le manipolazioni, dal 1945
Perché e come il silenzio è calato sulla Europa Orientale, all’inizio di quella che è stata chiamata la «guerra fredda», proprio mentre nascevano, nel 1948 e nel 1949, il Comitato per una Europa Libera, il Congresso per la Libertà della Cultura, Pace e Libertà, il Comitato Internazionale per la Difesa della Civiltà Cristiana, e decine di altre organizzazioni dello stesso segno?
Perché e come le decine di pubblicazioni settimanali e mensili, nate da queste organizzazioni in tutti i paesi della Europa Occidentale, nei paesi anglo-americani e in Asia, non sono state di nessuno aiuto per quanti non nel 1948 o dopo, ma dal 1944 e dal 1945, si opponevano nelle loro patrie alla marea sovietico-marxistica?
Prima di rispondere a queste domande, preciso che in meno di tre anni e mezzo, a partire dalla estate del 1948, più di un miliardo di dollari dell’epoca è stato scaricato nella sola Europa Occidentale, con il pretesto della promozione di una azione psicologica. Solo a Parigi, e per la sola annata 1950-1951, due miliardi e 450 milioni di franchi dell’epoca sono stati fatti scivolare con discrezione nei cassetti delle redazioni dei quotidiani, dei settimanali, dei mensili della capitale francese!
Da chi? Da multinazionali che si dichiaravano spinte dalla filantropia; dalla CIA, per espressa confessione del suo principale tesoriere per questa operazione, Thomas Braden; dai sindacati AFL/CIO, secondo i quali, per lottare contro lo stalinismo, bisognava aiutare nel Terzo Mondo tutti coloro che si rivoltavano contro la presenza occidentale, perché così «si» sarebbe superata al traguardo la rivoluzione moscovita.
Mentre i sovietico-marxisti dovevano semplicemente salire sul treno e sui cargo noleggiati dai sindacati AFL/CIO, per impadronirsi strada facendo dei doni preparati per loro, nella Europa Occidentale cominciava una notevole orchestrazione, i cui archivi si possono rileggere in Preuves, Encounter, Quadernos, Forum, Libertà della Cultura, Der Monat, Synthèses, Liberté de l’Esprit, ecc. ecc., con gli stessi editoriali e le stesse analisi!
Nessuno si curava del fatto che non vi si attaccasse assolutamente il comunismo, ma soltanto lo stalinismo. Nessuno si azzardava a censire i collaboratori, ricercando le loro origini. Al vertice della piramide intellettuale edificata per la «guerra fredda» troneggiavano diciotto menti. A osservarle con attenzione, quindici di esse venivano dal comunismo, dal trotskysmo, dal socialismo più spinto a sinistra, spesso erano stati quadri del Komintern! 3 erano «moderati». Ma, poiché la maggiore parte delle organizzazioni in questione era comunque troppo caratterizzata per raccogliere, nei nostri paesi segnati dal cattolicesimo, quanti credevano ancora in Dio e seguivano le proprie autorità religiose, «si» era montato un Comitato per la Difesa della Civiltà Cristiana, attorno a un piccolo editore ambizioso, e con la cauzione di due o tre vescovi di cui Roma certamente ignorava che tradivano da tempo gli orientamenti di Pio XII. E, per completare l’inganno, si era promosso presidente onorario di questo comitato il cardinale Mindszenty!
Già imbavagliato, neppure informato, il cardinale non poteva smentire, mentre questi cattolici tentavano continuamente di diffondere attorno a sé la convinzione – in parallelo con i loro cugini «laici» – che vi erano comunismo e comunismo, socialismo e socialismo; che, quindi, Tito era un «buon» comunista, e che qualcuno, attorno a Stalin, avrebbe domani riportato a Lenin, che era stato un «buon» comunista …
Nessuno si preoccupava, sulla grande stampa evidentemente già controllata con i fondi di cui ho parlato, del fatto che, al vertice del piccolo club di intellettuali incaricati di fare la «guerra fredda» secondo questo orientamento, troneggiavano Bertrand Russel e Eleanor Roosevelt, per parlare dei più noti, e dietro a loro, la parte dell’«ispiratore» era svolta dal diplomatico George Kennan.
