Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 136-137 (1986)
Con una vasta eco in tutto il mondo durante il mese di agosto, Mikhail Gorbaciov ha avanzato inconsistenti proposte e offerto ingannevoli concessioni, subito raccolte in Occidente dai partner del comunismo internazionale, trascurando le legittime aspirazioni dei popoli che anelano alla libertà dal giogo sovietico.
Il 28 luglio 1986 da Vladivostok
Il rilancio della «distensione»
Nella prospettiva dei rapporti tra l’URSS e il resto del mondo, il mese d’agosto è storicamente quello dei colpi mancini. Tale è stato il patto con il Terzo Reich nell’agosto del 1939. Oppure il comportamento dei sovietici nell’agosto del 1944, fermi con le armi al piede davanti a Varsavia mentre i nazionalsocialisti la devastavano indisturbati. Oppure l’erezione del muro di Berlino, nell’agosto del 1961. E la «normalizzazione» della Cecoslovacchia, nell’agosto del 1968.
E il 28 luglio 1986 – quindi proprio appena prima dell’inizio d’agosto – Mikhail Gorbaciov ha lanciato da Vladivostok un appello al resto del mondo offrendo concessioni che non le sono, ma creando in questo modo un clima capace di mandare in estasi quanti, da Washington a Parigi, passando attraverso Londra, Roma, Bonn, Bruxelles e Madrid, vogliono a ogni costo la «distensione» con l’Est.
Purtroppo Ronald Reagan, preso nel sistema americano, pensa solamente a portare a termine il suo mandato come il «presidente della pace sulla terra». In seno alla NATO, i politici che sono a capo dei militari applaudivano di recente, a Bruxelles, Ferry de Kerkhove quando dichiarava, a nome del ministero degli Esteri canadese, che «dal 1949 a oggi, i responsabili delle decisioni, in Occidente, non hanno mai abbandonato la speranza di annodare i migliori rapporti possibili con l’Est…».
Improvvisamente, Mikhail Gorbaciov tende la mano all’Occidente da Vladivostok, passando sopra la testa dei resistenti afgani, e strizza l’occhio alla Cina, sopra la testa della Mongolia, annessa con la forza dall’URSS negli anni Venti. Intanto ripete le sue offerte di disarmo progressivo …
Ancora una volta a Parigi si registrano solamente le reazioni dei sostenitori dell’intesa a ogni costo con l’URSS: trattiamo bene questo buon cliente! E poi Mosca sosterrà la candidatura della Francia ai giochi olimpici del 1992! E così via. Rimane la realtà che mi appresto a descrivere.
L’interesse di Pechino di fronte all’URSS
Perché Pechino, che tenta di recuperare da venti a quarant’anni di ritardo industriale e di creare nei suoi immensi territori una infrastruttura di comunicazioni oggi ridotta a un cinquantesimo di quanto esigerebbe uno Stato moderno, dovrebbe rifiutare la mano tesa? La Cina non ha mai avuto la voglia, né i mezzi, di attaccare l’URSS: per contro, Mosca mantiene da vent’anni oltre cinquecentomila soldati alle sue frontiere settentrionali, appoggiati da dodicimila carri armati – che ne fronteggiano quattromila da parte cinese – e da trecentoventi lanciamissili nucleari tattici, che tengono sotto il loro tiro non soltanto Pechino, ma tutti i centri industriali presenti e futuri della Cina. In Mongolia vi sono più di ottantamila soldati sovietici, di cui trentamila addetti ad altre postazioni missilistiche.
Senza entrare ora nel merito di quanto sta accadendo proprio in Cina dal punto di vista ideologico, politico, culturale e sociale, si può affermare che, al momento, Pechino prende la mano tesa dall’URSS, ma tiene l’altra dietro la schiena. I suoi dirigenti conoscono troppo bene la tecnica e i secondi fini del comunismo per lasciarsi manovrare. Essi sorridono e si assicureranno le maggiori garanzie possibili, ma è tutto. Una parte di loro infatti – come si può ricavare da accadimenti e da comportamenti recentissimi – sembra stia tentando, senza dirlo, di uscire dal comunismo, almeno nella sua forma sovietica, mentre i sovietici, dal canto loro, vi si rinchiudono sempre più, semplicemente con più raffinatezza, con abiti di miglior taglio, con scarpe made in Italy.