George Kennan aveva continuamente detto e scritto che il solo modo di vincere la guerra consisteva nel contenere il comunismo. Molto curiosamente, quando si trattava del nazionalsocialismo, non aveva mai enunciato lo stesso pensiero, ma piuttosto che bisognava combatterlo e vincerlo. Ma non dava prova dello stesso atteggiamento di fronte al totalitarismo rosso, gemello del precedente. E, qualche mese dopo l’aggressione contro la Corea del Sud, mentre centinaia di migliaia di europei orientali erano già ammucchiati nei campi della morte lenta, George Kennan scriveva anche, sul numero 7, di settembre del 1951, della rivista Preuves: «Se una moderazione riflessiva non caratterizza il nostro atteggiamento nei confronti del comunismo, faremo più male alla nostra causa di quanto ne farebbe a essa il comunismo …». In che cosa consiste «una moderazione riflessiva» quando l’avversario uccide, deporta, pratica la sovversione, rapisce, fa della disinformazione?
Dietro sua ispirazione, d’altra parte, veniva diffuso un piccolo catechismo, in francese e in altre lingue, per i quadri del Comitato e per le redazioni prima ricordate, in forma di domande e di risposte intese a spiegare l’atteggiamento da assumersi nei confronti dell’URSS:
«– Quale fede, quale mistica opponete al comunismo?
«– Nessuna. Non ci vogliamo imbarcare in una crociata. La nostra battaglia è anzitutto una battaglia di difesa …».
Ancora una volta tutto era chiaro: bisognava «contenere», ma non combattere! Proteggere quanto esisteva a Occidente, ma dimenticare l’Est, se non per deplorare gli eccessi degli «stalinisti»! D’altra parte, a partire dalla morte di Stalin, i direttori d’orchestra della pretesa «guerra fredda» assicureranno sui loro giornali che Malenkov è buono, poi che Chruscev è ancora migliore, per sostenere infine, con Breznev – dopo il 1965, quando il neo-stalinismo rimette in sella i peggiori carnefici degli anni 1937-1952 -, che si apre l’era della distensione, della intesa e della collaborazione. Saltiamo all’ottobre del 1984, trentuno anni dopo la morte di Stalin, e leggiamo il numero 5 della Revue de l’OTAN: Fredo Dannenbring, vice segretario della NATO per gli affari politici, scrive testualmente che «la esistenza dell’Alleanza ancora oggi, il mantenimento della pace in Europa, il fatto che l’URSS non sia potuta penetrare di un centimetro nel territorio alleato provano che gli Alleati hanno trovato la giusta risposta a tutte le domande poste dalle relazioni Est-Ovest dal 1948 …». Tanto peggio per Budapest, Praga, Saigon, Pnom-Penh, Vientiane, Kabul, Addis Abeba, Managua, le Seicelle, il Cabinda …
Ma, dopo tutto, questi tradimenti e questi abbandoni non erano stati fatti intravvedere in anticipo?
Le Resistenze abbandonate dal 1943
Insomma, dietro le conferenze di Teheran e di Yalta, sia dal 1943 che nel 1944, la «grande alleanza» portava a che le Resistenze nazionali esistenti in tutta l’Europa – dico proprio in tutti i paesi dell’Europa Orientale, e delle quali alcune, come quelle della Polonia e dell’Albania, avevano cominciato a operare dal 1939 e dal 1940, e altre prima del giugno del 1941, come quella dei nazionalisti serbi – non avrebbero più ricevuto aiuto occidentale, se non in piccole dosi; che sarebbero servite da alibi. Di contro, sarebbero stati prioritariamente e massicciamente aiutati tutti i gruppi comunistici.
A coloro che se ne fossero lamentati, si sarebbe eventualmente risposto di mettersi d’accordo con i comunisti …
Nel maggio del 1945, circa 13 mila croati rifugiati in zona controllata dagli occidentali sono consegnati a treni interi, di notte, a loro insaputa, a Tito, che li fa fucilare tutti. La stessa «operazione» avviene per 30 mila serbi, mentre prima che trascorra un anno un ufficiale dei servizi segreti alleati farà sapere a Tito dove si nasconde il loro capo, il generale Mihajlovic.
Il 99% dei membri dello stato maggiore della Resistenza interna polacca è deportato a Mosca e assassinato. «Traditori» per avere resistito nello stesso tempo al comunismo e al nazionalsocialismo, dal 1939!
I governi alleati tacciono.
Tutte le Resistenze nazionali, in tutti i paesi dell’Est, dai paesi baltici al Mar Nero, subiscono la stessa sorte.
Così si chiude il primo capitolo. Inizia la «guerra fredda». Ecco, allora, le conseguenze della «politica», della quale due dei principali «ispiratori» e direttori d’orchestra vivono ancora mentre vi parlo, e «ispirano» ancora la politica occidentale nei confronti del mondo socialcomunistico: si tratta di Averell Harriman e di George Kennan.
Dal 1945 al 1952 esisteva in Albania una Resistenza armata clandestina. A Londra, un Comitato dei Sette ottiene dal governo l’autorizzazione ad andare in suo aiuto. Dopo tutto, dicono diversi veterani, l’URSS non scatenerà un conflitto mondiale e non porterà i suoi eserciti verso Tirana, mentre non controlla ancora completamente la trincea dell’Europa Orientale. Lord Bethell riferisce, in un’opera comparsa a Londra nell’ottobre del 1984, i segreti di queste missioni, che sono state tutte neutralizzate oppure annientate, tra il 1948 e il 1952, sia che fossero britanniche o americane, mentre migliaia di albanesi venivano fucilati.
Si scopre che, nel cuore di queste operazioni, non vi erano solamente Philby e i suoi amici, ma che in seno allo stesso Comitato dei Sette almeno un’alta personalità pensava, nel 1948 come nel 1984, che si dovevano fare fallire queste operazioni, per salvare le possibilità di intesa e di collaborazione mondiale con l’URSS …
Dal 1945 al 1952 esisteva in Romania una Resistenza clandestina, in qualche luogo armata. Essa è stata abbandonata. Coloro che controllavano la stampa della Europa Occidentale sono riusciti a fare in modo che nessun grande giornale ne abbia mai dichiarata la esistenza.
Dal 1948 al 1952 esisteva in Slovacchia una Resistenza attiva, svolta da almeno quattro mila partigiani armati: su di essa è stato mantenuto il silenzio.
Esistevano altre reti, da Riga al Caucaso, da Berlino Orientale alla Bielorussia, ma sono state tradite oppure abbandonate, in condizioni sulle quali dovranno indagare gli storici, perché i tradimenti venivano dall’Occidente, e non hanno ceduto solamente per errori, per mancanza di abilità oppure per debolezze dei loro membri locali …
Il secondo capitolo termina con la morte di Stalin.
Tre anni dopo ecco le insurrezioni operaie di Poznan, che nella estate del 1956 annunciavano quelle di Danzica del 1970 e del 1980. Sono domate da dieci divisioni sovietiche.
Ecco Budapest, il 23 ottobre 1956. Ecco una Resistenza armata che non ha assolutamente deposto le armi il 4 novembre seguente, come si ripete, ma si è battuta fino all’ultimo combattente, fino all’inizio di giugno del 1957, abbandonata.
Dal 1949 esisteva nel Vietnam Settentrionale una Resistenza armata. Si è battuta da sola, salvo l’aiuto di qualche missione francese, limitata a ottenere informazioni, e con due o tre gruppi di resistenza sostenuti per iniziativa di ufficiali che spesso non ne facevano parola ai loro superiori. Poi, dopo il 1954, il silenzio e la morte.