Da parte dei ministeri degli Esteri dell’Europa Occidentale e di una fazione liberal americana, si va in estasi per l’offerta relativa a Kabul: Mosca vorrebbe veramente «uscire dal ginepraio afgano»; per garantire la distensione, bisogna aiutare Mosca a farlo senza perdere la faccia.
La manovra verso l’Europa passando per Kabul
Ora, ritirare ottomila soldati sovietici dall’Afghanistan – di cui tremila di unità antiaeree per fronteggiare un’aviazione che la Resistenza non ha! – significa lasciarne sul posto ancora centodiecimila, oltre a trentamila spetsnaz – gli specialisti nelle azioni di infiltrazione – di stanza alle frontiere afgane e che intervengono a rotazione, nelle repressioni «utili» …
Si invitano volentieri gli alti responsabili dei mujaheddin a fare il giro dei ministeri degli Esteri e dei parlamenti, ma non si ascoltano oppure non si tiene conto di quello che dicono. Si potrà sempre sostenere davanti agli elettori dell’Europa Occidentale o americani che ci si è veramente occupati di loro.
E poi «si» passa alle cose serie: i prossimi prestiti, i prossimi affari con l’URSS che, per esempio, chiede dieci miliardi di dollari di crediti a Tokio, dopo avere preso in prestito sui mercati euro-americani 68 milioni di dollari nel 1983, 867 milioni di dollari nel 1985, e così via.
Più l’URSS ha bisogno di capitali e di tecnologia, più Mikhail Gorbaciov moltiplica le sue mosse «di mondo», mentre la moglie Raissa sfodera il suo fascino nei salotti cinesi, rompendo con le musonerie in uso dal 1960.
I militari giapponesi si preoccupano ad alta voce del rafforzamento militare dell’URSS alle loro porte, mentre Mikhail Gorbaciov parla di disarmo. Non «si» ascoltano le loro geremiadi, come non si ascoltano quelle dei loro colleghi di Washington, di Parigi e di Londra. Questi militari, sono sempre gli stessi! Si lamentano sempre, per il gusto di farlo!
Di fatto, non «si» potrebbe sacrificare «in sordina» l’Afghanistan sull’altare della distensione? Dopo tutto, «si» sono già sacrificate ieri Saigon, Phnom Penh e Vientiane, senza che sia troppo evidente e senza contraccolpi interni!
Le trappole del mese d’agosto
Ecco un episodio emblematico del nostro tempo: il 1º agosto 1986, proprio nel momento in cui l’appello di Mikhail Gorbaciov riempiva la stampa dell’Europa Occidentale, diverse personalità britanniche inauguravano a Londra, davanti al Victoria Museum, un monumento dedicato alle vittime di Yalta, scolpito ed eretto grazie alle offerte di migliaia di donatori anonimi di tutte le categorie sociali.
Questo avvenimento, sulla stampa, valeva soltanto uno spazio ridottissimo; e tuttavia è certo che quella inglese ha generalmente, sul piano delle notizie internazionali, una serietà maggiore e maggiori informazioni, per esempio, di quella francese.
E poi, qualche giorno dopo, un ingegnere qualificato, noto anche come latinista di valore, profugo da qualche anno dalla Cecoslovacchia perché credeva di trovare in Occidente non soltanto lavoro, ma una base per aiutare la futura liberazione del suo paese, si è suicidato. A rigore, faceva pena il fatto che fosse disoccupato, ma, di grazia, perché sognava l’impossibile?
Il clima fraterno creato da Mikhail Gorbaciov fra Oriente ed Occidente ha sotterrato anche questo morto, dopo molti altri. Il muro di Berlino rimane pur sempre dov’è. Adam Michnik, il «dissidente» marxista, è stato liberato dal generale Wojciech Jaruzelski. Gli afgani cominciano a stancare. E come erano irritanti questi problemi, quest’estate mentre si svolgeva il Giro di Francia, vi erano ingorghi sulle strade, e, a Parigi, si facevano discussioni bizantine sul sesso del liberalismo e su uno dei tanti scandali parlamentari a sfondo finanziario che dal 1945, ciclicamente, fanno parlare di sé i giornali, qualunque sia il partito al potere!
Mi si dice che esiste un’opposizione di destra, vigile da ogni punto di vista. Essa non ha ritenuto utile mettere in guardia i suoi adepti a proposito delle trappole che Mikhail Gorbaciov ha appena teso. Pensate, proprio in pieno mese d’agosto! …
Pierre Faillant de Villemarest