Quando gli eserciti americani hanno preso il posto della Francia, negli anni Sessanta, era proibito ai loro capi militari di portare la guerra nel Nord del paese. Bisognava contenerla ai confini dei due Vietnam. Fatta eccezione per due o tre bombardamenti strategici in dodici anni, era proibito alla aviazione americana di distruggere il porto di Haiphong e i dieci o dodici depositi nei quali Mosca accumulava nel Vietnam Settentrionale i milioni di tonnellate di materiali da guerra, che poi erano fatti filtrare al Sud attraverso gli agenti del Nord.
89 dei 90 cargo che portavano a Haiphon, per otto anni, il materiale da guerra sovietico sono stati costruiti in cantieri navali occidentali …
E i telai e le sospensioni degli autocarri e dei carri armati che hanno invaso l’Afghanistan nel 1979 sono di origine occidentale.
E l’80% del denaro che finanzia il governo marxistico dell’Angola, e la guerra in Angola, e la permanenza dei sovietico-cubani in Angola, dal 1976, esce molto semplicemente dalle casse delle compagnie petrolifere americane ed europee, che sfruttano i giacimenti di petrolio del Cabinda, sotto la protezione dei sovietico-cubani.
Gruppi di resistenza esistono e si battono, da ormai sei anni, in tre regioni del Laos. La «grande stampa» tace a proposito di questi combattimenti e delle grida di disperazione che salgono da questo piccolo paese, di cui l’URSS ha fatto la propria piattaforma strategica per conquistare e conservare, attraverso i nordvietnamiti, l’intera penisola …
Gruppi di resistenza esistono e si battono in Nicaragua, dove un governo marxistico è stato installato dalla amministrazione Carter. Essi sono sostenuti solamente a dosi «convenienti», per fare pressione sui marxisti, in modo tale che una pretesa «riconciliazione» tra marxisti e nazionali sfoci in un governo di coalizione.
Già nel 1962 Averell Harriman aveva imposto al Laos un «governo di coalizione»; dopo, i comunisti hanno eliminato e ucciso i loro associati, nelle stesse condizioni in cui lo avevano fatto fra il 1945 e il 1948, nei paesi dell’Europa Orientale. Lo stesso Averell Harriman, lo stesso George Kennan pretendono oggi dai polacchi che tacciano e che lavorino, invece di opporsi al loro regime. Essi pretendono, con i loro ex discepoli, oggi al potere a Washington – all’ombra di Ronald Reagan e per sabotare Ronald Reagan -, che le popolazioni dell’Europa Orientale siano «pazienti» perché «sulla distanza» – per usare una espressione tratta dagli articoli e dalle conferenze degli interessati – il regime sovietico «dovrà» evolvere verso una politica «più ragionevole …». Lo stesso ragionamento si fa in seno alla Internazionale Socialista, che è sempre stata, da quando esiste, solamente l’ombrello o la copertura della sovversione comunistica tutte le volte che bisognava fare avanzare il socialismo nel mondo.
Che fare?
Tutto questo significa che siamo impotenti mentre i nostri governi, ciechi oppure in mano alla sovversione, praticano nel 1984 la stessa politica, con gli stessi argomenti, che praticavano nel 1919, nel 1921, nel 1934 o nel 1944?
Le cose non stanno assolutamente in questi termini. È stato provato che organismi privati, diretti con cura, orientati verso obiettivi precisi e senza fare concessioni, vigili di fronte a provocazioni e a infiltrazioni, possono dare un aiuto efficace a quanti, lottando per riconquistare le loro libertà, nello stesso tempo combattono per preservare le nostre.
Azioni concrete, di estrema utilità per quanti oggi resistono, hanno successo nella misura in cui sono condotte contro il socialcomunismo con gli stessi metodi e con la stessa discrezione di quelle compiute dai socialcomunisti.
Da un canto, bisogna organizzare tribune permanenti, circuiti permanenti di informazioni verificate, e di controinformazione della opinione pubblica, a proposito di ciascuna delle Resistenze nazionali. Fino a oggi, nell’80% dei casi, la «sinistra» ha «recuperato» a loro insaputa certe Resistenze, per giungere a controllarle, sostenendo di aiutarle e facendo, per altro, molto clamore in proposito.
D’altro canto, bisogna organizzare invii – controllati fino a destinazione – di materiali utili alle Resistenze armate o non armate; e anche di materiali medici.
Infine, bisogna organizzare missioni di inchiesta presso le Resistenze: dopo tutto, perché il Tribunale Russel, perché Amnesty International e perché non noi? È possibile quasi dovunque. Basta parlare di queste missioni solamente dopo. Missioni incaricate di sapere quali sono le necessità prioritarie, e di scambiare informazioni utili a tutti. Infatti, coloro che resistono devono sapere, nei loro paesi, chi all’estero li tradisce, come e perché, per evitare trappole fino a oggi tese con troppa facilità sui loro passi.
Bisogna anche prevedere, nei nostri paesi, missioni di formazione tecnica di certe Resistenze. A che cosa serve inviare radio trasmittenti agli afgani, se non sanno servirsene? Ed è solo un esempio fra molti altri.
Evidentemente, una conferenza pubblica non è la sede per entrare nei dettagli di questo programma, che non dovrebbe neppure trascurare i mezzi per informare o per formare i quadri di quanti resistono, e i cui paesi sono stati tenuti all’oscuro dei retroscena della storia contemporanea.
Se i dirigenti afgani nel 1970 avessero conosciuta la storia del Laos di qualche anno prima, avrebbero capito in anticipo che si avvicinava il momento in cui non sarebbe stata più possibile nessuna neutralità, e cioè il momento in cui una minoranza comunistica avrebbe potuto prendere il potere. Se coloro che resistevano nel Vietnam Settentrionale, negli anni 1949-1954, avessero saputo come gli europei orientali erano stati traditi e abbandonati; se i vietnamiti meridionali avessero saputo sia da parte di chi che come il fatto era accaduto a Budapest, a Praga, a Tirana … non avrebbero mai accettato, nel 1972, la pretesa pace preparata da Henry Kissinger e da Le Duc Tho; non sarebbero mai stati circonvenuti e sorpresi dalla invasione del 1975.
La nostra parte, come europei, come cristiani, se siamo uomini degni delle nostre origini e delle nostre convinzioni, può rivelarsi entro breve termine di una importanza considerevole per i nostri amici e per noi stessi.
I socialcomunisti non si curano delle tonnellate di manifesti di intellettuali, emessi da quarant’anni contro di loro. Temono soprattutto gli uomini di fede, di convinzione e di azione. Basta il rumore di qualche passo nella notte più buia perché coloro che derubano i morti fuggano, senza neppure tentare di difendersi. Bastano tecniche studiate bene, contro un avversario che non ha più la forza che aveva negli anni prima e dopo l’ultima guerra mondiale, perché qualche granello di sabbia inceppi una macchina che si credeva fosse irresistibile.
Non si vincerà mai il socialismo sostituendo un socialismo con un altro. Tutte le sue correnti derivano da una stessa fonte, e scorrono verso una stessa meta, quali che siano i loro itinerari. Speriamo accada la stessa cosa a noi, contro un avversario la cui forza sta nelle nostre debolezze, e che sopravvive grazie ai crediti, grazie alle tecnologie e grazie alle vigliaccherie occidentali.
La morale, il diritto e l’onore sono dalla nostra parte! Non vi può essere giustizia senza morale, senza diritto e senza onore. Contro la pace dei GULag, eccoci m piedi! Prima della fine di questo secolo spunterà finalmente l’alba sulla liberazione dei nostri fratelli traditi, dimenticati, abbandonati! La loro morte sarà la nostra, la loro rinascita sarà la nostra: aiutateli! Aiutateci ad aiutarli!
Pierre Faillant de Villemarest